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Barbie: com’è il film con Margot Robbie e Ryan Gosling

Barbie è al cinema dal 20 luglio, distribuito da Warner Bros.

Un passaggio di Barbie è involontariamente un emblema di ciò che questo attesissimo film avrebbe voluto essere e di quello che invece non funziona. Chiamata a indagare sui pensieri cupi del mondo reale che stanno mettendo a repentaglio la sua vita incantata a Barbieland, l’incarnazione della celebre fashion doll, impersonata da Margot Robbie, comprende che i pensieri in cui alberga non sono quelli di una bambina, ma al contrario appartengono a una madre triste e frustrata. Una potenziale dichiarazione di intenti per un film che vorrebbe parlare a tutte le generazioni per cui l’iconica Barbie è stato il più ambito dei giocattoli, ma che invece paradossalmente finisce per appiattirsi su un approccio infantile al tema sempre più urgente e sentito del patriarcato, prigioniero del didascalismo e della sua abbagliante e colorata confezione.

Fin dalla genesi di questo progetto, affidato a una vera e propria portabandiera delle registe contemporanee come Greta Gerwig, l’intento è stato chiarissimo: fondere il palese e legittimo desiderio di sfruttare commercialmente una delle proprietà più importanti della Mattel con la volontà di accarezzare l’ideologia woke e in particolare la rinnovata attenzione nei confronti della rappresentazione femminile. Insieme alla regista e al suo compagno e co-sceneggiatore Noah Baumbach, a bordo di Barbie troviamo dunque Margot Robbie (la diva odierna più somigliante alla bambola) e Ryan Gosling, che dopo l’operazione di decostruzione del suo personaggio compiuta in The Nice Guys continua sulla medesima strada incarnando un Ken completamente idiota, al tempo stesso spasimante, villain e mera appendice di Barbie.

Con loro, un’impressionante moltitudine di guest star come Kate McKinnon, Michael Cera, America Ferrera, John Cena, Dua Lipa e il volto per eccellenza del cinema demenziale Will Ferrell, altra presenza emblematica dell’intento dell’operazione.

Life in plastic, it’s fantastic

barbie film

Il parodistico incipit, che come già mostrato in sede di campagna promozionale si prende amorevolmente gioco di 2001: Odissea nello spazio, ci introduce al magico mondo di Barbieland, in cui le varie versioni della bambola (la protagonista è Barbie Stereotipo) vivono un’esistenza serena e felice, fatta di docce che non bagnano, gentilezza a profusione, ripetuti saluti e di un rosa pastello che ricopre ogni cosa. Ma la caratteristica che differenzia maggiormente il mondo di Barbie dal nostro è la gerarchia sociale: qui infatti le donne dominano la società da ogni punto di vista, compreso quello politico e lavorativo; agli uomini non resta che vivere di luce riflessa, sgomitando per un semplice sguardo della loro bambola preferita.

Improvvisamente, Barbie Stereotipo scopre però che qualcosa sta cambiando in lei, a cominciare dai talloni abbassati (la postura naturale delle gambe delle Barbie prevede i tacchi alti), da pensieri sulla morte e da un accenno di cellulite. Chiari segnali di un malessere interiore della proprietaria terrestre di Barbie, che intraprende così un viaggio verso il nostro mondo, e nello specifico in direzione di Venice Beach, per risolvere il problema. Con lei c’è però anche Ken, che giunto sulla Terra scopre con un misto di stupore e invidia le dinamiche del patriarcato, sviluppando di conseguenza il desiderio di replicare le storture di questa società all’interno della pacifica ed efficiente Barbieland.

Barbie: un film dalle diverse anime

barbie film

In Barbie convivono diverse anime: la satira sociale e il cinema demenziale, l’avventura fantastica e il racconto di formazione lo sfruttamento cinematografico e commerciale di un celebre giocattolo (sulla scia di The Lego Movie e Super Mario) e il debole tentativo di autocritica della Mattel, principale responsabile della sessualizzazione della bambola e della diffusione di svariati stereotipi. Fra i tanti possibili sentieri da intraprendere, Greta Gerwig e Noah Baumbach scelgono però quello più sicuro e meno suggestivo, fatto di metafore urlate, di continue spiegazioni e di un racconto ad altezza di bambino, tanto lodevole nelle intenzioni quanto innocuo nella resa.

