Recensire una biografia non è mai facile. Soprattutto perchè di mezzo c’è il rapporto tra il biografo, il biografato e le storie, che in questo caso sbiadiscono i confini tra vita pubblica e privata, tra leggenda e mito. Nel ritrovarci tra le mani una copia Lucio Battisti di Ernesto Assante – edito da Mondadori e pubblicato in occasione di quello che sarebbe stato l’80esimo compleanno dell’artista di Poggio Bustone – ne abbiamo avuto la conferma: questa recensione non sarà facile da scrivere.
Già, anche perchè sfogliando le 315 pagine del libro ci siamo trovati a fare i conti con un altro rapporto: quello nostro, personale e assolutamente unico per ogni lettore, con Lucio Battisti e la sua musica. E se partirete per questo viaggio con dei preconcetti, preparatevi ad abbandonarli lungo la strada.
Da timido ragazzo di campagna a voce sgraziata di una generazione
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Per l’ennesima volta, come aveva già fatto in passato, Ernesto Assante è riuscito a portarci dove neanche il web, e le sofisticate intelligenze artificiali di cui ultimamente si fa un gran parlare, sarebbero mai in grado di condurci: nella vita di un personaggio tanto amato quanto misterioso. Non a caso la biografia comincia proprio da Poggio Bustone, nelle più sconfinate campagne laziali, che ritorneranno nelle canzoni di Lucio, anche quando questi si trasferisce da giovanissimo a Roma insieme alla famiglia, tra il severo papà Alfiero e la protettiva mamma Dea.
Assante ci regala un bellissimo affresco sul punto di rottura, non solo per Lucio Battisti come uomo, ma anche per l’intera musica italiana: l’avvento della beat generation e del rock’n’roll. Due fenomeni fortemente legati che diedero voce a una generazione intera, fornendo a Battisti la possibilità di emergere, come autore prima e come cantante poi. Non importa che il lettore abbia vissuto quegli anni o meno, Assante ricrea tutto il contesto: gruppi dai nomi improbabili come I Satiri e I Mattatori, la nascita del Piper Club, la forza dirompente di questo giovanissimo cantautore americano chiamato Bob Dylan, la nuova scena delle band (ops complessi) italiani e i Sanremo degli anni ’60. Tutti fenomeni apparentemente agli antipodi, che forgeranno artisticamente e umanamente l’animo di Lucio Battisti.
Lucio Battisti, la biografia di Ernesto Assante – La recensione
Senza mai alcuna intenzione di scindere l’artista dall’uomo, la biografia di Assante ci racconta i rapporti personali, compreso quello con Mogol, fin dal primo rocambolesco incontro. Quest’ultimo arrivò a bocciare Battisti dopo un primo provino, salvo innamorarsi della sua musica subito dopo, arrivando a minacciare le proprie dimissioni alla Ricordi qualora l’etichetta non avesse pubblicato il primo 45 giri con Battisti come cantante. Nell’epoca della rottura definitiva, quando De Andrè e Guccini avevano già cominciato a smuovere le acque per creare un nuovo modo di intendere il canto, Battisti esordisce come cantante, alla faccia di quel primo provino, della Ricordi e della critica tradizionalista.
Proseguendo sulla linea del ragazzo che diventa uomo e uomo che diventa artista, Lucio Battisti di Ernesto Assante ci racconta l’intera carriera del cantautore, tra contraddizioni e scontri. Tra un’Italia che cambia e un modello musicale che, pur con qualche reticenza, abbandona i propri preconcetti di stampo tradizionalista. E nel procedere con la lettura è lo stesso lettore a cambiare, a formare un proprio pensiero, ritrovandosi a (ri)leggere le critiche dell’epoca, ritagli di giornale e interviste perdute nei polverosi archivi della stampa italiana. Non mancano ovviamente le canzoni, le loro storie e i loro significati.
La lettura è a tutti gli effetti un viaggio nel tempo, perfettamente simboleggiato dai personaggi e i contesti raccontati. Dalle prime pagine in cui vengono citati Peppino di Capri e Ricky Gianco, ci ritroviamo sul finale con nomi come Avion Travel, Marlene Kuntz e Ligabue. Nel mezzo c’è tutto il resto: le canzoni di Lucio Battisti, gli aneddoti, l’evoluzione del suo pensiero e i travagliati rapporti personali.
Una biografia su Battisti che però riesce a raccontare anche tanto altro: la musica italiana, provincia dell’Impero anglofono, che però molto di proprio aveva da esprimere. Tu chiamale, se vuoi, emozioni.
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