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Gli uccelli: l’horror apocalittico di Alfred Hitchcock compie 60 anni

Compie oggi 60 anni Gli uccelli, capolavoro targato Alfred Hitchcock.

Se Alfred Hitchcock è diventato un nume tutelare sotto il quale si uniscono tutti gli appassionati di cinema, non è solo per la caratteristica suspense dei suoi film, per le sue storie torbide e allo stesso tempo intrise di umanità, per il sapiente utilizzo del MacGuffin o per i suoi memorabili personaggi femminili, ma è anche e soprattutto per la capacità di applicare una tecnica raffinata e pionieristica alle sue opere, trasformandole così in spartiacque in grado di rendere la settima arte più ricca e matura. Un’abilità più unica che rara, che emerge con particolare forza ne Gli uccelli, prima e unica escursione nell’horror di Alfred Hitchcock presentata esattamente 60 anni fa, il 28 marzo 1963. Un’età che il film non dimostra, dal momento che ancora oggi si presenta come un fulgido esempio di perizia registica, prestato a un racconto intriso di paura e mistero.

Tutto nasce dall’omonimo racconto di Daphne Du Maurier, che con le sue opere aveva già ispirato i film di Hitchcock La taverna della Giamaica e Rebecca – La prima moglie. Il soggetto di un attacco degli uccelli all’umanità inizia a sedimentare nella mente del maestro, per poi emergere prepotentemente quando quest’ultimo nel 1961 legge sul Sentinel di un’invasione di uccelli marini fra le abitazioni della costa di Santa Cruz. Prende così vita un racconto in cui l’orrore, il fantastico e l’inspiegabile irrompono irruentemente nella realtà, dando vita a un mistero ancora oggi sfuggente e aperto a diverse interpretazioni.

I 60 anni de Gli uccelli

Protagonista de Gli uccelli è Melanie Daniels, interpretata dalla modella Tippi Hedren, alla sua prima vera esperienza di recitazione dopo la comparsata in Ogni anno una ragazza di Henry Levin. In un negozio di animali, la ricca e irrequieta Melanie incontra l’avvocato Mitch Brenner (Rod Taylor), che inizia un divertito colloquio con lei sugli uccelli in vendita, per poi ammettere di averla già vista in tribunale, dove la donna era a processo per guida in stato di ebbrezza. Attratta da Mitch, Melanie annota la sua targa e ottiene il suo indirizzo, presentandosi nella sua casa di Bodega Bay con la scusa di recapitargli una coppia di pappagalli. Mentre si avvicina alla casa di Mitch a bordo di una piccola barca a motore, Melanie viene improvvisamente attaccata e ferita alla testa da un gabbiano.

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È il primo allarmante segnale di una vera e propria ribellione degli uccelli contro gli esseri umani. Mentre si susseguono eventi sempre più pericolosi e sinistri, Melanie ha modo di conoscere anche altre tre donne legate a Mitch, ovvero la possessiva madre Lydia (Jessica Tandy), la sorella Cathy (Veronica Cartwright) e la sua ex Annie (Suzanne Pleshette). Gli uccelli intensificano i loro inspiegabili attacchi, lasciandosi dietro una lunga scia di sangue e terrore.

Gli uccelli e Psyco

Gli uccelli

Non è un caso che Gli uccelli arrivi a tre anni di distanza da Psyco. Una lunga pausa in quel momento inedita per il maestro, accentuata dalla lunga post-produzione de Gli uccelli, ma dovuta forse anche alla necessità di tirare il fiato dopo un’opera capace di ridefinire il concetto stesso di thriller, prima di fare altrettanto con l’horror, territorio peraltro già accarezzato con l’agghiacciante parabola esistenziale di Norman Bates. Ma i collegamenti fra Psyco e Gli uccelli non finiscono qui. Anche in questo caso abbiamo infatti un intreccio che depista lo spettatore, per poi virare inaspettatamente verso diverse atmosfere: a muovere il racconto in Psyco erano i soldi rubati dalla Marion Crane di Janet Leigh, poi brutalmente uccisa nella celeberrima scena della doccia, mentre in questo caso assistiamo a un lungo primo atto da screwball comedy, alimentato dall’incontro/scontro fra Melanie e Mitch.