Lo schema è rodato e consolidato: mettere alla berlina le storture del nostro mondo attraverso l’apparente perfezione di quello di fantasia, per poi cercare una difficile sintesi in grado di regalare la felicità a tutte le parti in causa. Una dinamica che il grande cinema di animazione ha sfruttato perfettamente, regalandoci storie con svariati livelli di lettura, in grado di soddisfare altrettante generazioni di spettatori. In Barbie però il gioco è scoperto al punto di indebolire qualsiasi conflitto e ogni tentativo di riflessione: all’operosità delle donne di Barbieland si contrappone la cafonaggine degli operai di Venice, la donna presidente lascia spazio al consiglio di amministrazione di soli uomini, il dominio femminile nel mondo dei giocattoli si confronta con un patriarcato più discreto ma sempre presente.

L’unica costante fra i due mondi è la stupidità degli uomini, sempre pronti a interrompere il quieto vivere per gelosia, arroganza o mera brama di potere.

Il mondo di Barbie, fra giocattoli e film

Con questa carne al fuoco, sulla carta Barbie avrebbe potuto essere uno dei film più sovversivi degli ultimi anni, in grado di demolire dalle fondamenta molte delle nostre certezze. Anche mettendo da parte la palese indulgenza nei confronti della Mattel, coinvolta a più livelli nella realizzazione del film, il lavoro di Greta Gerwig si rivela invece il classico topolino partorito dalla montagna, talmente limpido e scanzonato da non infastidire realmente nessuno e in precario equilibrio fra tante possibili deviazioni, come la sessualità di Barbie (solo accennata nella parentesi a Venice), il suo complesso rapporto con Ken e il contrasto fra diverse generazioni (America Ferrera e Ariana Greenblatt vengono inspiegabilmente messe in secondo piano durante il climax conclusivo).

Fra personaggi che spiegano fino allo sfinimento ogni loro pensiero, parentesi musical, un poco ispirato collage di musica pop e l’immancabile carrettata di omaggi e citazioni, in un trionfo di luci e colori Barbie riesce però a regalare diversi momenti divertenti, grazie soprattutto al solito inappuntabile Will Ferrell, a un Ryan Gosling ammirevole per la dedizione con cui smonta la mascolinità tossica e la sua statura divistica e a molte sequenze di comicità slapstick, all’interno delle quali brilla l’estro della sempre più brava e poliedrica Margot Robbie. Greta Gerwig riesce dunque a portare a casa un risultato dignitoso dal punto di vista del puro intrattenimento, ma dati causa e pretesto, al netto del prevedibile trionfo al botteghino il bicchiere appare irrimediabilmente mezzo vuoto.

Barbie: un film a tesi

Come accennavamo in apertura, Barbie adempie al proprio compito di film a tesi, mostrando a giovani e giovanissimi le innegabili problematiche della nostra società e mettendo in luce il fatto che non è mai troppo tardi per cambiare lo status quo e per immaginare un mondo migliore. Al tempo stesso, i più cinici e disillusi adulti si troveranno di fronte a una gradevole commedia demenziale travestita da attacco fronte al patriarcato, talmente ingenua e asservita al merchandising da perdere per strada i suoi pur lodevoli intenti. Una contraddizione rimarcata dall’abborracciato finale, fra i più stranianti e complessivamente insoddisfacenti visti recentemente sul grande schermo.

Barbie è al cinema dal 20 luglio, distribuito da Warner Bros.

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Marco Paiano

Tutto quello che ho imparato nella vita l'ho imparato da Star Wars, Monkey Island e Il grande Lebowski. Lo metto in pratica su Tech Princess.

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