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Gli Editoriali di Tech PrincessRubriche

Chatbot e scrittura creativa: che destino attende giornalisti e scrittori?

Chi lavora nel campo della comunicazione scritta cosa deve temere?

Un giorno il grande trombettista jazz Enrico Rava, intervistato sui giovani musicisti di oggi, ha detto più o meno quanto segue. Ovvero che dal Berklee College escono ogni anno ragazzi dalla tecnica prodigiosa, perfetti imitatori di Charlie Parker o di John Coltrane, ma nulla più. Nessuno (o quasi) che spicchi per l’originalità del fraseggio, per l’autonomia della voce strumentale.

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Se vi state chiedendo cosa ci faccia un articolo del genere su Tech Princess, non temete: tenete a mente l’informazione, ci servirà più avanti.

Oggi parleremo di chatbot e scrittura creativa. Sì, perché le paure che attanagliano gli umani da quando hanno conosciuto ChatGPT sono tante. Per dirne solo alcune: i chatbot conversazionali sono cattivi, sono troppo umani, barano e dunque vanno vietati.

E soprattutto, mostrando di saper redigere testi di ottima fattura, rischiano di lasciare a spasso i professionisti della scrittura: giornalisti, scrittori e, più in generale, chi si occupa di comunicazione scritta.

Quanto c’è di vero?

chatbot 1

In principio era Nick Cave

I chatbot adorano la scrittura creativa, e tra i loro passatempi c’è quello di fare arrabbiare i grandi cantautori australiani.

Qualche settimana fa, infatti, ChatGPT ha provato a scrivere una canzone sulla falsariga dello stile di Nick Cave. E lui ha detto (con linguaggio ben più diretto) che la suddetta canzone non gli è parsa un capolavoro.

Cave ha poi aggiunto: “Le canzoni nascono dalla sofferenza, dalla complessa lotta interna all’uomo che si concretizza nel processo creativo. Beh, per quanto ne so, gli algoritmi non provano nulla di tutto questo. I dati non soffrono. ChatGPT non ha un essere interiore che lotta per uscire. Non è stato da nessuna parte, non ha vissuto nulla, non ha avuto l’audacia di andare oltre i suoi limiti, perché non ne ha di limiti.”

Teniamo la frase lì: anche questa ci servirà tra poco.

Il nostro test

Nemmeno noi siamo riusciti a sottrarci, e abbiamo “dialogato” con ChatGPT: voi ci avete già provato?

Postilla. L’estensore di questo articolo ha pubblicato diversi volumi, curato un’antologia e pubblicato spesso su rivista. In più, con altri redattori cura da anni un blog letterario piuttosto noto.

Questa non è autopromozione, ma attestazione del fatto che in Rete ci sono svariati testi a sua firma. Abbiamo chiesto a ChatGPT di redigere un testo nel suo stile. Qual è il risultato? Ci arriveremo.

La scrittura omologata

Cominciamo a riannodare i fili, riprendendo anzitutto il ragionamento di Enrico Rava.

Ragionamento applicabile grosso modo a tutte le arti e le attività intellettuali. Oggi è molto più semplice avere per le mani materiale su cui studiare o con cui confrontarsi: un musicista può ascoltare in streaming pressoché l’intera produzione musicale esistente, e chi scrive – romanziere o giornalista che sia – tramite i vari device può coronare il sogno di Borges, quello di avere a disposizione una biblioteca contenente l’intero scibile.

Bene. Questo porta musicisti, scrittori e artisti a un ottimo livello medio. Tuttavia, il rovescio della medaglia è brutale: la società dei consumi, ahinoi, ci ha uniformato anche nelle attività dove in teoria dovrebbe spiccare proprio la nostra unicità e autonomia.

E, tornando all’assunto di Rava, anche in ambito giornalistico e letterario è assai arduo trovare voci davvero originali, davvero capaci di portare – per qualità del ragionamento e della scrittura – qualcosa di nuovo e utile, per dirla con quella frase di Poincaré poi diventata il nome dello splendido sito di una fuoriclasse, la pubblicitaria Annamaria Testa.

Chatbot, scrittura creativa e cloni

Ecco: lì sì che i chatbot ci potranno fregare.

Ovvero: se la stragrande maggioranza di scrittori e scriventi è interscambiabile, non aggiungendo uno nulla all’altro, una percentuale abnorme di testi professionali non avrà alcun germe di originalità.

Quindi, ahinoi, un chatbot allenato a produrre scrittura creativa potrebbe benissimo redigere testi che non si differenzieranno dai tanti testi standardizzati che ogni giorno leggiamo.

Per prendere il nostro esempio, ChatGPT ha prodotto una breve narrazione che ricalca perfettamente (ma in modo fin troppo freddo e pedissequo) il nostro stile di scrittura.

Capito il concetto? Il chatbot imitano senza sforzo tutto ciò che è prevedibile della nostra scrittura.

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Niente panico. Ma…

Il binomio chatbot-scrittura creativa, dunque, deve spaventare?

Sì e no. Sì, perché non dubitiamo del fatto che l’IA possa sostituire egregiamente una produzione letteraria scialba e senza guizzi.

No, perché i chatbot – come ha detto Nick Cave – non saranno mai in grado di aggiungere ai propri testi quell’elemento ulteriore, che non deriva dalla conoscenza di grammatica e sintassi ma dalla capacità di assorbire la vita in modo unico e restituirlo con sensibilità, ironia, disincanto eccetera. Tutte virtù esclusivamente umane.

Quindi, anziché detestarli, dovremmo forse ringraziare i chatbot conversazionali: ci obbligheranno a ricordarci che siamo persone, uguali nei diritti ma diverse nel modo di abitare il mondo.

Ci toccherà, insomma, rimboccarci le maniche e mostrare il nostro irripetibile talento. Se lo possediamo.

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Claudio Bagnasco

Claudio Bagnasco è nato a Genova nel 1975 e dal 2013 vive a Tortolì. Ha scritto e pubblicato diversi libri, è co-fondatore e co-curatore del blog letterario Squadernauti. Prepara e corre maratone con grande passione e incrollabile lentezza. Ha raccolto parte delle sue scritture nel sito personale claudiobagnasco.com

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