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Privacy Sandbox, come funziona il futuro senza cookies del web

Il web sta per cambiare. Per anni, i cookies di terze parte hanno alimentato il web gratuito, fornendo dati e informazioni per pubblicità mirati precisamente a noi. Una situazione che ha creato preoccupazioni per la privacy di noi utenti, anche da parte dei regolatori (specie in Europa). Per questo motivo, Google sta gradualmente introducendo in Chrome e Android Privacy Sandbox, un sistema di strumenti e servizi che mirano a tutelare la privacy di chi naviga online, pur permettendo alle aziende di fornire pubblicità in base ai nostri interessi. Per capire meglio come funziona Privacy Sandbox e come Google implementerà questi cambiamenti in Chrome e Android, abbiamo parlato con Hanne Tuomisto-Inch, Director di Privacy Sandbox Partnerships EMEA. Che in una conferenza stampa dedicata ci ha spiegato cosa comporta sia per gli utenti che per le aziende.

Privacy Sandbox, come funziona il progetto di Google

Se lavorate nel settore della pubblicità online, oppure se siete particolarmente attenti alla privacy sul web, avete senza dubbio già sentito parlare di questo progetto. Hanne Tuomisto-Inch ci ha spiegato che si tratta di un’iniziativa pluriennale, che punta a “proteggere la privacy online degli utenti – per un web libero per tutti“.

Infatti, se da oltre un anno Google ha ricevuto i primi ‘ok’ dai regolatori e ha iniziato ad abilitare Privacy Sandbox in Android e su Chrome quest’anno, altri cambiamenti sono in arrivo. Dalla seconda metà dell’anno prossimo, il browser e il sistema operativo mobile di Google smetteranno di utilizzare i cookies di terze parti, rendendo Privacy Sandbox un insieme di strumenti fondamentali per la pubblicità e le funzionalità dei siti web.

Una nuova sensibilità sulla privacy

Questa decisione da parte di Google non arriva dal nulla. La dirigente ci spiega che l’atteggiamento e le preoccupazioni riguardo la privacy sono cambiate. “È chiaro che l’attenzione crescente alla privacy non è una moda passeggera“. Rappresenta, invece, un cambio fondamentale su quello che ci aspettiamo dalle attività online.

I dati confermano che questo sta succedendo. Google riporta che l’80% degli utenti crede che l’attenzione ai dati sia molto importante. Entro la fine di quest’anno ci si aspetta che il 65% della popolazione a livello mondiale abbia protezioni maggiori per la privacy a livello legislativo. Tanto che il modello di pubblicità costruito sui cookies di terze parte non può più soddisfare le aspettative degli utenti“.

Uno sforzo dell’intera industria (ma con Google protagonista)

Google Anthropic

Per rispondere a queste esigenze, spiega Tuomisto-Inch, diventa vitale sviluppare prodotti durevoli che mettano la privacy al centro, pur permettendo che le aziende possano avere successo con la pubblicità. Google pensa che i” contenuti gratuiti – dalle notizie ai manuali fino ai video – devo arrivare a tutti, non importa il livello di reddito o dove si trovano“. Ma bisogna dare garanzie che i dati riguardo le attività online siano protetti. Uno sforzo che va condotto a livello di industria, ci spiega la dirigente. Ma va da sè che Google, che ha sia il browser che il sistema operativo mobile più diffuso al mondo, non può che avere un ruolo protagonista.

Privacy Sandbox nasce come progetto nel 2019. Vuole consentire “un sano sistema sostenuto dagli annunci pubblicitari, tutelando di più la privacy degli utenti ma anche le esigenze delle aziende“. Le persone non dovrebbero accettare di cedere i propri dati per avere esperienze personalizzate. E le aziende non dovrebbero tracciare i singoli utenti sul web o sulle app.

