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Dahmer – Mostro: La vera storia di Jeffrey Dahmer, la recensione della nuova serie Netflix

Un prodotto cinematograficamente interessante ma che possiede, da un punto di vista morale, fin troppi difetti

Dahmer – Mostro: La vera storia di Jeffrey Dahmer è uno degli ultimi successi di Netflix, in cima alla classifica della piattaforma streaming da ben due settimane: questa è la nostra recensione. Questa serie originale, realizzata da Ryan Murphy, ha scombussolato un po’ il mondo, causando controversie e facendo parlare molto il pubblico.

Ci teniamo comunque a sottolineare che le vicende trattate all’interno di questa serie TV sono ispirate a fatti realmente accaduti. Pertanto potrebbero urtare la sensibilità altrui.

Dahmer – Mostro: La vera storia di Jeffrey Dahmer, la recensione della nuova serie Netflix

Conosciamo Ryan Murphy e il suo pupillo, Evan Peters. Sapevamo quindi che questa serie TV sarebbe stata, da un punto di vista cinematografico, impeccabile. Si tratta infatti di un continuo crescendo di ansia ed inquietudine, reso ancora più realistico dall’incredibile interpretazione del giovane Peters. Freddo, distaccato, impassibile: sembra davvero il serial killer perfetto.

Tuttavia il fatto che questa serie TV si ispiri a fatti realmente accaduti, ha scosso terribilmente il pubblico, in particolare le famiglie delle vittime morte per mano del vero Jeffrey Dahmer, famiglie che vorrebbero solamente trovare la pace – sempre che sia possibile. Ma procediamo per gradi, cari lettori.

La serie su Dahmer ha inizio dalla fine. Ci mostra il modo in cui Tracy Edwards, un giovane ragazzo di colore, è riuscito a sfuggire miracolosamente dalle grinfie di Jeffrey Dahmer nel 1991 e di come quest’ultimo sia poi stato catturato, finalmente, dalla polizia del posto.

A partire dal secondo episodio in poi, la serie di Murphy si concentra sulla vita di Jeffrey Dahmer e su tutti quegli avvenimenti che lo hanno portato al primo omicidio, e poi al secondo, fino a diventare Il Cannibale di Milwaukee. La serie TV si muove tra fatti storici realmente accaduti ed eventi di cui non abbiamo alcuna conferma e che, quasi sicuramente, sono stati inseriti all’interno del prodotto per fare sceneggiatura. Quindi è bene prestare attenzione a ciò: non tutto quello che vedete è vero.

Per quanto riguarda le vittime, il modus operandi di Dahmer e ciò che faceva post-mortem, quello purtroppo è tutto vero. Da questo punto di vista Murphy è stato geniale nello sfruttare ciò che si sapeva di Dahmer e ad utilizzarlo a suo vantaggio. Non vedremo mai concretamente, o nel dettaglio, – e menomale, ci teniamo ad aggiungere – ciò che Dahmer fa alle sue vittime. Questo accade per due motivi, a parer nostro.

Il primo è che non ne abbiamo bisogno. La nostra mente sa già quello che è accaduto – e se non sapeva si è di certo andata ad informare su Wikipedia. Quindi ci pensa lei a farci immaginare, a creare immagini spaventose nella nostra testa. Il secondo è che Murphy avrebbe decisamente superato il limite.

I problemi della serie TV

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Lo abbiamo già accennato all’inizio: da un punto di vista seriale e di prodotto in sé, Dahmer è eccezionale. Evan Peters offre il meglio di se stesso in questo ruolo, è brillante, stupefacente. Solo lui sarebbe stato in grado di (ri)portare in vita un personaggio simile. In tutto questo discorso dobbiamo però inserire un ma.

Sebbene – o almeno si spera – l’idea di Murphy non sia stata quella di suscitare tenerezza o empatia nei confronti del vero Dahmer, riteniamo comunque grave che sia stata creata una serie TV su di lui. Un prodotto che ci parla della sua vita, delle persone che lo circondavano, analizzando poi ciò che ha fatto. Ci sembra inappropriato dedicare la maggior parte di questo prodotto a Dahmer e mettere in luce questo suo continuo tormento interiore, questa sua consapevolezza di essere diverso ed incapace di adattarsi.

Prendiamo come esempio la serie The Assassination of Gianni Versace. Il vero protagonista di questa serie non è l’assassino come si potrebbe pensare. La serie crime sì, ci mostra Cununan, ma lo fa nel modo in cui veniva percepito all’epoca, ovvero in modo impercepibile.

Andrew Cunanan era un assassino e non è stato possibile comprendere cosa gli passasse per la testa. Si è teorizzato ma non abbiamo mai ricevuto una risposta concreta.

Nella serie TV su Dahmer, invece, è come se si volesse disperatamente far luce sulla consapevolezza dell’assassino riguardo i suoi problemi, facendolo di conseguenza passare come vittima. Si elogia la sincerità che ha avuto in tribunale e la fermezza avuta nell’ammettere immediatamente i suoi omicidi. In realtà, cari lettori, non c’è nulla da elogiare o con cui empatizzare.