Melanie è una tipica donna che visse due volte hitchcockiana, plasmata non a caso dal regista sulla base delle scene di altri suoi film, attraverso costosi provini girati da Tippi Hedren insieme a Martin Balsam. La vediamo imbattersi in un altro tormentato rapporto fra madre e figlio, dai risvolti non altrettanto inquietanti ma caratterizzato dallo stesso timore dell’abbandono, tema che ricorre ripetutamente ne Gli uccelli attraverso i ripetuti allontanamenti delle figure maschili dalle vite delle donne. Come in Psyco, la cui già citata scena della doccia richiese una settimana di riprese per circa 45 secondi di girato, anche in questo caso abbiamo un sontuoso lavoro di montaggio da parte di Hitchcock e George Tomasini, che anche a causa dell’avversione del maestro verso le riprese in esterna combinano circa 3000 inquadrature, facendo ampio ricorso a trucchi ed effetti speciali artigianali capaci di reggere sorprendentemente la prova del tempo.

Il blockbuster prima dei blockbuster

Ne Gli uccelli non manca il consueto viaggio di Alfred Hitchcock negli abissi dell’animo umano, ma mai come in questo caso il maestro cede alla tentazione dell’irrazionale, dello sfumato, delle multiple interpretazioni. Negli anni sono state fatte molte ipotesi sul mistero che sottende gli altri, ovvero il motivo per cui gli uccelli iniziano ad attaccare gli umani. Gli zombi di George A. Romero sono ancora lontani (La notte dei morti viventi è del 1968), ma una possibile spiegazione è sicuramente quella di un’epidemia capace di rendere aggressivi animali solitamente miti e di contagiarne al tempo stesso altri. L’ipotesi più accreditata è però indubbiamente quella ecologica-religiosa, secondo la quale sono la natura e Dio a punire il genere umano per le sue colpe. Teoria sostenuta da una delle scene più suggestive del film, che ci mostra un incendio dall’alto, da una prospettiva che potrebbe essere proprio quella di Dio.

Proprio come avviene nel cinema di M. Night Shyamalan, le cui opere sono i frutti più evidenti de Gli uccelli all’interno del panorama audiovisivo contemporaneo, sarebbe però un peccato ridurre questo capolavoro hitchcockiano alla mera ricerca di spiegazioni. Gli uccelli è infatti uno scrigno di soluzioni visive, idee registiche e brillanti intuizioni narrative, che lo rendono uno dei film più sperimentali del maestro. Aspetto che solo apparentemente entra in contraddizione col fatto che siamo di fronte a uno dei primi vagiti del concetto di blockbuster, imposto definitivamente all’attenzione generale da Steven Spielberg con Lo squalo nel 1975. Da fine conoscitore della psicologia umana, il regista ideò insieme al reparto marketing un manifesto che recitava “Please do not see the end first!!! See it from the beginning“, in modo tale da scoraggiare l’abitudine di entrare in sala prima della conclusione dello spettacolo precedente, ma soprattutto per stimolare la curiosità degli spettatori.

Il sonoro de Gli uccelli

Per Alfred Hitchcock la tecnica è sempre al servizio dell’esperienza di visione, e mai viceversa. Gli uccelli non fa eccezione a questa regola, a partire da una colonna sonora che a differenza della maggior parte degli altri film del maestro è quasi del tutto priva di brani originali. Questo perché il lavoro sul sonoro, grazie anche all’inestimabile contributo di Remi Gassmann e Oskar Sala, si è concentrato soprattutto sui rumori degli uccelli, trasformati in vera e propria partitura. Il racconto è sostenuto ed enfatizzato dai versi degli animali, elaborati con l’elettronica in modo da ottenere un effetto ancora più spaventoso e straniante.

