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Pistol: la recensione della serie di Danny Boyle sui Sex Pistols

"Saper suonare non conta. Conta avere qualcosa da dire" - Malcom McLaren

Arrivata proprio oggi su Disney+, Pistol è la nuova serie dell’acclamato regista britannico Danny Boyle (Trainspotting) sulla band simbolo del punk britannico: i Sex Pistols. E se il connubio Disney-Sex Pistols vi sembra strano, preparatevi a buttare fuori dalla finestra tutti i preconcetti. Già perchè i Sex Pistols sono stati, in effetti, un enorme paradosso vivente. Una progetto che si proponeva di sovvertire il sistema, pur essendo creato letteralmente a tavolino. Un gruppo divenuto eterno e ispiratore per un intero movimento, sebbene con una carriera durata poco più di due anni e testimoniata da un solo album. Una band divenuta icona musicale, nonostante musicalmente fossero letteralmente incapaci. Insomma Pistol ci racconta un mondo fatto di urgenze espressive e ribellione, e questa è la nostra recensione.

Per raccontare la complessa storia di una band che ha ridefinito la cultura e la musica degli anni ‘70, Danny Boyle è andato direttamente alla fonte. La sceneggiatura si basa infatti sul libro biografico di Steve Jones, membro fondatore e chitarrista dei Sex Pistols, chiamato Lonely Boy: Tales from a Sex Pistol.

Senza alcuna paura di andare oltre, in pieno stile punk, la regia di Boyle travalica i confini della decenza, mostrandoci comportamenti esasperati e provocatori tipici della cultura punk. Le svastiche per provocare, le risse, gli sputi e la libertà di poter fare qualsiasi cosa. “Noi siamo invisibili per la società. E quindi facciamo ciò che vogliamo” dice il personaggio di Steve Jones nel primo dei sei energici e frenetici episodi di Pistol. Episodio che, non a caso, titola Il Mantello dell’invisibilità.

La trama di Pistol: un treno pronto a schiantarsi, al suono di chitarre distorte

Sei episodi energici dicevamo, come la breve carriera degli stessi Pistols. Del resto se passi la vita a premere sull’acceleratore presto o tardi ti schianti. Ed è questo che ci racconta Pistol, partendo dalle origini di una giovane e mediocre band chiamata The Swankers capitanata dal cantante Steve Jones. Gli incontri con Malcom McLaren, figura cardine per la band, e il conseguente abbandono di ogni pretesa di fare arte. “A noi piace il caos, non la musica” dice Jones allo storico magazine britannico NME.

Cambiato il nome in Sex Pistols, la band assume Johnny Rotten alla voce e caccia via l’unico che avesse un minimo di cognizione musicale, il bassista Glen Matlock, in favore di Sid Vicious, assolutamente incapace come bassista ma con un look decisamente più in linea col progetto di McLaren.

La trama di Pistol riprende passo dopo passo la creazione e la veloce dissoluzione della band: le controversie, gli episodi cardine (riprodotti magistralmente) e la genesi delle canzoni.

I precari equilibri interni del gruppo sono il motore pulsante di un treno che è costantemente pronto a schiantarsi, senza paura di portare con sé una generazione intera. Lo schianto avverrà con la morte di Sid Vicious, e con la progressiva rottura di Rotten con McLaren, che oramai stava letteralmente spennando la sua gallina dalle uova d’oro.

La recensione di Pistol: l’attenzione ai dettagli e ai personaggi

Ciò che rende Pistol una serie che vale la pena di essere vista, soprattutto se si è appassionati di musica, è la sua incredibile attenzione ai dettagli. Certo Doyle inserisce degli elementi romanzati che stonano leggermente con la vera storia della band, ma la fedeltà con la quale sono proposte determinate situazioni, e le varie personalità dei protagonisti, sono incredibili.

Doyle indaga sulla genesi dei testi, come nel terzo episodio, pronto a lasciare tutti scandalizzati e disgustati. Episodio che ci racconta la genesi di Bodies, che narra la vicenda di Pauline, una ragazza con diverse turbe mentali che, dopo una gravidanza non voluta, uccide la sua bambina e la porta con sé in una borsa.

Altro episodio fedelmente riprodotto è quello della controversa intervista/incidente con Bill Grundy, che stroncherà definitivamente la carriera del giornalista. Episodio che però diede ai Pistols l’eco mediatico che lanciò definitivamente la loro carriera

La nostra recensione di Pistol: la tridimensionalità dei personaggi

Pistol riesce nella non facile impresa di non banalizzare i suoi protagonisti. Ogni membro della band ha infatti le sue turbe, le sue emozioni, i propri obiettivi e sicuramente una valigia zeppa di insicurezze.

Il chitarrista Steve Jones (interpretato da Toby Wallace) trova nella musica il rifugio da una vita caratterizzata da abusi da parte del patrigno e dall’incapacità di ottenere risultati scolastici soddisfacenti. Più volte nella serie lo vediamo vergognarsi del fatto che egli non sa leggere. Tuttavia, quando imbraccia una chitarra, sebbene non sappia suonare, riesce e tirare fuori tutta la sua rabbia. “Non conta saper suonare – afferma Malcom McLaren in un episodio – conta solo avere qualcosa da dire”.