Un argomento delicato e complicato

Trovare una risposta al perché una persona ne uccide un’altra è pressoché impossibile. Ci sono tante teorie e studi dietro all’argomento: si parla di infanzie distrutte, genitori violenti, persone che hanno portato l’individuo sulla cattiva strada. Si parla di malattie mentali, uso di sostanze stupefacenti e molto altro.

La verità però è che il cervello umano è uno strumento tanto affascinante quanto difficile da comprendere.

È facile affermare che quest’uomo ha ucciso qualcuno perché è “matto“, o perché “da piccolo veniva maltrattato” oppure perché era “drogato“. La realtà, invece, è molto più complicata. All’interno di queste situazioni sono presenti numerose variabili ed elementi che non possono offrirci una risposta universale e concreta al perché qualcuno uccide qualcun altro.

Nel corso degli anni ’70 gli agenti speciali dell’FBI Robert Ressler John E. Douglas, dopo attente analisi ed interviste, hanno coniato il termine serial killer. Il lavoro svolto da questi due agenti è stato estremamente importante poiché ha permesso di scoprire la presenza di correlazioni tra contesto sociale e motivazioni personali che hanno spinto dei serial killer ad uccidere.

È però opportuno affermare che non si può fare di tutta l’erba un fascio.

Il loro lavoro ha permesso di stilare un quadro generale dell’ipotetico serial killer di turno. Tuttavia ci basta dare un’occhiata ad un tipo come Ted Bundy e metterlo a paragone con Dahmer per renderci conto che dietro c’è molto di più.

Questa ovviamente è la nostra piccola opinione e un modo per dire: sì, probabilmente Jeffrey Dahmer ha avuto un’infanzia difficile e questo potrebbe aver influenzato il suo modo di vedere o percepire le cose. Però riflettiamoci un attimo. Quante sono le persone che hanno avuto un’infanzia devastante e sono riuscite, nonostante tutto, a rialzarsi evitando di uccidere qualcuno?

Le famiglie delle vittime non hanno preso bene la serie TV

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Un altro problema della serie TV è il seguente: le famiglie delle vittime non sono state avvisate. La sorella di una delle sue vittime ha dichiarato che la serie è “dura e negligente”.

Rita Isbell, il cui fratello Errol Lindsey aveva 19 anni quando è stato ucciso, ha rilasciato un’emozionante dichiarazione in tribunale nel 1992. La donna ha però dichiarato di non essere stata informata riguardo la serie.

Isbell ha dichiarato a Insider: “Quando ho visto una parte dello show, ho provato fastidio. In particolare quando mi sono vista – quando ho visto il mio nome passare sullo schermo e questa signora che diceva esattamente quello che avevo detto”.

La donna ha poi affermato che Netflix avrebbe dovuto dare parte del denaro ricavato dallo show ai figli e ai nipoti delle vittime.

Se lo spettacolo fosse andato a loro vantaggio in qualche modo, non sarebbe sembrato così duro e negligente. È triste che stiano solo facendo soldi su questa tragedia. È solo avidità.

Inoltre Eric Perry, cugino di Lindsey, ha scritto su Twitter che la famiglia non era soddisfatta della serie.

“È riportare a galla un trauma doloroso e straziante, e per cosa?”, ha detto. “Di quanti film/spettacoli/documentari abbiamo bisogno ancora?”. Ha poi aggiunto che “ricreare mia cugina che ha un crollo emotivo in tribunale di fronte all’uomo che ha torturato e assassinato suo fratello è pessimo.”

La recensione di Dahmer – Mostro: La vera storia di Jeffrey Dahmer su Netflix, in conclusione

Dahmer – Mostro: La vera storia di Jeffrey Dahmer è un prodotto molto valido da un punto di vista cinematografico/seriale. Ottimi effetti speciali, trama incalzante e lineare, e un Evan Peters davvero sublime.

Tuttavia fa questo strano tentativo (probabilmente non voluto, o almeno così speriamo) di rendere l’assassino la vittima di turno. Vuole, o almeno sembra, che il pubblico empatizzi con lui. Allo stesso tempo tenta in qualche modo di addossare la colpa a dinamiche che sì, in parte lo avranno anche influenzato, ma che di certo non sono state scatenanti.

Il fascino di questa serie TV deriva in parte dal fatto che il pubblico è convinto che possa offrire una risposta alle grandi “domande della vita.”

Perché Jeffrey Dahmer ha ucciso tutte quelle persone? Qual è stata la causa scatenante che lo ha spinto a diventare un serial killer?

In realtà questa serie TV, come molte altre, non rispondono a questo quesito. Anzi, provocano solo dolore nelle famiglie delle vittime e spingono il pubblico a ricordare un essere simile.

Il ricercatore e autore Coltan Scrivner afferma che la popolarità di questi prodotti suggerisce che “la curiosità morbosa è un tratto psicologico comune nelle persone”. E noi, sinceramente, siamo d’accordo con lui.

Cari lettori, Dahmer – Mostro: La vera storia di Jeffrey Dahmer è ora disponibile sulla piattaforma streaming di Netflix.

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Veronica Ronnie Lorenzini

Videogiochi, serie tv ad ogni ora del giorno, film e una tazza di thé caldo: ripetere, se necessario.

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