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Intelligenza artificiale: le donne rischiano di perdere il lavoro più degli uomini

Lo dice un rapporto McKinsey

Come abbiamo scritto in diversi articoli e come era ampiamente preventivabile, l’arrivo di una tecnologia così innovativa come l’intelligenza artificiale generativa ha suscitato non pochi entusiasmi e altrettanti dubbi.

Dubbi che si possono suddividere in due categorie: quelli di ordine etico e quelli di ordine pratico. Sui primi la discussione è attualissima, e la si risolverà (almeno parzialmente) quando l’IA sarà normata a dovere.

C’è poi il versane pratico, e cioè le conseguenze che la diffusione – che inevitabilmente sarà sempre più ampia – dell’intelligenza artificiale avrà nel mondo del lavoro.

Più brutalmente: quali e quanti lavoratori cederanno il passo a chatbot e affini?

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La ricerca di Goldman Sachs

Una ricerca di Goldman Sachs che vi avevamo presentato nel mese di marzo è stata impietosa al riguardo.

O meglio: da un lato l’IA, secondo lo studio, farebbe sì aumentare il prodotto interno lordo globale di circa il 7%. Ma a scapito dei lavoratori. Ben 300 milioni di posti di lavoro sarebbero infatti a rischio. E quasi il 20% dei lavoratori subirebbe un impatto su almeno la metà delle proprie mansioni.

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Ora un altro rapporto, del McKinsey Global Institute, mostra come l’intelligenza artificiale toglierà lavoro soprattutto alle donne (e, come vedremo, non solo a loro). Cosa dice lo studio?

Intelligenza artificiale e lavoro: donne più a rischio degli uomini

Nella giornata di mercoledì 26 luglio, il McKinsey Global Institute ha pubblicato sul suo sito uno studio dal titolo eloquente: Generative AI and the future of work in America. Ovvero: L’IA generativa e il futuro del lavoro in America.

In un quadro generale, il rapporto ci dice che entro il 2030 “sino al 30% delle ore attualmente lavorate nell’economia statunitense potrebbero essere automatizzate.”

Poi la questione si fa più specifica, e ci mostra come l’IA generativa non penalizzerà tutti allo stesso modo. Ahinoi, l’intelligenza artificiale contribuirà semmai a divaricare ulteriormente il divario non solo tra uomini e donne, ma tra le categorie sociali privilegiate e quelle svantaggiate.

Spieghiamoci più in concreto. Secondo lo studio, l’intelligenza artificiale nel mondo del lavoro colpirà soprattutto le donne, perché sono impiegate in grande percentuale nelle mansioni più a rischio. Ovvero supporto d’ufficio, servizi di ristorazione e servizio clienti. Come se non bastasse il gender gap quanto a retribuzione.

In questi ambiti è prevista una contrazione, che ridurrà il personale da 3,7 a 2 milioni di lavoratori. E addirittura 8 donne su 10 potrebbero essere costrette a cambiare lavoro.

A rischio anche neri e ispanici

Da qui al 2030 l’intelligenza artificiale non creerà difficoltà lavorative solo alle donne.

Lavoratori neri e ispanici, così come giovani e anziani, dovranno trovare un’occupazione differente da quella attuale. Il rapporto McKinsey stima che addirittura 12 milioni di lavoratori (il 25% in più di quanto rilevato da analogo studio dello scorso anno) dovranno trovare una nuova mansione. E saranno quelli già più penalizzati, quelli cioè che oggi percepiscono i salari più bassi.

La ricerca dà anche una soglia salariale precisa: è chi guadagna meno di 38.200 dollari all’anno a rischiare di perdere il lavoro. Venditori al dettaglio, cassieri, professioni d’ufficio: da qui al 2030, saranno licenziati almeno 12 milioni di lavoratori di queste e simili categorie.

Aggiungiamo un paradosso: lo studio indica che le persone più a rischio dovrebbero ampliare e aggiornare le proprie competenze per diminuire la possibilità di ritrovarsi senza impiego. Ma si tratta delle stesse persone che hanno meno possibilità di accedere a nuove competenze.

Buone notizie per i lavoratori STEM

A ulteriore dimostrazione del fatto che l’intelligenza artificiale nel mondo del lavoro penalizzerà soprattutto donne e lavoratori di bassa professionalità, e amplificherà le disuguaglianze sociali, lo studio ci mostra un dato di segno opposto.

Ovvero il fatto che l’IA generativa migliorerà il lavoro dei professionisti STEM (acronimo per Science, Technology, Engineering e Mathematics). Ambiti in cui, peraltro, la stragrande maggioranza dei lavoratori è di sesso maschile.

La ricerca del Kenan Institute of Private Enterprise

Una ricerca analoga di poco precedente, pubblicata in aprile dal Kenan Institute of Private Enterprise, mostra dati del tutto simili.

Secondo lo studio, che incrocia i dati del già citato report di Goldman Sachs con quelli delle statistiche sull’occupazione e sui salari negli Stati Uniti, l’intelligenza artificiale graverà soprattutto sul lavoro delle donne. Perché negli Stati Uniti il 79% delle donne svolge occupazioni a rischio di automazione nel futuro prossimo, contro il 58% degli uomini.

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Claudio Bagnasco

Claudio Bagnasco è nato a Genova nel 1975 e dal 2013 vive a Tortolì. Ha scritto e pubblicato diversi libri, è co-fondatore e co-curatore del blog letterario Squadernauti. Prepara e corre maratone con grande passione e incrollabile lentezza. Ha raccolto parte delle sue scritture nel sito personale claudiobagnasco.com

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