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Il filo nascosto: A Venezia… un dicembre rosso shocking di Nicolas Roeg

Seguendo la scia di Nicolas Roeg, il quarto appuntamento de Il filo nascosto si concentra su A Venezia… un dicembre rosso shocking.

La cinematografia di genere britannica degli anni ’70 è letteralmente disseminata di cult da riscoprire. Fra i tanti titoli di questo florido filone, spiccano il leggendario folk horror di Robin Hardy The Wicker Man e il thriller surreale di Nicolas Roeg Don’t Look Now (adattato in italiano in un discutibile e poco fedele A Venezia… un dicembre rosso shocking), usciti non a caso in accoppiata nello stesso fortunato 1973 che ha dato i natali a L’esorcista.

Dopo aver trattato Nicolas Roeg e il suo L’uomo che cadde sulla Terra nel corso del precedente appuntamento con la nostra rubrica cinematografica Il filo nascosto, seguiamo ancora il regista britannico in questa sua precedente trasferta in Italia, con la quale trasforma la cittadina lagunare, meta del turismo di tutto il mondo, in un luogo malsano e spettrale, teatro di un racconto che si apre nel segno della tragedia familiare, evolve in un thriller psicologico a sfumature soprannaturali e devia nel finale verso un horror-giallo capace di anticipare Profondo rosso di Dario Argento.

Traendo spunto dal racconto di Daphne du Maurier Don’t Look Now, incluso nella raccolta Non dopo mezzanotte e altri racconti, Roeg mette in scena un’opera torbida e spiazzante, nella quale il regista riversa la sua esperienza come direttore della fotografia di Roger Corman, David Lean e François Truffaut, insieme a tematiche e dinamiche a lui care come l’alienazione, la premonizione e il montaggio non lineare, accompagnato da coraggiose ellissi narrative.

A Venezia… un dicembre rosso shocking: lutto e occulto si intrecciano in un thriller spiazzante

A Venezia... un dicembre rosso shocking

Donald Sutherland e Julie Christie interpretano i coniugi inglesi John e Laura Baxter, che nell’incipit perdono in tragiche circostanze la loro figlia minore Christine. Qualche mese dopo, ritroviamo la coppia a Venezia, dove John conduce i lavori di restauro della chiesa di San Nicolò dei Mendicoli. Mentre i due cercano di superare il lutto e gli inevitabili contrasti all’interno del loro matrimonio, fanno la conoscenza di due anziane sorelle, una delle quali non vedente ma dotata di poteri sensitivi. Proprio quest’ultima dice a Laura di aver visto Christine seduta a tavola con i genitori, vestita con lo stesso impermeabile rosso che indossava il giorno della sua morte. La donna avverte inoltre la coppia di un imminente pericolo: secondo le sue visioni, se John non lascerà al più presto la città, rischierà la vita.

Mentre John e Laura si approcciano in maniera opposta alla suggestione dell’occulto, col marito molto più scettico e disilluso rispetto alla moglie, Venezia è sconvolta da una serie di misteriosi omicidi. Con Laura costretta a fare improvvisamente ritorno in patria a causa di un piccolo incidente subito dal figlio maggiore della coppia, John precipita in una spirale di paranoia, vedendo addirittura la moglie su una gondola in compagnia delle sinistre sorelle. I suoi comportamenti si fanno sempre più strani e insospettiscono la polizia, che vede nell’uomo un potenziale indiziato per la scia di sangue in città. Ormai in bilico fra immaginazione e realtà, una sera John vede di sfuggita una piccola figura con indosso l’impermeabile rosso di Christine. L’uomo decide di seguirla, andando incontro a un imprevedibile svolta.

A Venezia… un dicembre rosso shocking: l’inconfondibile stile di Nicolas Roeg

Come il già citato L’uomo che cadde sulla Terra, A Venezia… un dicembre rosso shocking è un’opera che mette a dura prova lo spettatore, precipitandolo in un labirinto di suggestioni, ambiguità e false piste all’interno del quale è difficile districarsi. Come sempre nel cinema di Roeg, il colore occupa un ruolo fondamentale. A dominare è ovviamente il rosso evocato dal titolo italiano, colore che associamo immediatamente al sangue ma che in questo caso indica soprattutto la tinta dell’impermeabile di Christine, protagonista nel finale di uno stordente e allo stesso tempo chiarificatore colpo di scena. Spicca però anche lo stile chiaramente impressionista di Roeg, che mette in secondo piano le location più riconoscibili di Venezia per concentrarsi sulle calli più anguste e plumbee, tratteggiando degli straordinari chiaroscuri con il suggestivo sfondo degli edifici senza tempo della città lagunare e dei suoi caratteristici canali.

