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Emancipation, la cruenta corsa di Will Smith verso la libertà | Recensione

Il film di Apple TV+ trasforma una fotografia storica in un film pieno di azione (ma con poco colore)

Su Apple TV+ arriva il nuovo film di Will Smith, il primo dopo la vittoria dell’Oscar e lo schiaffo a Chris Rock, che vi raccontiamo in questa recensione: EmancipationOltre la libertà. Un dramma storico ambientato durante la Guerra Civile Americana, con Smith nei panni di Peter, uno schiavo che con determinazione e forza si prende la libertà per se stesso e per la propria famiglia. Ma anche un film d’azione in cui Smith usa ingegno e prestanza fisica per superare gli ostacoli nelle paludi della Louisiana (tra cui un alligatore).

Vi state domandando come un dramma su un tema tanto importante e un remake di Rambo con i moschetti al posto dei mitra possano stare insieme? Ve lo raccontiamo in questa recensione di Emancipation, il film con Will Smith che potete trovare da oggi su Apple TV+.

La nostra recensione di Emancipation, il nuovo film di Will Smith

Nella Costituzione degli Stati Uniti si dice che tutte le persone nascono uguali e con diritti inalienabili, fra cui quello alla Libertà (e alla Ricerca della Felicità, per citare un altro film di Will Smith). Eppure, quando i Padri Costituenti scrissero queste parole milioni di americani erano in catene. E lo restarono formalmente fino a quando il Presidente Lincoln non dichiarò la fine della schiavitù in America, nel 1863.

Qui inizia il film a metà fra l’azione e il dramma storico Emancipation, con una frase bianca su sfondo nero. Che dice che gli schiavi nelle piantagioni del Sud secessionista potevano scegliere se aspettare l’arrivo dell’Esercito del Nord, oppure prendersi la libertà con le proprie mani, il proprio ingegno, e soprattutto le proprie gambe per scappare dai fucili e dai cani degli schiavisti.

Una storia cruenta, senza sconti

Will Smith interpreta infatti Peter, uno schiavo in una piantagione della Louisiana che il regista Antoine Fuqua (Training Day, The Equalizer) ci mostra con una serie di riprese aeree. Ma Peter è nella sua baracca, a medicare il piede di sua moglie Dodienne (Charmaine Bingwa) circondato dai suoi figli.

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Credit: Apple TV+

Una scena che ci mostra i due pilastri della vita di Peter: la sua famiglia e la sua fede, che esprime con preghiere sussurrate in accento haitiano. Gli uomini che entrano nella baracca a prendere Peter però non vedono la sua umanità: lo ha comprato un altro schiavista, deve andare e abbandonare la sua famiglia.

Lo strattonano, lo picchiano. Ma Peter non si piega. A Will Smith basta la postura delle spalle e la durezza dello sguardo per farcelo capire. Finisce quindi per lavorare a una ferrovia sudista, che gli schiavi stanno costruendo affinché i sudisti possano portare cannoni e munizioni per tenere lontano l’esercito del Nord.

Dirige il campo il sergente Howard (Steven Ogg), crudele senza ragione con Peter e i suoi compagni. Ma anche lui sembra sottostare silenziosamente a Fassel (Ben Foster), che tratta i suoi cani con più umanità di quella che riserva agli uomini ai lavori forzati.

In questo frangente la crudeltà sullo schermo spinge quasi a distogliere lo sguardo. Non solo per la violenza degli schiavisti, ma per come sembra parte della loro routine. Quando Peter getta un cadavere morto per la fatica in una fossa comune, siamo al punto di rottura.

Ma Peter ha sentito che Lincoln ha dichiarato gli schiavi liberi. Che si trova a Baton Rouge, che la libertà è vicina. E decide di scappare.

La recensione di Emancipation di Will Smith: fra azione e dramma

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Credit: Apple TV+

Quello che segue è un’ora intera di inseguimento fra le paludi della Lousiana. Una lunghissima sequenza che serve a lanciare un messaggio chiaro. La libertà, che tutti dovremmo avere per nascita, Peter se la conquista senza l’aiuto di nessuno.

Non ci sono “white saviors” in questo film. Anzi, quando una famiglia vede Peter passare davanti casa loro durante le preghiere prima del pranzo, una bambina si alza e urla “fuggiasco!”, allertando Fassel e gli uomini che vogliono catturare Peter.

