Ritorna sul canale Twitch di Tech Princess #fotointerviste, l’appuntamento più amato dagli appassionati di fotografia. Questa settimana i due artisti dello scatto, max&douglas, hanno intervistato Luca Locatelli, fotografo due volte vincitore del World Press Photo e del Leica Oskar Barnack Award 2020. Fotografo e filmmaker, Luca Locatelli ha iniziato a lavorare con la fotografia nel 2006 dopo 10 anni di carriera come sviluppatore software.
Specializzato nel raccontare storie che mettono in relazione le persone, la tecnologia e l’ambiente, dal 2011 si è concentrato soprattutto sulle soluzioni tecnologiche che vengono adottate per affrontare le questioni più critiche legate all’ambiente. Locatelli da sempre, infatti, lavora con l’obiettivo di focalizzarsi sulle tematiche che riguardano il futuro del nostro pianeta. Nel 2004 ha fondato un’associazione che contribuisce a proteggere oltre 600.000 ettari di foresta tropicale in Amazzonia. Collabora con le più importanti testate giornalistiche al mondo, come il The New York Times Magazine, TIME, Businessweek, National Geographic Magazine.
Durante l’intervista Luca Locatelli ci ha parlato di futuro, innovazione, persone e ambiente, e ci ha portato in un vero e proprio viaggio nel suo mondo, proiettato verso il futuro del pianeta. “Nella mia precedente vita facevo l’informatico, sviluppavo software; ero totalmente innamorato di questo lavoro di coding. Sono arrivato al limite su questo fronte, mi sono reso conto che mi mancava qualcosa che alimentasse la curiosità verso l’essere umano, verso i viaggi che ho sempre adorato fare”.
Luca Locatelli ospite di #fotointerviste
“Ho ricominciato a viaggiare e sono finito in un posto magico, l’Amazzonia, in cui mi sono poi trasferito per un breve periodo. Avevo appena comprato una macchina fotografica e mi trovavo in questa situazione surreale in cui sentivo questo amore crescente per la fotografia. Sono tornato da quel viaggio e la mia carriera come informatico ha cominciato a scendere totalmente; questo amore irrazionale per la fotografia e per l’ambiente invece è esploso. Per un paio di anni ho cercato di fare entrambe le cose, poi mi sono autodichiarato fotografo”.
“Mi sono buttato in questo mondo meraviglioso, uno dei regali più belli che la vita mi ha fatto; e da li ho iniziato il mio percorso e ho cercato di recuperare terreno. In quel periodo, che io chiamo del mentre, mi sono trasferito a Palermo. Non avevo un soldo, ho perso la fidanzata, ma andavo a letto sereno, stavo bene”.
“Ho cominciato fotografando qualsiasi cosa. Ad un certo punto ho capito che la tecnologia, e la mia passione per la tecnologia, era tornata e si è ripresentata come tema all’interno della mia fotografia. Da li ho iniziato a fare immagini e storie che mi hanno portato a diventare specializzato in questa cosa, in un’equazione che triangola l’ambiente, la tecnologia, il nostro futuro, le soluzioni”.
Luca Locatelli, The end of trash
“The end of trash è un percorso organico che arriva perché stando in mezzo a queste situazioni ad un certo punto ho scoperto l’economia circolare; quindi sono andato da National Geographic, con cui avevo già fatto delle cose, e ho portato una nuova idea, l’economia circolare. È iniziato un dialogo che durato due anni: queste storie hanno un tempo di incubazione gigantesco, un po’ perché a volte sono premature, quando non si sono ancora allineati i pianeti, per cui non si trovano ancora i soggetti. Resta una buona idea ma la traduzione visiva non è ancora buona”.
“The end of trash è partito con un pitch nel 2017 e nel 2019 abbiamo concretizzato dopo tanti studi, con una prima parte di progetto che in realtà continua, sulle migliori attitudini e tecnologie per considerare lo scarto, i rifiuti una risorsa invece che un problema. L’economia circolare non è nient’altro che un ritorno dell’essere umano a un’attitudine più naturale, combattere la linearità che abbiamo instaurato negli ultimi decenni, dove prendiamo dal pianeta, usiamo e buttiamo. Invece si cerca di fare un discorso in cui prendiamo dal pianeta se necessario, facciamo delle cose con questa materia e quando la scartiamo questa materia deve essere utile a qualcun altro. Meglio ancora se il punto di partenza è direttamente un rifiuto. A questo punto ristabiliamo un equilibrio che in natura esiste già, e quindi ci permette di prendere meno dal pianeta e impattare di meno in un sistema di business”.
