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Meta vieta le discussioni sull’aborto tra dipendenti

Sì ad immigrazione e diritti trans, ma no all'aborto nelle discussioni su Workplace

Il titolo di questo articolo già da parla da sè. Per quanto Meta voglia guardare al futuro con il metaverso e i progetti di realtà virtuale, fa davvero fatica a dimostrarsi una compagnia all’avanguardia. Proprio ieri, infatti, un dirigente ha riferito ai dipendenti che è loro vietato discutere di aborto su Workplace, una piattaforma social interna. Il motivo? “Un rischio maggiore” che l’azienda sia vista come un “ambiente di lavoro ostile“.

Meta: l’aborto è tra le tematiche vietate nelle discussioni dei dipendenti

Forse molti non ne sono a conoscenza, eppure dal 2019 Meta ha una particolarissima policy che riguarda la comunicazione rispettosa tra i suoi dipendenti. Certo, questa è stata messa in atto qualche anno fa, ma finora nessuno l’aveva mai segnalata. In ogni caso, la policy vieta ai dipendenti di discutere “opinioni e dibattere sul fatto che l’aborto sia giusto o sbagliato, sulla disponibilità o i diritti all’aborto, e sulle opinioni politiche, religiose e umanitarie riguardanti il tema“. Un divieto che ha sollevato immediatamente la disapprovazione dei dipendenti di Meta. D’altronde, è in contrasto con il diritto di parlare “rispettosamente” di questioni come Black Lives Matter, immigrazione e diritti delle persone trans.

Meta aborto

Appena qualche giorno fa Janelle Gale, Vicepresidente delle Risorse Umane di Meta, ha dichiarato che l’aborto è “l’argomento più divisivo e segnalato” dai dipendenti su Workplace. E ha aggiunto che “anche se le persone sono rispettose e stanno cercando di essere rispettose del loro punto di vista sull’aborto, può comunque lasciare alle persone la sensazione di essere prese di mira in base al loro sesso o religione“. È evidente che la questione dell’aborto sia molto complicata. E non solo per Meta. Molte aziende del settore, infatti, hanno a che fare con casi pratici di aborto, e non solo con il semplice scambio di opinioni.

Amazon e Tesla, ad esempio, hanno affermato che avrebbero coperto una parte delle spese alle dipendenti in gravidanza che hanno bisogno di viaggiare per abortire. E Salesforce si è resa disponibile a supportare economicamente il trasloco delle dipendenti che vogliono lasciare il Texas per via del divieto all’aborto. Lyft e Uber hanno promesso di coprire le spese legali per i conducenti citati in giudizio ai sensi delle leggi statali per aver “trasportato” una donna intenzionata ad abortire. Ma la posizione più forte è quella di Jeremy Stoppelman, CEO di Yelp, che ha dichiarato che “le aziende devono prendere posizione sui diritti riproduttivi“.

In questo contesto anche Sheryl Sandberg di Meta ha definito l’aborto “uno dei nostri diritti più fondamentali“. Aggiungendo che “ogni donna, non importa dove viva, deve essere libera di scegliere se e quando diventare madre“. Eppure, nonostante queste belle parole Meta continua a vietare le discussioni sull’aborto. “Al lavoro, ci sono molte sensibilità su questo argomento, il che rende difficile discutere su Workplace“, ha raccontato Naomi Gleit, Dirigente Senior di Meta. La stessa Gleit ha raccontato che i dipendenti potevano parlare di aborto solo “con un collega fidato in un ambiente privato“. E in una “sessione di ascolto con un piccolo gruppo di massimo 5 persone che la pensano allo stesso modo per mostrare solidarietà”. Pertanto, ha incoraggiato i dipendenti ad utilizzare le App social di Meta per condividere le proprie opinioni al riguardo.

In ogni caso, è innegabile che il divieto di parlare dell’aborto abbia causato una vera e propria spaccatura tra i dipendenti. Da un lato, coloro che supportano la policy. E dall’altro, quelli che provano frustazione per la rimozione dei contenuti sull’argomento da Workplace. In un post della sezione “Supporto e Silenzio”, ad esempio, una dipendente di Meta ha dichiarato che la policy l’ha portata a provare un “forte senso di silenzio e isolamento sul posto di lavoro“.

La stessa politica ci consente esplicitamente di discutere questioni e movimenti altrettanto sensibili tra cui immigrazione, diritti trans, cambiamenti climatici, Black Lives Matter, diritti sulle armi / controllo delle armi e vaccinazione“, ha scritto. “L’argomento sul perché la nostra policy tratti una questione in modo abbastanza diverso rispetto ad altre questioni delicate mi sembra fragile e poco convincente. L’intero processo di gestione della politica di comunicazione rispettosa, il sentirsi dire perché il mio post la sta violando, e la creazione di questo nuovo post è stato disumanizzante e distopico“.

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Chiara Crescenzi

Editor compulsiva, amante delle serie tv e del cibo spazzatura. Condivido la mia vita con un Bulldog Inglese, fonte di ispirazione delle cose che scrivo.

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