Ritorna sul canale Twitch di Tech Princess #fotointerviste, l’appuntamento più amato dagli appassionati di fotografia. Questa settimana i due artisti dello scatto, max&douglas, hanno intervistato Eolo Perfido, fotografo ritrattista che dirige uno dei più grandi studi di fotografia in Italia e che nella sua carriera ha collaborato con importanti agenzie internazionali.
Le sue immagini sono state pubblicate su riviste come NY Times, Communication Arts, Panorama First, Vision, Vogue Russia; ha lavorato al fianco di fotografi come Elliot Erwitt, Eugene Richards, James Nachtwey e Steve McCurry. Nel 2009 è stato insignito del primo premio dell’Associazione Nazionale Fotografi Professionisti Italiani Tau Visual per la qualità artistica delle sue immagini. Uno dei suoi lavori di maggior successo è stata la serie fotografica “Clownville” esposta anche alla Galleria Janet Coast di Recife in Brasile.
Durante l’intervista Eolo Perfido ci ha parlato dei suoi progetti e della serie fotografica “Clownville”, e cosa significa per lui essere un fotografo di strada e un ritrattista. “La fotografia mi ha sempre seguito. Ho sempre avuto un grande amore per l’immagine a cui mi sono avvicinato attraverso mondi paralleli come il cinema, l’illustrazione, come fruitore. Sentivo la voglia di dire anche la mia”.
Eolo Perfido ospite di #fotointerviste
“Un grande aiuto in questo senso me lo diede il gestore di un laboratorio fotografico che mi prese a cuore; amava quel ragazzetto che gli portava le foto, i rullini, e piano piano siamo diventati amici. Ho cominciato a sviluppare da solo e non avere quel costo alla fine, quella spesa, mi ha permesso di scattare di più, di potermi mettere più alla prova, e quindi migliorare velocemente”.
“Credo che esistano due tipologie di ritrattisti: chi tenta di essere il più sincero possibile nel rappresentare l’altro, dinamica che costringe il fotografo a cambiare in continuazione perché si deve porre nei confronti dell’altro in modo da poterlo comprendere. Io però faccio parte dell’altra tipologia di ritrattisti che vede nell’altro uno strumento attoriale, un elemento con cui ovviamente collaborare e che influisce nella foto, perché un ritratto si fa in due. È interessante quando la persona fotografata resta quasi interdetta vedendosi, perché si osserva all’interno di un potenziale inaspettato”.
“Anche per la fotografia di strada ci sono diversi approcci: c’è chi la vede come documentale, in cui il reale diventa un po’ il fine del lavoro. Io faccio un tipo di fotografia di strada più astratta perché per me il reale è uno strumento, è un elemento che riconfiguro attraverso l’inquadratura, la scelta del tempo, il punto di vista. Mi metto continuamente alla prova e cerco di costruire con quello che ho qualcosa di significativo, rispetto a un certo tipo di poetica, di atteggiamento”.
Eolo Perfido, fotografo ritrattista
“È qualcosa che ha bisogno di tempi diversi, di ricerca diversa. La mia street è fortemente autoriale ma in una forma astratta. Costruisco un contenuto che può portare con sé tutta una serie di emozioni: le foto di street sono generatori di emozioni. Penso che nella street il progetto sia il fotografo con il suo impianto stilistico, con il suo gusto, con il senso estetico. Bisogna emozionare, fare un lavoro di sintesi, usare pochissime parole che lascino il segno: la vivo così la fotografia.
“La street mi permette di vivere il mio rapporto personale e solitario con la fotografia. La macchina diventa il tuo strumento, qualcosa che percepisci come una tua estensione; lo senti tuo e sei più fluido. È un lavoro anche questo di affinamento nel tempo”.
“Ogni volta che incontri qualcuno ci sono delle variabili fondamentali, come il tempo, da prendere in considerazione, perché a volte capita di dover fare ritratti con tempi ristretti, e poi delle dinamiche di relazione che hanno a che fare con dei rapporti di forza; tu generi un piccolo territorio fotografico che può essere il tuo studio, o un altro luogo in cui speri di avere un po’ di controllo, un controllo che a volte non è evidente, ma che è necessario. E in quell’ottica li non c’è un metodo o una regola: bisogna sviluppare una sensibilità, devi essere capace di entrare in empatia con le persone, capire anche quando è il caso di non parlare. Anche il silenzio può essere una base sulla quale costruire un ritratto”.
