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La signora Harris va a Parigi, com’è la commedia di Anthony Fabian  

La Signora Harris va a Parigi è un film diretto da Anthony Fabian, adattamento dell’omonimo romanzo di Paul Gallico, presentato durante la Festa del Cinema di Roma 2022. Nel cast figurano Lesley ManvilleIsabelle HuppertJason Isaacs e Alba Baptista.

Londra, anni ’50. Ada Harris è una donna delle pulizie che conduce una vita semplice e ordinaria dopo la morte del marito. Un giorno, mentre lavora in un appartamento di lusso, nota un abito di Christian Dior e rimane talmente affascinata dal vestito che decide di acquistarne uno per sé. Dopo aver risparmiato per mesi, Ada parte per Parigi alla ricerca del vestito dei suoi sogni.

 La signora Harris va a Parigi, la recensione del film

La signora Harris va a Parigi

Una delle scene più iconiche e memorabili di Pretty Woman è il momento in cui Vivian entra nel negozio a Rodeo Drive e, dopo essere stata poco gentilmente messa alla porta dalle commesse del negozio di lusso le apostrofa dicendo: “Io sono venuta qui ieri. Mi ha detto di andarmene. Bello sbaglio! Bello… enorme! Ho altro shopping da fare”.

Ecco, qui siamo a Parigi e quando la signora Harris viene messa alla porta dalla Manager di Dior perché viene confusa, o meglio, viene definita di una classe sociale troppo inferiore da potersi meritare di assistere alla sfilata, e quindi di conseguenza potersi permettere un abito di haute couture, con ostinazione tenta di convincere tutti i presenti, compresa la manager di Dior, che la sua presenza lì e tutto fuorché illegittima.

Questa è una delle scintille della storia, un storia di rivalsa e di classismo, in cui c’è anche parecchio capitalismo. Se la moda è l’attrattiva, la seduzione, il vero lietmotiv è nel contesto sociale, nelle divisioni nette tra borghesia e proletariato, e Ada diventa il simbolo della società che stava cambiando, un cambiamento che avrebbe poi portato la moda alla portata di tutti e la bellezza, e il benessere, un’auspicabile desiderio, scoperchiando l’elitarismo della moda.

La signora Harris va a Parigi: quando l’alta moda incontra gli occhi di una sognatrice

La signora Harris va a Parigi

La signora Harris va a Parigi è impreziosito da un’accuratissima messa in scena, costumi ineguagliabili e sfarzosi, che rendono quest’opera una gioia per gli occhi e anche lo spirito. Da buon feel-good movie, con le sue tinte favolistiche e dense di bontà, perdoniamo alcune, anzi molte delle sue ingenuità narrative, come il desiderio di intelletualizzare, oltremodo, la figura dell’indossatrice, Natasha, che legge Sartre e ama i suoi saggi, peculiarità che le conferisce il passaporto per una nuova ammirazione da parte di uno dei dipendenti di Dior: il romanticismo si può declinare e veicolare in maniera più sensibile e intelligente di così.

Ma, d’altro canto, non possiamo perdonare molte delle cose che dimentica di raccontare: la sontuosità degli abiti, i drappeggi sensuali e scintillanti delle stoffe, ricamate a mano dai migliori sarti e sarte parigine, e probabilmente di Francia, sarebbero dovuti essere il pretesto per raccontare qualcosa di diverso, qualcosa che nella moda c’è ma che spesso si dimentica di inquadrare. Ed è la componente intellettuale e necessaria che la moda porta con sé, quella componente centrale che indica a gran voce che vestirsi, e sapersi vestire, non è qualcosa di frivolo o che si ferma all’immediatezza, e che va oltre l’epidermico e il visibile.

La moda è l’architettura più vicina al nostro corpo, è l’impronta del nostro corpo, quindi l’abito in qualche modo suggerisce qualcosa della nostra interiorità, è un linguaggio, è come tale è una sintesi, ci corrisponde e parla di noi. Quel che La signora Harris va a Parigi non racconta è quanto il passaggio da estetico ad etico sia molto breve, e non spiega mai bene cosa rappresenti, che valore possa avere un vestito per una donna: l’abito in questa narrazione non è centrale, è al centro ma non viene mai discusso.

La signora Harris va a Parigi è in uscita nelle sale dal 17 novembre.

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Lucia Tedesco

Giornalista, femminista, critica cinematografica e soprattutto direttrice di TechPrincess, con passione ed entusiasmo. È la storia, non chi la racconta.

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