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Google Bard: tocca ai dipendenti correggere le risposte

Dopo che un errore dell’IA era costato 100 miliardi di dollari all’azienda

Se il libro del principe Harry e il Festival di Sanremo sono stati due argomenti di conversazione inflazionatissimi ma effimeri, non altrettanto si può dire dell’intelligenza artificiale.

Nel senso che l’IA, soprattutto se riferita ai chatbot conversazionali, sta facendo parlare di sé da settimane, e il chiacchiericcio non sembra affatto destinato a concludersi.

Tutto ha avuto inizio quando OpenAI ha lanciato ChatGPT, che verrà implementato nella prossima versione del motore di ricerca di Microsoft, ovvero Bing.

Il CEO di Microsoft, Satya Nadella, nel presentare il prossimo Bing ha affermato: “È un nuovo giorno per la ricerca“. Ma soprattutto: “La gara inizia oggi e ci muoveremo velocemente”.

Il riferimento è al motore di ricerca di Google, oggi utilizzato per circa il 90% delle ricerche, contro il 6% affidate a Bing.

E Google la sfida di Microsoft l’ha accettata in pieno. Perché anche l’azienda di Mountain View si affiderà a un’intelligenza artificiale per il suo nuovo motore di ricerca in arrivo, ovvero Bard.

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Google Bard e i 100 miliardi bruciati

Ma se Bing poggerà su ChatGPT, Bard si baserà sul modello linguistico LaMDA, sviluppato proprio da Google.

Tutto bene. O quasi. Perché alla sua prima uscita in società, ovvero quando è stato presentato alla stampa, Google Bard l’ha fatta grossa.

Gli invitati hanno posto all’IA diverse domande, e a un certo punto il neo motore di ricerca ha ceffato. Ha cioè risposto che il telescopio spaziale James Webb avrebbe fotografato per la prima volta un esopianeta, ovvero un pianeta situato fuori dal sistema solare.

Affermazione falsa: la prima immagine di un esopianeta risale al 2004, scattata dal telescopio Very Large. Affermazione falsa e rovinosa, dal momento che le azioni dell’azienda hanno immediatamente perso in Borsa circa il 9% del proprio valore, pari a 100 miliardi di dollari.

Google Bard: i dipendenti correggeranno le risposte

Siccome gli occhi del mondo, o almeno del mondo tech, sono puntati sulla sfida Bing-Bard, Google dovrà correre ai ripari, e in tempi brevi.

In che modo? Intanto comprendendo la qualità dell’errore, che in questo caso si può addebitare a un’insufficiente capacità dell’IA di interpretare in modo creativo la grammatica inglese. Una frase infatti è stata “letta” in modo vistosamente impreciso.

Un portavoce dell’azienda ha dichiarato che “questo fatto evidenzia l’importanza di un rigoroso processo di verifica, che stiamo avviando questa settimana con il nostro team di tester fidati”.

E il “team di tester fidati” pare corrispondere ai dipendenti stessi dell’azienda di Mountain View.

La mail interna ai dipendenti

Non sappiamo quanto sarà proficua la scelta di Google per perfezionare Bard. Ma di certo è… economica.

Infatti, il vicepresidente e responsabile della ricerca, Prabhakar Raghavan, ha inviato una mail interna ai dipendenti. Invitandoli a scrivere le risposte di Bard su argomenti su cui si sentono esperti, e su cui naturalmente hanno la certezza di possedere informazioni esatte.

La mail illustra come comporre le risposte. Che devono essere scritte in prima persona, devono avere un tono educato e accessibile a tutti, e va da sé che non debbano contenere opinioni personali. Inoltre, non devono trarre conclusioni basate su razza, genere, orientamento sessuale, religione, ideologia politica, provenienza e simili. Inoltre non devono rappresentare Bard come una persona, che abbia sentimenti o esperienze simili a quelle umane.

Infine, andranno comprensibilmente tralasciati i consigli di natura medica e linguaggi incitanti l’odio o l’abuso.

Umano o no?

Insomma, sembra regnare una certa confusione. Si ambisce a produrre intelligenze artificiali sempre più simili a quella umana. Però poi si chiede all’intelligenza umana di intervenire su quella artificiale… disumanizzandosi, dunque producendo contenuti deprivati da ogni interpretazione.

D’accordo, ma così avremmo solo potenti e asettiche enciclopedie, magari rapidissime e preparatissime in ogni ambito dello scibile. Ma lontane da quell’empatia che dovrebbero distinguere l’IA del futuro da quella del presente.

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Una tecnologia acerba

Quindi, la risposta sta forse e semplicemente nel fatto che l’intelligenza artificiale generativa (cioè che crea contenuti) è ancora una tecnologia acerba.

Come, tra l’altro, ha mostrato l’AI bannata da Twitch per una serie di battute transfobiche pronunciate da un personaggio virtuale di uno show.

Insomma: per eccessiva fretta, Google e Microsoft, o Bard e Bing che dir si voglia, sono stati coinvolti in uno scontro per adesso più grande di loro, giocato su un terreno ancora in larga parte sconosciuto. E scivolosissimo.

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Claudio Bagnasco

Claudio Bagnasco è nato a Genova nel 1975 e dal 2013 vive a Tortolì. Ha scritto e pubblicato diversi libri, è co-fondatore e co-curatore del blog letterario Squadernauti. Prepara e corre maratone con grande passione e incrollabile lentezza. Ha raccolto parte delle sue scritture nel sito personale claudiobagnasco.com

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