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Gli Editoriali di Tech PrincessRubriche

Internet, libertà, censura, diritti. E noi

Che futuro ci attende in Rete?

Domenica 12 marzo si è celebrata la Giornata mondiale contro la cybercensura. E noi abbiamo tirato un sospiro di sollievo.

Sì, perché i report riportano che sul podio dei Paesi più liberticidi nei confronti dell’espressione in Rete, sul primo (poco invidiabile) gradino c’è la Cina, seguita da Iran ed Egitto.

L’Italia, sui venti Paesi analizzati, ne ha solo cinque più liberali: godiamo di un’ottima classifica, e possiamo gioirne.

Ne siamo sicuri? Aspettiamo un momento, prima di estrarre lo champagne dal frigo. Qui si parla della censura macroscopica, la cui regia è affidata a governi spesso autoritari. E, a prescindere dal giudizio che si possa dare sul nuovo esecutivo, in Italia vige ancora una democrazia, con i suoi fondamentali contrappesi, pronti a intervenire in caso di eventuali rischi di derive autocratiche.

Però c’è un però.

censura

La libertà, anzi: la censura invisibile

L’utente italiano, ma più in generale quello di quasi tutti i Paesi occidentali, all’apparenza gode di piena libertà su Internet.

Se non insulta apertamente qualcuno, non commette il peccato di blasfemia o quant’altro, insomma, può postare ciò che vuole. E poi può essere visibile da chi vuole, e può accedere a qualunque contenuto.

Più o meno. I diritti digitali sono davvero uguali per tutti? O vige una sorta di censura invisibile?

Disuguaglianza dei diritti digitali: l’esempio dei corpi

Abbiamo sorriso, pochi giorni fa, quando abbiamo letto di come le aziende cinesi che vendono lingerie in live streaming hanno aggirato il divieto del governo di mostrare corpi femminili in abiti succinti, facendo indossare l’intimo femminile a modelli maschili.

Per fortuna, alle nostre latitudini certe cose non accadono.

No, perché – nuovamente – non viviamo sotto un regime. Tuttavia, per rimanere in argomento, non si creda che corpi maschili e corpi femminili godano su Internet, anche dalle nostre parti, della stessa libertà.

Il corpo delle donne viene molto più facilmente sessualizzato, ovvero individuato come potenziale riferimento pornografico. E dunque un corpo femminile nudo in Rete rischia di essere censurato, o comunque di essere reso meno visibile, molto più di un corpo maschile.

Perché? Perché l’algoritmo che compie queste scelte viene educato da noi, e noi siamo imbevuti di cultura maschilista (e non solo, come vedremo).

Rimandiamo in questo senso a un’importante ricerca del Guardian, che abbiamo citato in un nostro articolo sulla questione.

La censura ai capezzoli

Recentissimo, per restare in tema, il caso di Facebook e Instagram, che tendevano a censurare i soli capezzoli femminili.

Ora le cose potrebbero cambiare, perché il comitato di controllo indipendente di Meta ha caldamente proposto all’azienda di rivedere questo atteggiamento discriminatorio.

Non solo sessismo

Perché stupirsi se l’IA, e in particolar modo i chatbot conversazionali, (oggi non si parla d’altro), sono misogini, razzisti e classisti?

Le intelligenze artificiali, ripetiamo, sono addestrate con i contenuti che diamo loro. E che evidentemente ben riflettono tutti i nostri limiti etici.

I casi da prendere a esempio sarebbero svariati. Uno tra tutti, quello delle tecnologie di riconoscimento facciale, che di norma – tarate come sono sulle fattezze dei maschi caucasici – ceffano spesso e volentieri quando si tratta di individuare persone, ad esempio, di origine africana o asiatica.

Con tutte le conseguenze, anche penali, che si possono immaginare.

Lo shadow ban

Più in generale, è sempre più tristemente di moda la locuzione inglese shadow ban (divieto ombra), che sta a indicare come quella su Internet sia una libertà molto relativa.

In sintesi: in Rete, i contenuti subiscono un filtraggio più o meno severo a seconda della loro opportunità politica e sociale. E non occorre certo abitare in Cina per avere difficoltà a reperire informazioni sì attendibili, ma che provengano da una prospettiva invisa al mainstream.

Quindi?

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Internet, la libertà, Elon Musk e noi

Quindi, bisogna partire da almeno due presupposti difficilmente contestabili.

Il primo: non si può (e si potrà farlo sempre meno) assumere atteggiamenti luddisti nei confronti del cosiddetto mondo virtuale, che sempre più pervaderà le nostre vite.

Il secondo: non è accettabile che su Internet viga la libertà vagheggiata da Elon Musk, che in fondo è una libertà classista. Chi è in una posizione di potere può dire ciò che vuole (e in questo lo stesso Musk è inarrivabile), e gli altri… che si arrangino.

Se dunque la nostra vita in Rete non può essere elusa, non possiamo far altro che renderla il più possibile come la vorremmo.

E così, come reputiamo – o dovremmo reputare – giusto lottare per i nostri diritti, allo stesso modo sarà indispensabile spenderci per i nostri diritti digitali. Nostri, e di quelli che meno di noi ne godono.

In che modo e con quali forme staremo a vedere, perché sembra davvero un terreno di scontro nuovissimo, complesso ma pure entusiasmante, che va delineandosi giorno dopo giorno.

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Claudio Bagnasco

Claudio Bagnasco è nato a Genova nel 1975 e dal 2013 vive a Tortolì. Ha scritto e pubblicato diversi libri, è co-fondatore e co-curatore del blog letterario Squadernauti. Prepara e corre maratone con grande passione e incrollabile lentezza. Ha raccolto parte delle sue scritture nel sito personale claudiobagnasco.com

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