Luca Locatelli, le tematiche ambientali
“I temi ambientali per me sono una vera passione, quando ho cinque minuti e vado un Instagram o faccio ricerca spesso mi trovo a guardare queste cose, è una passione che ho dentro di me, e la fotografia in equal modo, è una passione dilagante, mi ha portato via completamente, e continua a crescere, e l’unione di queste cose mi porta a studiare tantissimo, mi piace leggere moltissimo su questi temi”.
“Diventando papà ho sentito una responsabilità e il desiderio di voler contribuire e provare a fare qualcosa attraverso i mezzi che ho, e provare a dare alle nuove generazioni un contributo, magari dandogli un mondo che in un prossimo futuro potranno ancora gestire. Mi dispiace osservare che nelle nuove generazioni il concetto di futuro e speranza si sia interrotto. Il mio contributo vuole essere un granello di sabbia che però cerca di alimentare quel desiderio, restituire una speranza attraverso la mia fotografia, facendo vedere che le soluzioni ci sono”.
“Uno dei posti più iconici che ci sono al mondo oggi è questo inceneritore del futuro, si chiama Amager Bakke, a Copenhagen, che rappresenta un’icona industriale, disegnato da uno dei migliori archistar del pianeta, ma è anche un luogo d’attrazione. Una volta dentro vedi la spazzatura del mondo. In Danimarca sono così efficienti nel recupero della spazzatura che importano i rifiuti dalla Germania e dall’inghilterra per far funzionare quel posto, ed è stato disegnato per funzionare un domani in bio gas. Vedere quanta spazzatura all’ora veniva bruciata per generare energia e acqua calda è incredibile: li ho pensato che dovremmo essere un po’ più bravi anche noi in questo senso”.
L’uomo e la fotografia
“Dopo questo viaggio che avevo fatto in Amazzonia nel 2004, che mi ha fatto conoscere la fotografia, abbiamo creato con un gruppo di amici un’associazione per la salvaguardia di 600mila ettari di foresta amazzonica, basandoci su un progetto già esistente, un’associazione per aiutare le popolazioni locali che sono state il braccio armato delle multinazionali: cercavamo di fargli capire che era molto più importante per il futuro conservare questi alberi a fronte dei soldi. C’erano persone che ovviamente avevano già capito questa cosa, quindi abbiamo dato una mano. Quest’organizzazione è diventata un vero e proprio modello di sviluppo sostenibile”.
“Il mio obiettivo principale è quello di tentare di aprire un dibattito, quindi quando ho iniziato questo percorso verso le soluzioni, il futuro e l’ambiente, mi sono reso conto che mi ero imbattuto in un campo difficilissimo. Il dramma è molto più attraente dal punto di vista fotografico, ti si presenta più facilmente davanti agli occhi; quello che ho provato a fare è cercare di creare delle immagini dove non si capisse realmente se l’immagine provenga dalla realtà. Ho cercato di posizionarmi, in maniera aerea o non, dentro questi scenari cercando di renderli il più estranianti possibili, perché essendo un documentarista mi pongo come obiettivo quello di non toccare minimamente quello che mi sta davanti”.
Realtà ed estraniamento
“Però l’informazione che sottende quell’immagine deve essere altrettanto forte e giustificata. Quando ho trovato questo linguaggio mi sono accorto che mancava l’uomo, e lo volevo inserire perché questa rivoluzione è fatta da noi, siamo noi che la facciamo, che la proponiamo, quindi quello che ho fatto è valorizzare queste persone che incontro in questi luoghi, che sono così. Non potendo metterli in posa, cerco di coglierli in un momento di spaesamento dentro questo scenario, cercando di far parlare la presenza umana con questi landscape post cyberpunk”.
“Mi piacerebbe tornare nella natura. Credo che a questo punto della mia carriera sia giunto il momento di farlo. Ho questo desiderio, un’attrazione fortissima di boschi, natura, riforestazioni, sento che la natura è una soluzione, anche in relazione alla pandemia che stiamo vivendo. Di recente sono stato in Senegal a fotografare un progetto di riforestazione di mangrovie, che è un baluardo ecologico gigantesco capace di fare tantissime cose insieme come pianta, che la tecnologia non riesce neanche ad emulare. Mi piacerebbe in futuro dedicarmi a questa cosa”.
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