La medesima filosofia si applica agli stessi uccelli, che sono composti sia da veri corvi e gabbiani opportunamente addestrati, sia da volatili meccanici, minuziosamente mescolati fra loro in modo da ottenere un migliore effetto scenico. Tutto questo è completato da un raffinato lavoro sui fondali, sfruttati in abbondanza per aggirare la già menzionata antipatia del maestro per le riprese all’aperto. Per fare interagire i personaggi con i paesaggi circostanti, si sono utilizzati pregevoli sfondi dipinti a mano, e si è ricorso anche alla tecnica allora avveniristica delle lampade al sodio su fondale giallo. Il risultato è strabiliante, soprattutto in relazione ad altri film ad alto budget dello stesso periodo. Gli attacchi degli uccelli agli umani, in particolare nella memorabile sequenza dell’aggressione a un gruppo di bambini, sono ancora oggi genuinamente spaventosi, e molto più realistici di analoghe scene ottenute con la CGI odierna.

Dietro le quinte de Gli uccelli

Gli uccelli

Sul set non tutto è però andato liscio. Molti componenti della troupe furono feriti dai volatili, con conseguenze nefaste per la loro salute e per il loro morale. Ad avere la peggio fu proprio Tippi Hedren, che per via delle ripetute riprese in cui veniva colpita dagli uccelli ebbe un vero e proprio esaurimento nervoso, che la costrinse a qualche giorno di pausa dal set. Il rapporto fra l’attrice e Hitchcock cominciò inoltre a mostrare alcune tossiche crepe durante la lavorazione de Gli uccelli, per poi deflagrare durante la successiva collaborazione fra i due per Marnie.

Il regista fu un prezioso mentore per l’attrice, che già alla sua prima prova sul grande schermo dimostra un’invidiabile intensità. Allo stesso tempo, Hitchcock si rese però colpevole di molestie nei confronti di Tippi Hedren, entrando prepotentemente nella sua vita privata anche attraverso ripetute avance. I rifiuti di quest’ultima portarono a un raffreddamento del rapporto fra i due e a una sostanziale interruzione della sua carriera. Vincolata da un contratto in esclusiva con la Universal, l’attrice fu vittima della terra bruciata che le fece intorno il regista, perdendo così l’opportunità di partecipare come protagonista a Fahrenheit 451 di François Truffaut e tornando sul grande schermo solo nel 1967 ne La contessa di Hong Kong di Charlie Chaplin, in un ruolo di secondo piano rispetto ai protagonisti Marlon Brando e Sophia Loren.

Una regia ricca di inventiva

Gli uccelli

Tornando però ai risvolti prettamente artistici de Gli uccelli, è doveroso soffermarsi su alcuni preziosismi in esso contenuti. Uno di questi è il celeberrimo “urlo muto” di Jessica Tandy, che anche con pochi minuti a disposizione lascia un segno ben più tangibile nel racconto rispetto al personaggio di Rod Taylor, caratterizzato volutamente come un uomo privo di carisma e personalità. Dopo aver trovato il cadavere di un uomo privo degli occhi, strappati dalle orbite dai famelici volatili, Lydia scappa via terrorizzata, ma la sua gola non riesce a emettere alcun suono, nonostante l’evidente sforzo tipico dell’urlare. Una sequenza di notevole intensità, chiaramente ispirata a L’urlo di Munch e genuina espressione di una paura che lascia senza fiato e senza alcuna possibilità di fuga.

