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Ferrari: com’è il film di Michael Mann con Adam Driver

Ferrari arriverà prossimamente nelle sale italiane, distribuito da 01 Distribution.

Due oggetti non possono occupare lo stesso spazio nello stesso momento. Lo ricorda Enzo Ferrari ai propri piloti, imputandogli un eccesso di sicurezza nei duelli spalla a spalla coi rivali. Critica che però in fondo il Drake muove anche a se stesso, dal momento che in ogni aspetto della sua vita professionale e lavorativa convivono persone incompatibili e realtà inconciliabili. Uno dei tanti temi portanti di Ferrari, attesissimo ritorno sul grande schermo di un maestro come Michael Mann, a 8 anni di distanza da Blackhat.

Sulla base della biografia di Brock Yates Enzo Ferrari: The Man and the Machine, il cineasta statunitense firma un’opera su uno storico marchio italiano, nonché su una vera e propria icona della nostra storia come Enzo Ferrari, portato nuovamente in scena da Adam Driver dopo l’operazione analoga sviluppata in House of Gucci. Un lavoro intriso di italianità, girato in larga parte in Emilia-Romagna ma parlato in una curiosa commistione italoinglese, con termini come “commendatore” e “signora” accompagnati ripetutamente alla lingua madre del protagonista (e di altri interpreti come Shailene Woodley e Patrick Dempsey). Una scelta straniante almeno per gli spettatori italiani (che per una volta potrebbero beneficiare del doppiaggio), ma che non deve distogliere l’attenzione dal cuore del lavoro di Mann.

Ferrari: il mito del Drake rivive nel solido affresco di Michael Mann

Ferrari Mann

Lungi dal voler realizzare un semplice biopic, il regista di indimenticabili riflessioni sull’animo umano come Manhunter – Frammenti di un omicidio, Heat – La sfida e Alì si concentra su uno specifico momento della vita del Drake, ovvero il 1957, quando la Ferrari si trova sull’orlo del crack finanziario e il protagonista è alle prese con una relazione parallela a quella con la moglie Laura (Penélope Cruz) ormai difficile da nascondere, anche a causa della nascita del figlio illegittimo Piero (attuale vicepresidente dell’azienda fondata dal padre).

Al contrario di molti suoi avversari, Ferrari non corre per vendere macchine, ma costruisce macchine per permettersi di correre. Un business plan estremamente fragile, che con la Mille Miglia alle porte lo costringe a cercare finanziatori abbienti (in primis Agnelli e Ford) e soprattutto a mettere nel mirino una difficile vittoria in quella che in quel preciso periodo storico è una delle corse più prestigiose del pianeta. Dopo la scomparsa del fidato pilota Eugenio Castellotti durante il tentativo di riprendersi il record della pista di casa Ferrari (in una sequenza non all’altezza della maestria di Mann), il Drake inserisce nella squadra lo spagnolo Alfonso de Portago, pilota acerbo ma di classe al centro del gossip per la sua relazione con Linda Christian (Sarah Gadon).

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Nel frattempo, anche la vita privata di Ferrari va a rotoli, con la moglie sempre più insofferente per le sue infedeltà e pronta a far valere le proprie quote dell’azienda in fase di negoziazione con gli ipotetici finanziatori. A questo si aggiunge il comune dolore per la prematura scomparsa del figlio Dino, morto pochi mesi prima a causa della distrofia di Duchenne.

La vita divisa in due di Ferrari

Due amori, due figli a cui volere bene, due attività nel settore delle automobili da fare coesistere. La vita di Enzo Ferrari è una continua altalena di ruoli e sentimenti fra cui destreggiarsi, mantenendo un signorile contegno solo raramente increspato da sprazzi di umanità e debolezza. Un’esistenza affrontata come una corsa, appaiato in curva a un avversario nella consapevolezza che prima o poi uno dei due dovrà cedere, perdendo la posizione ma salvando la pelle. È questo il filo conduttore del Ferrari di Michael Mann, che dà vita a un nuovo ritratto di uomo ossessionato dal proprio mestiere, che per pura casualità si svela al pubblico a poche settimane di distanza dall’uscita in sala di Oppenheimer di Christopher Nolan, con cui condivide diversi elementi.

