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Pochi centesimi per addestrare l’AI, milioni di lavoratori sottopagati

L’industria delle intelligenze artificiali continua a crescere e fare discutere. Giganti come Amazon, Facebook, Google e Microsoft hanno presentato strumenti per comprendere, analizzare e creare immagini e testo nei propri servizi più usati. Ma dietro a questi algoritmi avanzati dell’AI c’è un esercito di lavoratori, spesso sottopagati, che addestrano ed etichettano i dati che alimentano i modelli di intelligenza artificiale. Aziede ad hoc reclutano collaboratori nei paesi del sud-est asiatico e dell’America Latina, pagandoli pochi centesimi.

Lavoratori sottopagati per addestrare l’AI, etichettando i dati

L’indagine della redazione americana di Wired sottolinea l’enormità di questo fenomeno partendo da una storia particolare, quella di Oskarina Fuentes e della società australiana di servizi dati Appen, uno dei principali attori nel settore dell’etichettatura dei dati per l’addestramento di algoritmi di AI. Conta oltre un milione di collaboratori, molti dei quali svolgono “microtask”. Etichettano immagini o testi per guadagnare pochi centesimi per ciascun compito completato. In un’industria che nel 2022 valeva già 2,22 miliardi di dollari e che nel 2030 varrà 17,1 miliardi.

Secondo Wired, Appen lavora per Amazon, Meta (Facebook), Google e Microsoft: tutte le principali aziende della Silicon Valley che stanno investendo sull’AI. Tutte aziende fra le prime dieci al mondo per valore finanziario: se escludiamo Meta (decima a 765,28 miliardi di dollari), le altre sono fra le prime cinque con oltre un trilione di dollari di valore. Ma la storia di Oskarina Fuentes e degli altri lavoratori sottopagati per addestrare l’AI non si calcona in trilioni di dollari, anzi si conta in centesimi.

Diciotto ore al giorno per non arrivare al salario minimo

Oskarina Fuentes ha iniziato a lavorare per Appen con entusiamo, anche per via dell’inflazione galoppante del paese e i problemi alla rete elettrica che l’hanno portata a emigrare in Colombia, dove continua a lavorare per Appen. Ma la realtà economica del suo lavoro ha presto spento l’entusiasmo. Il suo stipendio varia da 2,2 centesimi a 50 centesimi per compito, e in genere guadagna circa 280 dollari al mese, che è appena sotto al salario minimo della Colombia.

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Il suo lavoro, tuttavia, dipende dalla quantità di compiti che riesce a reperire in una settimana. Quindi passa 18 ore sul proprio laptop ogni giorno, a volte iniziando alle due del mattino per poter accogliere le prime richieste dei clienti internazionali di Appen.

Oltre a piattaforme come Appen, ci sono aziende come Clickworker e Scale AI che trovano collaboratori in Africa Orientale, in Venezuela, in India, nelle Filippine. Oppure ci sono data center come quello di Sama a Nairobi, con tremila persone, già oggetto di un’indagine di Time per gli stipendi bassissimi usati per addestrare i modelli di OpenAI (ve ne abbiamo parlato qui).

Lavoratori sottopagati e AI, in tutto il mondo

La maggior parte dei lavoratori abita nel “Sud globale” ed è difficile pensare ad altre ragioni se non al basso costo del lavoro. In Venezuela, l’iperinflazione ha fatto precipitare l’economia, con molti lavoratori istruiti che devono accettare stipendi anche bassissimi per far fronte alla crisi economica. Il più basso costo della vita e il tasso di disoccupazione permettono di trovare lavoratori sottopagati per l’AI in India, Filippine, Africa orientale, e altri Paesi.

Wired ha sentito Saiph Savage, direttore del laboratorio Civic AI presso la Northeastern University, che definisce questo approccio come una forma di “colonialismo dei dati”. Che spiega che la rapida evoluzione dell’AI rende difficile sviluppare abilità che permettano ai lavoratori di fare carriera. Se fino a pochi mesi fa lavorano a etichettare immagini per la guida autonoma, negli ultimi mesi stanno lavorando per i modelli di linguaggio in stile ChatGPT.

Senza orari e continuità

I lavoratori sentiti da Wired spiegano che non è tanto la tariffa bassa il problema principale, ma piuttosto il sistema di pagamento delle piattaforme. Molti si lamentano dell’incertezza legata al momento in cui verranno assegnati i compiti, poiché costringe a rimanere vicino al computer tutto il giorno. Anche se non esiste un compenso aggiuntivo per il tempo speso ad attendere. Un lavoratore afferma di dover lavorare molte ore per guadagnare pochi dollari, descrivendo questa situazione come “schiavitù digitale”.

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Appen ha dichiarato a Wired di lavorare per ridurre la quantità di tempo dedicata alla ricerca di compiti, bilanciando le esigenze dei clienti per attività veloci con la necessità di fornire una fonte di reddito costante ai collaboratori.

Ma come sottolinea Fuentes, dopo aver lavorato per sette anni per Appen continua a dover stare tutto il giorno davanti a uno schermo per guadagnare pochi dollari. Se avesse lavorato direttamente per una delle compagnie della Silicon Valley per tutto questo tempo, quale sarebbe il suo stipendio oggi? E chiude sperando nella sindacalizzazione del settore e dice: “Vorrei che ci considerassero non solo come strumenti di lavoro da buttare via quando non serviamo più, ma come esseri umani che li aiutano nel loro avanzamento tecnologico“.

Se l’AI è il futuro, questi lavoratori lo stanno rendendo possibile. Per pochi centesimi.

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Source
Wired

Stefano Regazzi

Il battere sulla tastiera è la mia musica preferita. Nel senso che adoro scrivere, non perché ho una playlist su Spotify intitolata "Rumori da laptop": amo la tecnologia, ma non fino a quel punto! Lettore accanito, nerd da prima che andasse di moda.

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