Malcom McLaren (interpretato da uno straordinario Thomas Brodie-Sangster) è invece mosso inizialmente da un ideale: il situazionismo. La volontà di scandalizzare a tutti i costi. Ben presto però si rende conto che la band che aveva creato, muovendone le fila dietro le quinte, era diventata una gallina da spennare. Pistol ci mostra i lati più manipolatori di McLaren, che in precedenza aveva ricoperto il ruolo di manager, senza troppo successo, dei primi New York Dolls. È però lui che inventa i Sex Pistols, coinvolgendo nel progetto diversi giovani ribelli che frequentavano il SEX, il negozio di abbigliamento sadomaso che gestisce insieme a Vivienne Westwood (Talulah Riley). Quest’ultima, a differenza di suo marito, appare ben più interessata all’aspetto culturale e rivoluzionario, e non al profitto.

John Lydon aka Johnny Rotten (Anson Boon) è sicuramente il personaggio meglio riuscito. Con la sua sfrontatezza, che però nasconde una profonda insicurezza nei propri mezzi. Rotten è il volto dei Pistols. Il frontman. L’uomo che non ha paura di generare e gettarsi nelle risse. A differenza di Jones, totalmente manipolato da McLaren che è per lui una figura quasi paterna, Rotten non ha paura di confrontare il potente manager. È inoltre lui il primo a capire che McLaren sta privando i Pistols di ingenti compensi. Egli, nonostante appaia rozzo e rissoso, nasconde un animo poetico, che spesso fatica ad esprimere nei testi.

Qualcosa in più si sarebbe potuto e dovuto fare sul personaggio di Sid Vicious (Louis Partridge), grande amico di Rotten, che entra nella band sotto pressioni di quest’ultimo. La sua vita, come ben sappiamo, viene letteralmente rovinata dalla sua relazione tossica con Nancy Spungen (Emma Appleton). Pistol ci mostra la lenta rottura tra Vicious e Rotten, con quest’ultimo che arriva a definirsi disgustato dall’ex amico, divenuto ormai un tossicodipendente ingestibile.

Oltre a questi, Pistol ci mostra diversi personaggi secondari che hanno caratterizzato la vera storia dei Sex Pistols. Da Siouxsie Sioux a Chrissie Hynde e numerosissimi artisti vengono citati (come ad esempio Mick Jones, che diventerà poco dopo il chitarrista dei The Clash).

La musica: Pistol è un enorme omaggio musicale alla cultura rock

In questa nostra recensione di Pistols non possiamo non parlare di come viene affrontato l’aspetto musicale. Si commetterebbe infatti un grave errore nel pensare che la serie sia un omaggio alla sola scena punk. Già dalla sequenza iniziale del primo episodio – che si apre con Moonage Daydream di David BowiePistol mette le cose in chiaro: i Sex Pistols volevano distruggere il passato. Ma per distruggere bisogna che quel passato ci venga mostrato. La missione futurista della band comincia proprio nel prendere atto che la musica rock degli anni ’70, oramai assorbita dalla deriva prog, con lunghe e sontuose suite musicali, aveva perso la propria urgenza espressiva.

Non a caso alla fine del primo episodio vediamo Rotten con la storica maglia che recitava “I hate Pink Floyd“. Steve e Chrissie si baciano sulle note di Starman, e viene ribadito più volte il passato di McLaren con i New York Dolls. Glen, il bassista originario della formazione, cita costantemente i Beatles. In tal senso è emblematica la scena in cui il musicista propone una sequenza di accordi di settima e semidiminuiti, mentre Jones li converte in più banali e potenti accordi di quinta (powerchords).

La lista degli artisti citati in Pistols è lunghissima, e da questo punto di vista la serie si presenta come un monumentale omaggio all’intera cultura rock dei ’70ies con, ovviamente, una lente d’ingrandimento sulla sottocultura punk.

La recensione di Pistol: com’è la serie di Danny Boyle?

Volendo tirare le somme di questa nostra recensione di Pistol possiamo dire che la frenetica opera di Danny Boyle è decisamente da vedere. Al regista perdoniamo alcune “licenze poetiche” che sicuramente faranno storcere il naso a chi ben conosce la vera biografia dei Sex Pistols.

A primo impatto non è facile abituarsi al ritmo decisamente irrequieto e frenetico della narrazione, con momenti che sfiorano la comicità. Interessante anche una sottile ma significativa critica al movimento punk, che tendeva ad escludere le donne dalle band. Mick Jones, ad esempio, dopo alcune prove con Chrissie, le dice che sta creando una band di soli uomini (che poi diventeranno i Clash).

Tra i punti critici della serie troviamo sicuramente il doppiaggio italiano, assolutamente carente. Non è troppo una colpa dei doppiatori, quando della dinamica fonetica. Rotten e Steve parlano in un determinato modo, e l’incredibile lavoro degli attori originali rischia di essere rovinato da un doppiaggio non funzionale. Consigliamo quindi la visione in lingua originale.

Infine, tra i punti di forza, sicuramente ci sono riprese analogiche al rallentatore, le sgargianti visioni oniriche e i flashback. Questi sono sapientemente mescolati ai vari filmati d’archivio della Londra degli anni ’70. Il risultato è un racconto credibile e intenso sulla band che, con un solo disco, e senza alcuna dote musicale, ha cambiato per sempre la storia del costume e della musica.

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Autore

  • Marco Brunasso

    Scrivere è la mia passione, la musica è la mia vita e Liam Gallagher il mio Dio. Per il resto ho 30 anni e sono un musicista, cantante e autore. Qui scrivo principalmente di musica e videogame, ma mi affascina tutto ciò che ha a che fare con la creazione di mondi paralleli. 🌋From Pompei with love.🧡

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