Non ci riferiamo solo alla comune altalena sentimentale fra due donne e all’estremo rigore applicato alla vita e alla professione, ma anche e soprattutto al rimorso che affligge Oppenheimer e Ferrari a seguito di una tragedia. Per il fisico è la creazione della bomba atomica e il successivo sgancio su Hiroshima e Nagasaki, mentre per il Drake è la meno conosciuta tragedia di Guidizzolo, incidente stradale che portò alla morte di nove spettatori e alla definitiva chiusura della Mille Miglia, tanto suggestiva e appassionante quanto pericolosa per piloti e pubblico.

È proprio questa gara a fare da crocevia per le vicende professionali e lavorative di Ferrari, avvicinato da Mann con una regia solida e asciutta, sostenuta dalla buona prova in sottrazione di Adam Driver (abile a caratterizzare il suo personaggio anche con la postura e addirittura di spalle) e al suo controcampo emotivo Penélope Cruz, in bilico fra la perenne tensione di Lady Gaga in House of Gucci e la battagliera umiltà di Sophia Loren ne La ciociara.

Ferrari: l’automobilismo secondo Michael Mann

Ferrari Mann

È un Mann più contenuto e misurato rispetto ad altri suoi lavori, che al di fuori dalla pista per portare avanti il racconto si affida più alle parole che alla messa in scena. Almeno due i momenti di grande impatto emotivo in tal senso: la visita di Ferrari alla tomba del defunto figlio Dino, in cui il dolore di un padre incontra il timore di un titolare d’azienda di vedere il frutto del suo lavoro definitivamente allontanato dalla sua famiglia, e il confronto fra il protagonista e la moglie Laura, reso inevitabile da anni di bugie, sotterfugi e non detti, costruito in maniera pregevole dal regista e dai due interpreti.

Non da meno il lavoro di Mann nella ricostruzione degli scenari e delle macchine dell’epoca, anche se si fatica a percepire il sudore, lo sporco e la genuina passione dell’ambiente motoristico. A riscattare la già citata sequenza iniziale della morte di Castellotti arriva però la rappresentazione dell’incidente di Guidizzolo, dall’effetto scenico ed emotivo devastante per crudezza e realismo. Uno dei rari momenti di Mann in cui le parole lasciano spazio all’immagine, che per l’impatto sullo spettatore possiamo ancora una volta legare a Oppenheimer e in particolare alla già nota sequenza del Trinity test.

I difetti di Ferrari di Michael Mann

In mezzo a questi bagliori di puro cinema non mancano scelte più discutibili, come l’ormai stantio chiacchiericcio dialettale di fondo (immancabile in ogni film statunitense ambientato in Italia), il già menzionato italiano maccheronico e i personaggi di Shailene Woodley e Patrick Dempsey, davvero impalpabili nonostante la loro importanza all’interno del racconto. Da menzionare inoltre un finale decisamente affrettato, che tuttavia trasmette allo spettatore l’essenza dello stile, del fascino e della continuità della Ferrari, che a più di 70 anni dalla fondazione continua a dominare il mercato delle auto di lusso e a destreggiarsi al tempo stesso in pista.

Probabilmente non ricorderemo Ferrari come una delle vette della carriera di Mann, ma anche senza particolari virtuosismi tecnici il cineasta statunitense riesce a restituirci un valido affresco di una delle figure più importanti del panorama automobilistico, facendoci al contemporaneamente rimpiangere i suoi troppi anni di assenza dalle sale.

Ferrari arriverà prossimamente nelle sale italiane, distribuito da 01 Distribution.

Ferrari Mann
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