Uno stile che contribuisce al disorientamento dello spettatore e dello stesso protagonista John, perso in una storia dalle sfumature hitchcockiane dominata dal tema del doppio, che si riflette sia nei tratti caratteriali dei personaggi (il pragmatismo che si trasforma improvvisamente in psicosi, le figure più ambigue che si rivelano invece le uniche potenziali ancore di salvezza per il protagonista), sia in alcune formidabili inquadrature di Roeg (indimenticabile l’immagine riflessa della bambina sul lago). L’alienazione che contraddistingue i personaggi del regista, evidente soprattutto nell’extraterrestre Newton di David Bowie, trova qui nuove sfumature linguistiche, con il protagonista costretto a convivere con il suo lutto e con le sue ossessioni in una terra straniera, con conseguenti difficoltà nella comunicazione e nella comprensione di ciò che lo circonda.

A Venezia… un dicembre rosso shocking: la bambina con l’impermeabile rosso

La cornice veneziana è anche la perfetta allegoria del matrimonio fra John e Laura. Un rapporto che, come la stessa città lagunare, all’apparenza è perfetto e alimentato dalla passione, come testimonia la discussa sequenza di sesso inserita da Roeg. Al tempo stesso però emergono profonde spaccature all’interno della coppia, come le diverse reazioni ai poteri della sensitiva e le opposte modalità di elaborazione del lutto, ben simboleggiate dalle sequenze ambientate in una Venezia invernale sudicia, nebbiosa e inospitale, lontana dal paesaggio da cartolina che tutti conosciamo.

Non sorprende che la parabola del protagonista cominci a precipitare proprio nel momento dell’improvvisa e indesiderata separazione dalla moglie. Dopo aver percorso i binari del raffinato thriller psicologico alla Roman Polanski, A Venezia… un dicembre rosso shocking vira con decisione verso l’horror, incanalando occulto, violenza, dolore e sentimento verso territori inaspettati. La stessa immagine della bambina con l’impermeabile (che curiosamente 20 anni più tardi troverà un collegamento nella ben più celebre bambina col cappotto rosso di Schindler’s List – La lista di Schindler di Steven Spielberg) si trasforma in una sorta di derisorio MacGuffin, utilizzato da Roeg per depistarci per l’ennesima volta.

L’epilogo ci rivela infatti che questa figura non ha nulla a che fare con la povera Christine, ma è invece il vestiario scelto per commettere crimini dal serial killer veneziano, cioè un’inquietante nana, che sembra uscita da uno dei successivi incubi su pellicola di Dario Argento e David Lynch.

Un epilogo cupo e malinconico

A Venezia... un dicembre rosso shocking

L’allucinata e arcana trama di A Venezia… un dicembre rosso shocking trova così, con l’ennesimo doppio della bambina/nana, una propria conclusione razionale e allo stesso tempo coerente con lo stile lisergico adottato da Roeg. La sottotrama gialla si risolve infatti con un’assassina ancora avvolta nel mistero, che presumibilmente continuerà a mietere vittime nel freddo grigiore veneziano, mentre il rapporto di John con l’occulto giunge all’epilogo più tragico e angosciante, facendo avverare tutti i presagi avuti dall’uomo nel corso del racconto, inclusa la visione di Laura in compagnia delle sorelle, premonitrice del suo stesso funerale.

Una conclusione cupa e malinconica per un’opera in cui niente è come sembra, ma dove tutto trova un suo macabro e beffardo senso. Fra profetici giochi di colore, infauste comparse di vetri e l’onnipresente acqua, silenziosa e austera, che sembra quasi osservare sprezzante il triste e doloroso cammino dei protagonisti, emerge uno dei migliori thriller degli anni ’70, non abbastanza conosciuto per via di una distribuzione tutt’altro che capillare, sia in streaming sia in home video. Una produzione che è anche fedele rappresentazione di un’Italia unica e irripetibile, che emerge fra le vie di Venezia e grazie al contributo di alcune nostre eccellenze, come le ammalianti musiche di Pino Donaggio (alla sua prima colonna sonora di un film) e le efficaci apparizioni di caratteristi del calibro di Renato Scarpa e Leopoldo Trieste.

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Il filo nascosto nasce con l’intento di ripercorrere la storia del cinema nel modo più libero e semplice possibile. Ogni settimana un film diverso di qualsiasi genere, epoca e nazionalità, collegato al precedente da un dettaglio. Tematiche, anno di distribuzione, regista, protagonista, ambientazione: l’unico limite è la fantasia, il faro che ci guida è l’amore per il cinema.

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Marco Paiano

Tutto quello che ho imparato nella vita l'ho imparato da Star Wars, Monkey Island e Il grande Lebowski. Lo metto in pratica su Tech Princess.

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