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Tár: com’è il film con Cate Blanchett

Todd Field dirige Cate Blanchett in un anti-biopic suggestivo e quantomai attuale.

Lydia Tár non è solo una formidabile direttrice d’orchestra amata e ammirata in tutto il mondo, ma è soprattutto l’emblema del potere nella società contemporanea: apparentemente dominante e inscalfibile; in realtà estremamente fragile e suscettibile alla morale e all’opinione pubblica. Al suo terzo film in 21 anni, il regista statunitense Todd Field firma con Tár una pregevole riflessione sullo spirito dei nostri tempi, con protagonista assoluta una straordinaria Cate Blanchett, autrice di una prova di ineguagliabile dedizione e immedesimazione, che non passerà inosservata durante la prossima stagione dei premi. Un vero e proprio anti-biopic (Lydia Tár non è mai esistita), che sfrutta l’ambientazione nel mondo dell’élite orchestrale per dare vita a una pungente e quanto mai attuale analisi sul rapporto fra arte e artista, che si trasforma progressivamente in un doloroso percorso di autodistruzione personale e professionale, davanti al quale è difficile rimanere indifferenti.

Tár: Cate Blanchett da Oscar in una sinfonia sulla separazione fra arte e artista

Tar Cate Blanchett

Lydia Tár è la direttrice più ambita dalle principali orchestre tedesche. Il suo carisma è inarrivabile, e non si limita alla sfera prettamente artistica: a subire il suo ascendente sono indistintamente i membri della sua orchestra, il pubblico dei suoi spettacoli e gli studenti delle più prestigiose accademie mondiali. Proprio lo scontro di Tár con uno studente, reo di non voler approfondire l’opera di Johann Sebastian Bach per via delle sue discutibili scelte morali, ci introduce al lato oscuro della protagonista. Sfruttando il suo ascendente umano e professionale, Lydia ha stretto un rapporto lavorativo e sentimentale con diverse sue colleghe, fra cui Sharon Goodnow (Nina Hoss), con cui cresce una figlia, e Francesca Lentini (Noémie Merlant), la sua attuale giovane assistente. Il clan sottilmente costruito dalla protagonista comincia lentamente a perdere pezzi, precipitando la sua vita nel caos.

C’è un filo conduttore che attraversa la ben selezionata filmografia di Todd Field, ovvero la centralità nel racconto di straordinarie figure femminili: Sissy Spacek e Marisa Tomei di In the Bedroom e la Kate Winslet di Little Children, tutte premiate con una nomination all’Oscar. Tár conferma questa regola, dal momento che è difficile immaginare che Cate Blanchett (già in pole position per la Coppa Volpi) possa rimanere esclusa dalla cinquina delle candidate alla statuetta di quest’anno. È lo stesso Field a esplicitare la totale sovrapposizione fra il film e la strepitosa protagonista: «Questa sceneggiatura è stata scritta per un’artista: Cate Blanchett. Se avesse rifiutato, il film non avrebbe mai visto la luce».

L’attrice si è letteralmente messa al servizio del suo personaggio, prendendo anche lezioni di piano e di tedesco. Tutto ciò è evidente sullo schermo: lo spettatore è letteralmente ammaliato dalle riflessioni della protagonista, dalla sua imperiosa gestualità e dagli sprazzi di umanità che affiorano dalla sua immagine severa seriosa.

Tár: Cate Blanchett nell’autodistruzione di un mito

Tar Cate Blanchett

«Non è una democrazia», dice Cate Blanchett a proposito dell’orchestra in una delle scene chiave di Tár. Todd Field crea un parallelo fra il microcosmo orchestrale e il potere nella società contemporanea, mettendo a dura prova le nostre certezze in merito. Nell’era del post #MeToo, basta una parola fuori posto, un’azione scorretta o un minimo abuso del proprio potere per cadere dalle stelle alle stalle. Lydia Tár è la perfetta rappresentazione di tutto questo, un’affascinante e a tratti respingente insieme di contraddizioni: la vediamo rinnegare qualsiasi forma di conformismo ma al tempo stesso imporre un’immagine perfetta di lei, schernire gli studenti robot e manifestare freddezza, stimolare il pensiero critico e la cooperazione e contemporaneamente mostrare il suo lato più cinico e disumano, disinteressandosi apertamente dei disagi delle sue collaboratrici più strette.

La quinta sinfonia di Mahler è il legame più evidente fra Tár e al disfacimento interiore alla base di Morte a Venezia di Luchino Visconti. La vitalità iniziale lascia lentamente spazio a un vero e proprio thriller psicologico, incentrato sulla decadenza professionale ed emotiva di Lydia. La donna che abbiamo visto sovrastare chiunque sul palco comincia a vacillare, sotto i colpi delle confessioni delle sue colleghe. Todd Field compie in questo senso un lavoro raffinatissimo, lasciando i momenti dei soprusi quasi sempre fuori campo per concentrarsi sulla reazione di Lydia Tár alle accuse.

Vediamo infatti la protagonista sinceramente stupita per gli eventi e inconsapevole delle conseguenze delle sue azioni per le persone a lei più vicine. Un atteggiamento che la accomuna a tanti celebri molestatori e che ci mostra il lato più torbido e irresponsabile del potere in un vero e proprio ricatto morale allo spettatore, dal momento che sul banco degli imputati c’è in questo caso una donna omosessuale. Nessuno è immune alla prevaricazione e al sopruso.

L’assenza di pentimento e redenzione

Anche l’approccio di Todd Field all’inevitabile gogna pubblica della protagonista è sorprendente. Non ci sono né pentimento né redenzione nel caotico atto conclusivo. Quello di Lydia Tár è un treno che non può più fare fermate intermedie, ma solo procedere lungo i binari che lei stessa ha creato, affidandosi all’unico appiglio possibile, ovvero la musica. Un epilogo sfumato ai limiti dell’inconcludenza è la coerente chiusura di un racconto che ci invita continuamente a separare opera e artista e a non lasciare che i picchi di bellezza influenzino il nostro giudizio sulle bassezze umane, e viceversa.

Tár arriverà nelle sale italiane nel 2023, distribuito da Universal Pictures.

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Marco Paiano

Tutto quello che ho imparato nella vita l'ho imparato da Star Wars, Monkey Island e Il grande Lebowski. Lo metto in pratica su Tech Princess.

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