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Diritto all’oblio: la Corte Ue bacchetta Google

“Cancellare dal web le informazioni inesatte”

Chissà quanti tra voi lettori hanno visto e si ricordano quel bellissimo film di Luis Buñuel, L’angelo sterminatore.

Nella pellicola, una famiglia abbiente invita diversi amici a cena. Passano le ore, trascorre la notte, e l’indomani mattina… nessuno riesce a lasciare la casa. Nonostante la porta sia aperta e, all’apparenza, non ci sia nessun particolare impedimento.

Un’esperienza simile l’hanno provata molti di noi quando, ad esempio, cercano di cancellare il proprio account in una determinata piattaforma social: sembra davvero di essere dentro il film di Buñuel. O, per passare dal cinema alla letteratura, ci si sente personaggi di un racconto di Kafka.

Per non parlare delle newsletter da cui quotidianamente ci cancelliamo, senza mai avere avuto memoria di esserci iscritti.

È il mondo dei social, bellezza, non sempre rispettoso della privacy degli utenti.

google street view

Il diritto all’oblio

Più nello specifico, c’è una normativa riguardo al diritto all’oblio, la cui definizione troviamo sul sito del Garante della privacy. Dove leggiamo: “Il diritto cosiddetto all’oblio si configura come un diritto alla cancellazione dei propri dati personali in forma rafforzata.

Si prevede, infatti, l’obbligo per  i titolari (se hanno ‘reso pubblici’ i dati personali dell’interessato: ad esempio, pubblicandoli su un sito web) di informare della richiesta di cancellazione altri titolari che trattano i dati personali cancellati, compresi qualsiasi link, copia o riproduzione.”

E ancora: “L’interessato ha il diritto di chiedere la cancellazione dei propri dati, per esempio, anche dopo revoca del consenso al trattamento.”

La Corte Ue “sgrida” Google

Proprio sulla delicata questione del diritto all’oblio è intervenuta la Corte Ue, nei confronti di Google e degli altri motori di ricerca.

L’invito è chiaro: occorre cancellare dai motori informazioni inesatte, che possono in qualche modo danneggiare un individuo.

E c’è di più: l’azione di rimozione deve essere fatta anche senza che vengano chiamati in causa i giudici. Sarà sufficiente che il diretto interessato mostri a Google una “inesattezza manifesta”.

Lo ha stabilito giovedì 8 dicembre la Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

La sentenza

La Corte Ue si è pronunciata sul tema del diritto all’oblio su specifica  richiesta di due dirigenti di un gruppo di società di investimento tedesche.

Il caso risale al 2015. I due avevano chiesto a Google di eliminare dai risultati delle ricerche alcuni articoli che criticavano il modello di investimento del gruppo, sostenendo che le informazioni riportate fossero inesatte. Avevano anche chiesto di rimuovere le loro foto in miniatura, che venivano visualizzate a ogni ricerca.

Google si è rifiutata, spiegando di non poter verificare se le informazioni segnalate fossero vere o meno. A quel punto la Corte federale di giustizia tedesca, che doveva dirimere la controversia, ha chiesto alla Corte di giustizia Ue di dare una risposta seguendo le norme europee.

Diritto all’oblio: non serve l’intervento di un giudice

Ed ecco allora che, nella sentenza, la Corte ha ricordato come il diritto alla protezione dei dati personali non sia un diritto assoluto, ma da considerare in relazione alla sua funzione nella società. Ed essere bilanciato con altri diritti fondamentali, in conformità al principio di proporzionalità.

Quindi occorre che il diretto interessato presenti “prove pertinenti e sufficienti in grado di motivare la sua richiesta e di stabilire la manifesta inesattezza delle informazioni”. A quel punto il gestore del motore di ricerca non può esimersi dall’accogliere la richiesta.

Inoltre, chi presenta questo tipo di richiesta non deve esibire per prova una decisione giudiziaria contro il gestore del motore di ricerca. Sono sufficienti prove che si possano trovare “ragionevolmente”.

Dopo di che, Google dovrà deindicizzare i risultati che contengono le informazioni inesatte. Le pagine incriminate, insomma, non saranno cancellate ma non appariranno più nelle ricerche, diventando di fatto invisibili.

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La svolta

Si tratta di un’importante, chiamiamola così, liberalizzazione riguardante il diritto all’oblio.

La sentenza recita infatti che la deindicizzazione “non è subordinata alla condizione che la questione dell’esattezza del contenuto indicizzato sia stata risolta, almeno provvisoriamente, nel quadro di un’azione legale intentata da detta persona contro il fornitore di tale contenuto.”

Fino a ora Google ha accettato simili richieste solo se provenivano dall’ordine di un giudice o da un provvedimento del Garante della privacy.

Insomma: nell’annosa diatriba tra fautori della libertà di informazione e sostenitori del diritto alla privacy, un punto a favore di questi ultimi.

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Claudio Bagnasco

Claudio Bagnasco è nato a Genova nel 1975 e dal 2013 vive a Tortolì. Ha scritto e pubblicato diversi libri, è co-fondatore e co-curatore del blog letterario Squadernauti. Prepara e corre maratone con grande passione e incrollabile lentezza. Ha raccolto parte delle sue scritture nel sito personale claudiobagnasco.com

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