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La legge di Lidia Poët: com’è la serie Netflix con Matilda De Angelis

La legge di Lidia Poët è disponibile su Netflix dal 15 febbraio.

A oltre 70 anni dalla sua morte, la storia di Lidia Poët è più attuale che mai. Prima donna a entrare a fare parte dell’Ordine degli avvocati in Italia, per poi subire l’onta della revoca per via della condizione femminile nella società italiana di fine ‘800; attiva insieme al fratello Giovanni Enrico nella difesa di donne ed emarginati; autrice di fondamentali contributi per il diritto penitenziario e per il Consiglio Nazionale delle Donne Italiane. Una storia di coraggio, abnegazione ed emancipazione, che da oggi possiamo rivivere grazie a La legge di Lidia Poët, serie Netflix in 6 episodi con protagonista Matilda De Angelis.

Prodotta dalla Groenlandia di Matteo Rovere e diretta dallo stesso Rovere insieme a Letizia Lamartire (già alla regia di Baby e Il Divin Codino), La legge di Lidia Poët si configura come un curioso ibrido fra un classico procedural drama e un biopic in costume, ambientato nella Torino di fine ‘800 e con un simbolo della città come la Mole Antonelliana ancora in costruzione. Un racconto che affronta tematiche all’ordine del giorno come il femminismo, il pregiudizio e le storture della legge, capace però di regalare allo spettatore generose dosi di ironia e umorismo. Il tutto grazie a Matilda De Angelis, ormai vera e propria star del panorama audiovisivo italiano contemporaneo, e a personaggi secondari brillantemente portati in scena da Pier Luigi Pasino, Eduardo Scarpetta e Sara Lazzaro.

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La legge di Lidia Poët: Matilda De Angelis eroina femminista nella nuova serie Netflix

La legge di Lidia Poët
Cr. Lucia Iuorio/Netflix ©

Ci troviamo nel 1883, quando in netto anticipo sui tempi Lidia Poët (Matilda De Angelis) viene ammessa nell’Ordine degli Avvocati, diventando di fatto la prima donna a poter esercitare la professione avvocatizia in Italia. La gioia e l’orgoglio durano però poco, perché la Corte d’Appello di Torino annulla l’iscrizione, ritenendo che una donna non sia adatta a esercitare questa preziosa e fondamentale professione. Lidia però non si arrende, e torna sotto l’ala protettiva del fratello Enrico Poët (Pier Luigi Pasino), aiutandolo nei casi a lui assegnati con la qualifica oltremodo riduttiva di semplice assistente. Ad assisterla nella sua lotta per la giustizia c’è anche suo cognato Jacopo Barberis (Eduardo Scarpetta), che vive nella sua stessa casa e si distingue come intraprendente e ambiguo giornalista.

La legge di Lidia Poët non è solo una nuova importante produzione Netflix italiana capace di valorizzare un territorio importante come quello di Torino, ma è anche un tentativo della piattaforma di cercare nuove fasce di pubblico, passando dal teen drama di Baby e Summertime a tematiche più mature e complesse. Da una parte è inevitabile pensare a Bridgerton, non solo per il ricorso a scenari e costumi dell’800, ma anche per una narrazione che non ha il realismo come obiettivo principale ma abbraccia al contrario l’anacronismo per mettere in risalto i propri temi portanti. Ciò è evidente nell’utilizzo di musiche moderne e di una fotografia patinata, ma anche nell’enfasi che viene posta sulla condizione femminile, con frasi come «Se Dio ti voleva avvocato, non ti faceva donna» a esplicitare il senso dell’intera operazione.

La legge di Lidia Poët: fra Enola Holmes e Bridgerton

La legge di Lidia Poët

Allo stesso tempo, La legge di Lidia Poët si inserisce nel solco tracciato dai due film di Enola Holmes, in cui Millie Bobby Brown interpreta un’adolescente dalle spiccate doti investigative, cresciuta all’ombra del più celebre e quotato fratello Sherlock. In ognuno dei 6 episodi che compongono la prima stagione della serie, Lidia è infatti impegnata in un’indagine su un suo assistito (anche se non ufficiale), sulla quale riesce a fare luce grazie al suo intuito e a un approccio pionieristico all’investigazione, fatto di metodologie all’avanguardia come le analisi delle impronte digitali.

A una trama verticale di stampo prevalentemente giallo si accompagna una trama orizzontale che affonda invece le sue radici nel romanzo rosa, mostrandoci il privato di Lidia Poët e il suo approccio alle relazioni sentimentali, fuori dagli schemi e dal tempo. È proprio in quest’ambito che Matilda De Angelis dà il meglio di sé, cesellando l’indomita personalità di una donna costantemente in fuga da una società che cerca di incasellarla. Le ampie escursioni nelle avventure amorose della protagonista portano però inevitabilmente ad attenuare la portata della critica sociale su cui è basata la serie. Un prezzo che La legge di Lidia Poët paga per mantenersi al tempo stesso pop ed elevata, drammatica e leggera, nell’intento di non scontentare nessuno ma col rischio di non accontentare pienamente nessuno.

Un notevole sforzo produttivo

Le perplessità sopra esposte in ambito prettamente narrativo non devono però fare passare in secondo piano il notevole sforzo in ambito produttivo de La legge di Lidia Poët, che ha davvero pochi eguali nel panorama produttivo seriale italiano. In ogni momento è percepibile l’attenzione al dettaglio, che emerge soprattutto nelle lussuose scenografie e negli eleganti costumi, ma anche nella ricostruzione storica dei principali luoghi di ritrovo per la società dell’epoca. È bello perdersi in questa Torino nobile e decadente, suggestiva e sinistra, in compagnia di una donna la cui esperienza è foriera di un cambiamento ormai alle porte, per cui ancora oggi si sta giustamente combattendo.

Questo basta e avanza per fare de La legge di Lidia Poët un importante tassello per la nostra produzione, in direzione di un maggiore respiro commerciale in ambito internazionale. Fra pregi e difetti, resta la sensazione che la strada imboccata per una volta sia quella giusta.

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Marco Paiano

Tutto quello che ho imparato nella vita l'ho imparato da Star Wars, Monkey Island e Il grande Lebowski. Lo metto in pratica su Tech Princess.

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