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Intelligenza artificiale, appello di 34 associazioni culturali al governo italiano

La richiesta è di avere regole più chiare

Tra rilasci di nuovi software, ultime versioni di chatbot già esistenti e (solo apparenti) terremoti negli organigrammi aziendali, in questi ultimi giorni si parla con insistenza di intelligenza artificiale.

Nell’articolo in cui davamo conto del primo compleanno di ChatGPT, dicevamo che nel futuro prossimo si renderanno necessarie due cose: comprendere e normare l’IA.

Ed è proprio in questa direzione che va l’appello sull’intelligenza artificiale firmato da 34 associazioni culturali italiane e inviato al nostro governo. Vediamo di cosa si tratta.

L’appello sull’intelligenza artificiale

L’appello sull’intelligenza artificiale è stato inviato al governo due giorni prima del Trilogo. Ossia l’incontro di giovedì 6 dicembre tra Italia, Germania e Francia in cui si deciderà sull’approvazione dell’AI Act, il regolamento giuridico europeo sull’IA.

L’appello è stato firmato da 34 importanti associazioni culturali, che chiedono al governo italiano di “sostenere una regolamentazione equilibrata che, garantendo la trasparenza delle fonti, favorisca lo sviluppo delle tecnologie di intelligenza artificiale, tutelando e promuovendo al contempo la creatività umana originale e tutti i contenuti culturali del nostro Paese.”

In Germania e Francia associazioni simili hanno firmato e presentato appelli analoghi.

intelligenza artificiale

I firmatari

Dicevamo che sono 34 le associazioni culturali firmatarie dell’appello sull’intelligenza artificiale rivolto al nostro governo.

Tra queste troviamo l’AIE (Associazione italiana Editori), la SIAE (Società Italiana degli Autori ed Editori), l’ANAC (Associazione Nazionale Autori Cinematografici), l’ANICA (Associazione nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive Digitali) e la RAAI (Registro Attrici Attori Italiani).

Più in generale, come si può leggere nel documento, “le organizzazioni firmatarie rappresentano imprese culturali e creative nei settori dell’audiovisivo, del cinema, della televisione, dei servizi per la valorizzazione e tutela del patrimonio culturale, della musica, dell’editoria libraria e giornalistica nonché diverse centinaia di migliaia di autori ed artisti interpreti che dipendono interamente dalla loro capacità di vendere contenuti, prodotti e servizi basati sul diritto d’autore e di concedere in licenza, controllandone l’utilizzo, le opere realizzate nonché la propria voce, immagine e altri dati personali”.

Il documento

Già nell’introduzione dell’appello sull’intelligenza artificiale se ne trovano gli intenti. “L’Italia sostenga le previsioni sugli obblighi di trasparenza, di conservazione delle informazioni e dell’accesso per i titolari dei diritti.

È necessario un quadro di regole chiare ed efficaci che l’autoregolamentazione non può garantire.”

Nell’appello, la posizione sull’intelligenza artificiale (specie quella generativa) è equilibrata. Lungi dal demonizzarla, i firmatari ne riconoscono tutte le potenzialità. Ma ne vedono altrettanto lucidamente i rischi, specie per chi appunto fa un mestiere creativo ma non solo.

I rischi

Il rischio di un uso indiscriminato e non normato dell’IA, secondo i firmatari dell’appello, è duplice.

Anzitutto, spesso le opere (o parti di esse) vengono riutilizzate per creare nuovi contenuti senza chiedere il consenso ai titolari dei diritti. E questo ha ricadute giuridiche ma anche economiche e morali (può ledere, ad esempio, la reputazione di un artista).

Ma c’è un rischio anche per i fruitori, che potrebbero non sapere più distinguere la provenienza umana o meno di un determinato prodotto artistico. “Questo inganno può avere implicazioni di vasta portata per la diffusione di disinformazione e l’erosione della fiducia nell’autenticità dei contenuti digitali e presenta seri problemi anche sotto il profilo etico.”

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La proposta

Le associazioni firmatarie dell’appello sull’intelligenza artificiale avanzano una proposta basata, anzitutto, sulla totale trasparenza.

Questo sia a beneficio dei fruitori sia “al fine di consentire alle parti con un interesse legittimo di determinare se e come i loro diritti siano stati lesi e di intervenire.

Questi obblighi devono essere quantomeno estesi a tutti i sistemi resi disponibili nell’UE o che generano output utilizzati nell’UE, commerciali o non commerciali e portare alla presunzione di utilizzo in caso di mancata osservanza consentendo agli aventi diritto di esercitare le proprie prerogative anche per la concessione di licenze.”

Simili obiettivi, concludono i firmatari, non si raggiungono certo affidandosi all’autoregolamentazione o ammorbidendo la proposta votata dal Parlamento europeo, ma semmai introducendo nuove regole condivise.

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Claudio Bagnasco

Claudio Bagnasco è nato a Genova nel 1975 e dal 2013 vive a Tortolì. Ha scritto e pubblicato diversi libri, è co-fondatore e co-curatore del blog letterario Squadernauti. Prepara e corre maratone con grande passione e incrollabile lentezza. Ha raccolto parte delle sue scritture nel sito personale claudiobagnasco.com

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