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L’indie da scoprire – Everybody’s Gone to the Rapture

Avevamo incontrato qualche tempo fa i ragazzi di The Chinese Room proprio nel nostro speciale “L’indie da scoprire” dedicato a Dear Esther. Ora è invece tempo di recuperare un altro loro progetto, sviluppato solo tre anni dopo questo titolo, ma regalandoci pur sempre gioie ed emozioni. Siamo nel 2015, quando il team sopracitato sforna al mondo indie Everybody’s Gone to the Rapture, un titolo che vale la pena di riscoprire in virtù della sua narrazione davvero particolare e della capacità di esporci al racconto di persone dalla vita ormai rassegnata. Mettiamoci dunque al seguito delle luci che ci indicheranno la strada e capiamo insieme perché valga la pena di ricordare questo titolo, ancora oggi.

Everybody’s Gone to the Rapture, storie di vita vissuta e al capolinea

Un gioco che potremmo paragonare a walking simulator del calibro di Gone Home o dello stesso Dear Esther di cui sopra, ma questa volta siamo di fronte al racconto pedissequo, o quasi, di storie di vita di persone rassegnate al loro fato. Ci attende una lunga camminata di tre ore e mezza immersi nelle campagne inglesi, scoprendo un villaggio dove è accaduto qualcosa di molto strano e che ci sembra ormai abbandonato. Ma non tutte le prime impressioni sono quelle che contano. In questo paesino non ci resta che camminare, aprire qualche porta o rispondere al telefono per ascoltare delle registrazioni. Nient’altro. Il fulcro della storia è infatti dettato dal racconto che ci disvela uno scenario piuttosto inquietante: tutti sembrano svaniti nel nulla.

L’esistenza della popolazione viene però minata dall’arrivo di una scienziata americana, che raggiunge un suo collega del posto per alcune ricerche svolte nell’osservatorio astronomico. La vicenda, che sembra avere anche uno sfondo di gelosia e razzismo, diventa ancora più inquietante con il ritrovamento di tracce di sangue. Tutto lì si è fermato alle 18.07 del 6 giugno 1984, e in questo cammino non restano che presenze narranti, a modo loro, dell’accaduto e delle loro vite.

Non ci resta che camminare

Dalle premesse, possiamo ben dedurre che Everybody’s Gone to the Rapture sia il classico esempio di gioco in cui la storia riesce ad avere la meglio sull’azione e l’interattività. La vicenda narrata è di per sé facile e intuibile, oltre che ben scritta. Presenta anche una mappa di gioco abbastanza ampia, per diluire di poco i tempi necessari al completamento. L’ambientazione è ben curata e mostra una particolare attenzione al dettaglio, anche se in alcuni punti ci perdiamo a ripercorrere lo stesso tratto di percorso per diverse volte, visitando gli stessi luoghi nel tentativo di fare qualche progresso. Una piccola pecca è che non si può correre, dunque non possiamo nemmeno accelerare in qualche modo la lentezza degli spostamenti. Un titolo quasi “contemplativo”, talvolta frustrante, che ci riduce a dover seguire una luce guida, non sempre facile da tenere d’occhio.

Quali allora i vantaggi e i meriti che questo titolo offre e detiene? Alcuni momenti intensi ci portano a un finale che ci lascia alla libera interpretazione e senza colmare dunque i buchi narrativi con una spiegazione data dal team. Non siamo di fronte a un titolo lineare, in quanto dimostra a più riprese il desiderio di sfuggire alle classiche logiche di racconto. Tra figure di luce e tracce lasciate dagli abitanti, la vicenda è tanto eterea quanto le voci di queste presenze. Siamo semplicemente chiamati a curiosare, recuperare indizi e seguire i segnali delle radio che trasmettono le memorie della dottoressa Katherine Collins.

Perché giocare ancora oggi a Everybody’s Gone to the Rapture

Non un titolo ottimo e perfetto, quello sviluppato da The Chinese Room. Everybody’s Gone to the Rapture ci lascia procedere in modo compassato, quasi da mettere a dura prova la nostra pazienza. Ma non quella di chi rimane sinceramente curioso di scoprire le storie delle persone che hanno abitato questo luogo. Se i ritmi di gioco ci remano contro, non possiamo dire lo stesso dell’operazione svolta a livello di storytelling. Dall’interpretazione meno libera rispetto al racconto del precedente Dear Esther, qui siamo dinanzi a una vicenda criptica e che rimane aperta. Tra elementi cari a Lovecraft e una scrittura che restituisce i minimi dettagli di questa comunità di campagna, sarà comunque un viaggio meritevole da rivivere, o da scoprire per la prima volta.

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Francesca Sirtori

Indielover, scrivo da anni della passione di una vita. A dispetto di tutti. Non fatevi ingannare dal faccino. Datemi un argomento e ne scriverò, come da un pezzo di plastilina si ottiene una creazione sempre perfezionabile. Sed non satiata.

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