Ancora più fine è la scena del lento raduno degli uccelli intorno a Melanie, esempio perfetto dell’abilità di Alfred Hitchcock nella creazione della suspense. Mentre la protagonista è seduta sulla panchina ignara della situazione, dietro di lei arriva un numero sempre maggiore di minacciosi uccelli. Grazie anche al montaggio alternato fra il primo piano sempre più stretto di Tippi Hedren e l’aumento esponenziale dei volatili, si dà vita a una dinamica estremamente funzionale per il grande schermo, in cui gli spettatori dispongono di un numero di informazioni notevolmente più alto rispetto ai personaggi, con l’effetto di innescare una palpabile tensione. L’ennesimo colpo di genio da parte dell’uomo conosciuto anche come “Il Maestro della suspense”.

L’immancabile cameo di Alfred Hitchcock

Gli uccelli

Alfred Hitchcock si concede l’immancabile cameo (nelle battute iniziali lo vediamo uscire dal negozio di animali con al guinzaglio due terrier, entrambi di sua reale proprietà), ma poco prima compie un’operazione sopraffina facendo rivolgere un fischio a Tippi Hedren, che si volta sorridendo lusingata. Un omaggio allo spot pubblicitario che permise al regista di scoprire l’attrice (in cui avveniva una scena analoga), ma anche e soprattutto un suggerimento velato a ciò che si scatenerà poco dopo sullo schermo, dal momento che il fischio, più o meno acuto, è il richiamo utilizzato proprio dagli uccelli.

Tutto ciò che avviene in seguito è infatti un crescendo di paura e brutalità, che i protagonisti non possono contrastare. I dialoghi, inizialmente leggeri e maliziosi, si fanno sempre più seri e preoccupati; la stessa Tippi Hedren, presentata come donna di impeccabile e abbagliante bellezza, appare sempre più deturpata e sfiorita. Mentre tutto inizia a crollare, arriva anche il momento dell’atteso confronto a proposito dell’origine della ribellione, che avviene all’interno di un bar, il principale luogo in cui chiunque può esprimere un’opinione, a prescindere dalla propria plausibilità (almeno prima dell’avvento dei social). Fra le tante ipotesi, arriva anche quella che vede come principale indiziata proprio Melanie, classica forestiera che genera diffidenza e astio da parte dei locali.

Il finale de Gli uccelli

Arriviamo dunque al leggendario epilogo de Gli uccelli, in cui i protagonisti abbandonano la casa in cui si sono precedentemente barricati, partendo alla volta di San Francisco mentre una distesa infinita di uccelli osserva silenziosamente la loro auto, senza lasciare presagire nulla di buono. Un finale che scrive la storia del cinema horror, e che per suggestione e mistero ricorda quelli dei successivi Suspiria di Dario Argento ed …e tu vivrai nel terrore! – L’aldilà di Lucio Fulci. Un finale che per certi versi forse non è neanche la vera fine, dal momento che Hitchcock evita accuratamente di mostrare il classico “The End”, per prolungare così il disagio dello spettatore. Doveroso infine segnalare che questo non è l’epilogo originale: Gli uccelli avrebbe infatti dovuto chiudersi con un’ulteriore appendice, e in particolare con un Golden Gate letteralmente ricoperto di temibili volatili.

Un finale scartato anche per motivi di budget e di difficoltà produttive, che tuttavia lascia il campo a una conclusione semplicemente indimenticabile, capace di conservare intatta la potenza del racconto. Cosa ci nasconde questo magnifico panorama, in cui un timido raggio di luce e di speranza va a compensare la minacciosa attesa dei volatili? Sarà l’inizio della fine dell’umanità o tutto tornerà improvvisamente come prima senza ulteriori conseguenze per la vita sulla Terra? Mai come in questo caso, le domande sono più interessanti delle risposte. Hitchcock lo sa bene, e ci lascia con un epilogo in perfetto bilico fra speranza, timore e fantasia, chiudendo nel migliore dei modi una delle tante pietre miliari del cinema da lui realizzate.

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Marco Paiano

Tutto quello che ho imparato nella vita l'ho imparato da Star Wars, Monkey Island e Il grande Lebowski. Lo metto in pratica su Tech Princess.

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