L’unica cosa su cui Peter può fare affidamento è la sua intelligenza e la conoscenza della palude. E ogni tanto una forza bruta da Rambo (anzi quasi da Rambo 2). Come quando affronta un alligatore armato di un coltello e un bastone. Una scena un po’ fuori tono, anche in un film che fa dell’azione il suo cuore pulsante: molte altre sequenze concitate caricano di adrenalina e rendono la battaglia di Peter contro tutto e contro tutti interessante da seguire. Ma quando l’azione diventa esagerazione, rischia di togliere mordente al terribile realismo delle violenze perpetrate dagli schiavisti.

Personaggi piatti, ma interpretazioni potenti

Durante la visione per questa recensione, Emancipation ci ha colpito in positivo sotto molti punti di vista: prima fra tutti l’abilità di Will Smith di reggere l’intera trama sulle sue spalle martoriate dalle frustate. L’ispirazione per questo film nasce infatti dalla vera fotografia di Gordon o “Whipped Peter“, uno schiavo fuggito alle piantagioni che si unisce all’esercito nordista. E che mostra la schiena piena di decine di cicatrici di frustate a dei fotografi, con un contegno regale. Un’immagine che diventerà simbolo delle sofferenze subite dagli schiavi americani.

Smith prende da questa immagine l’idea di un uomo mesto, ma che non si piega. Un personaggio potente, che purtroppo la sceneggiatura di William N. Collage non approfondisce oltre. Smith ha il carisma per farci tenere lo squardo incollato allo schermo. Ma sarebbe stato più facile farlo con un personaggio più tridimensionale.

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Credit: Apple TV+

Lo stesso vale per il cattivo principale, il Fassel di Ben Foster. Il copione gli fa rigurgitare qualche teoria da suprematista bianco, gli fa urlare il suo complesso da divinità (dice letteralmente “sono il tuo Dio” a Peter) e poi risolve il conflitto prima del terzo atto, smorzandone l’impatto. Ma la crudeltà fredda di Foster funziona.

E anche Diodienne, cui torniamo in poche scene durante la fuga del marito, ha poco da fare nel copione. Ma Charmaine Bingwa riesce a farci sentire la risolutezza di questa madre anche in mezzo ai cliché del copione.

Una fotografia difficile da capire

Il film su Apple TV+ ha abbastanza talento nel cast e forza nella storia di Peter da tenervi con gli occhi puntati sullo schermo. Ma alcune scelte tecniche hanno rischiato di rovinarci la visione di Emancipation durante queste recensione.

La propensione per le riprese aree con i droni del regista Fuqua e le scene concitate dell’inseguimento hanno trasformato questo dramma storico in un film d’azione. Eppure sembra che nessuno si sia preso la briga di dirlo al direttore della fotografia Robert Richardson (che lavora molto con Tarantino e Scorsese). I colori sono tanto desaturati da apparire quasi in bianco e nero.

Una scelta che evidenzia il sangue delle ferite, ma snatura il verde della palude in cui passiamo tre quarti del film. Soprattutto perché il regista indulge spesso nel mostrare squarci di bellezza durante questo inseguimento forsennato (che pensiamo rappresentino la fede di Peter, fonte della sua resilienza). Ma con i colori desaturati queste immagini che dovrebbero spezzarci il fiato finiscono per rallentare solo il ritmo. Ci sembra la fotografia di un film molto più “lento” rispetto a queste due ore di azione.

Forse la desaturazione dei colori serve a ridurre l’impatto cruento delle immagini. Ma ci sembra che questo film, ispirato a una fotografia che mostrava senza veli la crudeltà della schiavitù, si ponesse l’obiettivo opposto. Siamo certi che qualcun altro apprezzerà molto questa scelta: noi non l’abbiamo compresa e questo ha ridotto l’impatto emotivo del film.

Emancipation vuole colpire chi guarda con la forza della terribile fotografia di Peter, ma alcune sue scelte a nostro avviso lo impediscono: un copione poco ispirato, scene d’azione a volte fuori luogo e una fotografia inadatta. Le interpretazioni e il carisma del cast (soprattutto di Will Smith), insieme a una cruenza che mostra lo schiavismo senza censura, lo rendono un film interessante da vedere. Ma non bastano a renderlo la gemma che avrebbe potuto essere.

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Stefano Regazzi

Il battere sulla tastiera è la mia musica preferita. Nel senso che adoro scrivere, non perché ho una playlist su Spotify intitolata "Rumori da laptop": amo la tecnologia, ma non fino a quel punto! Lettore accanito, nerd da prima che andasse di moda.

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