La notizia è importante, e soprattutto dà da pensare.
La nostra memoria torna subito al 25 ottobre del 2021. Quando 17 tra i maggiori giornali americani hanno pubblicato in contemporanea il clamoroso scoop riguardante i Facebook Papers. Scoop che, assieme ad altre concause, ha portato al rebranding dell’azienda di Mark Zuckerberg, e alla marginalizzazione del tanto contestato social.
E tra i 17 giornali c’era anche il New York Times. Teniamo a mente questo fatto, su cui torneremo, e veniamo alla notizia di attualità.
Google dà 100 milioni al New York Times per pubblicare sue news
La notizia è stata data in anteprima dal Wall Street Journal nella giornata di lunedì 8 maggio.
E ci mette a conoscenza del fatto che Alphabet (azienda che controlla Google) ha stretto un accordo col New York Times.
Versando 100 milioni di dollari (in totale) in tre anni al giornale, l’azienda con sede a Mountain View potrà inserire contenuti del NYT su alcune delle piattaforme di Google.
L’accordo
L’accordo triennale, più nello specifico, prevede il fatto che il New York Times possa usufruire di Google News Showcase.
Si tratta di un prodotto che, come in questo caso, paga gli editori per permettere loro di inserire contenuti su Google News.
La partnership era stata preannunciata sulle colonne del giornale già lo scorso febbraio. Ma da parte di Google c’era stato il massimo riserbo: “Non condividiamo i dettagli degli accordi commerciali con i partner”, aveva detto una portavoce.
Tuttavia, maggiori dettagli sono stati rivelati nelle scorse ore dal Wall Street Journal. Non solo la cifra e la durata dell’accordo, ma anche qualche particolare in più. Come il fatto che Google offrirà altri vantaggi al New York Times. Una vendita più mirata degli abbonamenti, oltre all’utilizzo di una serie di strumenti per il marketing e la sperimentazione incrociata di nuovi prodotti pubblicitari.
I numeri del New York Times
È del tutto evidente come l’editoria stia mutando aspetto, e la lettura dei quotidiani tradizionali avvenga sempre più online e sempre meno su carta.
I 100 milioni di dollari pagati da Google al New York Times superano di gran lunga i 20 milioni che Meta ha smesso di versare annualmente nelle casse del quotidiano.
E corrispondono alla cifra che l’azienda di Alphabet versa al gruppo editoriale di Rupert Murdoch, la New Corporation (che tra l’altro pubblica anche il Wall Street Journal).
Ma 100 milioni sembrano poca cosa, alla luce del fatto che nel 2022 lo storico quotidiano di Manhattan ha superato i 2,3 miliardi di ricavi. Facendo segnare addirittura un +11% rispetto all’anno precedente.
Il New York Times punta a raggiungere i 15 milioni di abbonati entro il 2027.
Un’antica controversia
Sono anni, ormai, da quando ci si informa prevalentemente tramite device, che gli editori stanno portando avanti una battaglia affinché i contenuti editoriali traslati in rete vengano pagati dalle piattaforme ospitanti.
Ve ne abbiamo dato conto con diversi articoli. All’inizio del 2021, ad esempio, una proposta di legge australiana poi approvata in Parlamento aveva fatto vacillare Google. Costretto a pagare per la diffusione delle news delle testate giornalistiche.
Il gigante del tech, per tutta risposta, aveva addirittura minacciato il blocco delle ricerche in quel Paese.
La legge australiana è parsa un ragionevole tentativo di limitare lo strapotere economico delle big tech, e la sproporzione tra i loro introiti e quelli degli editori tradizionali.
Google, il New York Times e l’equidistanza
C’è tuttavia da farsi una domanda, che scaturisce dalla notizia che abbiamo ricordato all’inizio dell’articolo.
I grandi giornali hanno il compito di fornire con la massima equidistanza e trasparenza le informazioni in proprio possesso.
È cosa nota che le grandi aziende del comparto tecnologico spesso vengano pizzicate in atteggiamenti distratti (diciamo così) nei confronti della privacy dei propri utenti.
Altre volte, vengono redarguite (quando non multate) dai vari organismi di controllo nazionali e internazionali, per tentativi di condotta monopolistica.
In questi anni, il già citato caso dei Facebook Papers è solo il più eclatante.
Tornando alla domanda cui accennavamo, c’è da chiedersi se un giornale pagato da una piattaforma che lo ospita, sappia mantenere l’onestà intellettuale di denunciare sulle proprie colonne eventuali atteggiamenti poco consoni della piattaforma medesima.
Inutile aggiungere che ci auguriamo tutti di sì.
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