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L’arte prodotta dall’IA non può essere protetta da diritto d’autore

Sentenza importante a Washington

Dall’autunno del 2022 stiamo scoprendo con grande meraviglia (alcuni con un certo grado di terrore) le potenzialità della cosiddetta intelligenza artificiale generativa. Capace, cioè, di creare nuovi contenuti. I due principali ambiti di applicazione sono quello della produzione di testi con software come ChatGPT e affini, ma anche di immagini (Midjourney, per intenderci).

Le questioni pratiche (ma anche morali) che il loro approdo nelle nostre esistenze ha sollevato sono molte e profonde. Si va, per prendere solo due esempi, da quanto l’IA inciderà sul mondo del lavoro a quali dovrebbero essere le norme che ne regolamentano l’uso.

Una questione delicatissima riguarda il rapporto tra IA e diritto d’autore. Diciamolo più in concreto: un’intelligenza artificiale può essere considerata la creatrice di un’opera e può quindi godere del copyright? La risposta è arrivata nelle scorse ore da un tribunale americano. Scopriamo cosa è accaduto.

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La causa contro il Copyright Office

A riportare per primo la notizia è stato, nella giornata di venerdì 18 agosto, l’Hollywood Reporter. In un articolo ha reso noto quanto ha stabilito la giudice della Corte distrettuale di Washington, Beryl A. Howell. La giudice ha presieduto una causa intentata da Stephen Thaler contro il Copyright Office degli Stati Uniti. L’ufficio che gestisce il diritto d’autore negli Usa aveva rifiutato di rilasciarlo a Thaler per un’immagine generata dall’intelligenza artificiale, realizzata con l’algoritmo che Thaler stesso aveva creato.

Il software messo a punto dall’informatico Thaler si chiama Dabus, e secondo il suo inventore – producendo contenuti – questa IA dovrebbe godere del diritto d’autore. L’informatico ha tentato più volte di ottenere il copyright, non solo presso il Copyright Office degli Stati Uniti ma bussando alla porta di uffici analoghi in tutto il mondo.

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E dopo il rifiuto definitivo dell’Office nel febbraio dello scorso anno, Stephen Thaler lo ha citato in giudizio.

La sentenza di Washington

Secondo Thaler, il diniego del Copyright Office degli Stati Uniti è stato “arbitrario, capriccioso… e non conforme alla legge”. La parola a questo punto è andata alla giudice Howell, che ha dato torto all’informatico. Spiegando che l’IA non può essere tutelata da copyright perché il diritto d’autore non è mai stato concesso a un’opera “priva di guida umana”. Inoltre, passaggio fondamentale, “la paternità umana è un requisito fondamentale del diritto d’autore”.

Beryl A. Howell ha comunque riconosciuto che per mezzo dell’IA ci si sta “avvicinando a nuove frontiere nel diritto d’autore”. E l’uso sempre più massiccio dell’intelligenza artificiale da parte degli artisti produrrà, nel futuro prossimo, “domande stimolanti su quanto contributo umano sia necessario” perché un’opera sia protetta da copyright. Intanto l’avvocato di Thaler ha fatto già sapere che farà ricorso contro la decisione della giudice.

IA e diritto d’autore: il precedente italiano

Lo scorso gennaio anche la nostra Corte di Cassazione si è pronunciata sul rapporto tra IA e copyright, come vi abbiamo riportato in un articolo. E ha dato una risposta non netta, ma di certo ragionevole. E forse meno superficiale di quella della giudice USA. In sintesi, un’opera realizzata con l’intelligenza artificiale è sempre frutto dell’ingegno dell’utente (e non del software). Ma di volta in volta, per concedere o meno il copyright, va verificato in quale misura l’utilizzo della macchina abbia assorbito l’elaborazione creativa dell’artista.

Spieghiamoci più semplicemente: perché l’autore (umano) di un’opera possa detenerne i diritti d’autore, l’opera stessa deve essere frutto dell’ingegno umano e avere carattere creativo. L’opera insomma deve essere nuova e originale, deve essere espressione dell’estro artistico dell’autore. Il contributo creativo umano deve essere dunque tangibile.

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Due questioni aperte

Fatto salvo il buon senso della nostra Corte di Cassazione, ribadito dalla giudice americana, per cui un software di IA non può mai essere titolare di copyright, restano due questioni aperte, che abbiamo sollevato proprio nell’articolo in cui parlavamo della decisione della Cassazione.

La prima riguarda la difficoltà di decidere, caso per caso, la rilevanza del contributo umano in un’opera prodotta dall’intelligenza artificiale. Secondo problema: una volta appurato che il contributo umano a una specifica opera sia minimo, i diritti a chi vanno riconosciuti?

Ebbene: secondo un’interpretazione giuridica, l’opera sarà di pubblico dominio. Ma secondo un’altra, occorre indicare con maggior precisione il titolare dei diritti. Ma chi? Il programmatore o l’utilizzatore del sistema di IA che ha generato l’opera?

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Claudio Bagnasco

Claudio Bagnasco è nato a Genova nel 1975 e dal 2013 vive a Tortolì. Ha scritto e pubblicato diversi libri, è co-fondatore e co-curatore del blog letterario Squadernauti. Prepara e corre maratone con grande passione e incrollabile lentezza. Ha raccolto parte delle sue scritture nel sito personale claudiobagnasco.com

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