#fotointerviste: Eolo Perfido ospite di max&douglas
“Io mi sento sempre un po’ nella condizione di dare ma anche di ricevere qualcosa quando faccio i ritratti. Con gli anni ho visto che la cosa migliore è trovare una chiave di lettura che porti l’altro a sentirsi parte di un progetto e collaborare, spiegare quello che si andrà a fare può essere d’aiuto”.
“Nella serie di Clownville il lavoro di trasformazione è particolarmente lungo; quello che cerco di creare è una condizione di teatro: definisco un palcoscenico, a volte anche molto semplice, un punto luce, e poi inizia un’interazione che spesso stressa molto i soggetti. Ho scoperto che la maschera libera i soggetti dalla paura di essere loro stessi, e libera dalla paura di esprimere qualcosa che un po’ tutti abbiamo dentro, la rabbia, la voglia di urlare, anche degli aspetti non necessariamente armonici nella nostra anatomia. Diventa un esperimento interessante per un ritrattista che vuole provare a tirar fuori dai soggetti anche qualcosa di personale”.
“I modelli che prendo per Clownville sono molto trasversali: può essere il mio vicino di casa, un fotografo più o meno noto, un personaggio pubblico. Quello che faccio normalmente è non dire chi sono i soggetti, così vengono messi tutti sullo stesso livello: è la maschera che comanda. Diversamente a ciò che accade nell’advertisement, che è tutto molto programmato, Clownville è qualcosa che faccio molto di pancia; cerco di non essere sempre fedele a me stesso, anche di lasciarmi andare all’umore del momento”.
Clownville: creare una condizione di teatro
“Il nostro lavoro ha visto tanti momenti di alti e bassi, di crisi, di cambiamenti generazionali e di metodi di lavoro. In questo senso la formazione è diventata qualcosa di importante; finché non provi a formare non sai se può fare per te, e negli anni è diventata una passione e che faccio con piacere”.
“Quando ho dovuto spiegare quel che facevo in maniera istintiva ho dovuto fare un passo indietro e capirmi anche meglio. Mi dedico il più possibile alle persone, agli studenti, cerco di condividere quello che so perché è quello che ho deciso di fare. È uno scambio che sicuramente mi ha migliorato anche come fotografo e autore”.
“Ho avuto la fortuna, quando già facevo il fotografo, di fare da assistente a qualche fotografo importante, come McCurry, Elliot Erwitt, Eugene Richards; erano rappresentati dalla stessa agenzia che aveva iniziato a rappresentare anche me, e quando ho visto questi grandi nomi mi sono messo al loro servizio come assistente”.
Accettare lo sguardo degli altri
“Erano tutti grandi fotografi ma avevano in comune sostanzialmente una cosa: la capacità di ottenere quello che volevano, che nel nostro lavoro è molto importante. Spesso dobbiamo collaborare con le persone, e per questo bisogna sapere insistere, trovare una chiave di lettura, avere una grande forza di volontà. Questo li accomuna tutti”.
“Per quanto riguarda i social, a me non dispiace che la fotografia sia diventata più democratica; una società più educata è una cosa positiva, il problema è che aumentata molto la visibilità dei non educati, e questo genera rumore di fondo, che è sempre esistito è che diventato assordante. È importante sviluppare degli strumenti per poter selezionare: io gestisco i miei social e lo faccio in maniera attenta. Può essere complicato per un giovane autore oggi vivere in questo tsunami di immagini”.
“La foto dei due ragazzi dietro una mascherina è stata scattata a Verona durante un workshop: ho visto con la coda dell’occhio questi due ragazzi che correvano, si sono abbracciati, lui si è tolto la mascherina e l’ha messa sull’orecchio di lei, un gesto che ho trovato bellissimo. Io mi sono avvicinato e ho fatto tre foto in sequenza. Quando si fa street è una continua dinamica: bisogna seguire il flusso, prendere il ritmo di questo respiro, ed è uno degli strumenti che utilizzo per poter essere meno percepito, così da essere in sincronia con quello che mi circonda, accettare lo sguardo degli altri, non risultare ambiguo, essere li ed essere sicuro di quello che sto facendo”.
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