Questo futuro si avvicina. “Nella seconda metà del 2024, elimineremo gradualmente i cookies di terze parte su Chrome.” Perché non subito? Tuomisto-Inch spiega che alcuni utenti e piattaforme hanno iniziato a farlo, ma senza alternative valide. Questo può mettere a rischio maggiore la privacy degli utenti, perché potrebbe spingere ad adottare tracciamenti nascosti (come il fingerprinting). Google vuole quindi lavorare con i partner, perché serve che l’industria intera testi e partecipi allo sviluppo delle nuove tecnologie.

Google si pone l’obiettivo di “continuare a sostenere pubblicità efficaci, per finanziare un web sano tramite gli annunci. Mantenendo così contenuti e servizi accessibili a tutti.

Cosa è (e cosa non è) Google Privacy Sandbox

Durante a sua spiegazione del progetto, Tuomisto-Inch ci dice senza giri di parole che Privacy Sandbox funziona per tutti nello stesso modo: tutti, Google Adsense compreso, hanno lo stesso accesso ai dati. Si tratta di API (Application Programming Interface, una serie di definizioni e protocolli per integrare software) che tutti possono utilizzare: sono opensource, disponibili per tutti. Questo è “uno degli impegni che Google ha preso con l’Agcom inglese e che stiamo applicando a livello mondiale.

Google spiega, inoltre, che Privacy Sandbox non è una soluzione standalone per i partner e i clienti. E non è una “sostituzione dei cookies di terze parti”. Con Privacy Sandbox, Chrome sta fornendo i ‘mattoni’ per i provider tech: per chi fornisce servizi di pubblicità sui siti internet o nelle applicazioni mobili. In questo modo possono raccogliere informazioni che non violino la privacy degli utenti, che possono aggiungere ai dati di prima parte (tutte le informazioni raccolte da app, siti o negozi fisici) e contestuali (il sito o l’app che l’utente sta usando, per esempio). Le aziende utilizzeranno tutte queste tecnologie per fornire annunci che gli utenti potranno trovare interessanti. Ma senza dover (o poter) profilare singolarmente ogni utente.

Infatti, Tuomisto-Inch spiega che Privacy Sandbox non è un altro tipo di tracciamento. Migliora, invece, la privacy rispetto ai cookies di terze parti e altre forme di identificazione.

Come funziona Privacy Sandbox

privacy

Secondo Google, semplicemente rimuovere i cookies di terze parte da Chrome e Android non sarebbe stato abbastanza. Fra le soluzioni senza cookies (cookieless), ci sono nuovi tipi di identificazioni cross-site (fra diversi siti che visitate) che seguono indirizzi IP o dati utenti come l’indirizzo e-mail. Questo permette di identificare gli utenti in altri siti. Come i cookies di terze parte, queste tecnologie tracciano le attività degli utenti fra diverse app o siti web, permettendo di creare profili a livello individuale per gli utenti.

Google spiega che Privacy Sandbox non funziona così. Sfrutta altre tecnologie, come le PETS (Privacy Enanching Technologies). Aggrega i dati, li offusca (aggiungendo dati per rendere impossibile identificare i singoli utenti) e soprattutto sfrutta il calcolo on-device (sul dispositivo), assicurando che i vostri dati non lascino il vostro dispositivo. In questo modo, Privacy Sandbox nasconde le informazioni degli utenti e dà maggiori garanzie di privacy.

Diverse API

Le API di Privacy Sandbox sviluppati di Google sono molte e diverse. Un esempio riguarda l’API Topics, una delle proposte che mira a mostrare contenuti e annunci pertinenti, senza minare la privacy. Topics permette di mostrare agli utenti annunci sulla base delle attività sul browser, senza rivelare i siti specifici a parti esterne – Google compreso.

Topics determina una serie di argomenti (fitness, viaggi, ecc) che rappresentano i vostri interessi, basandosi sulla vostra esperienza online. Il browser determina gli argomenti associati ai siti web visitati – non a voi. Un sito web sullo yoga, per esempio, potrebbe essere classificato come legato al fitness. Quindi, quando visitate un sito partner, condividerete uno degli argomenti che vi hanno interessato con il sito e i suoi partner pubblicitari.

Tutto direttamente dal dispositivo: non passa da server, di Google o altri. Inoltre, Topics ogni tanto inserisce informazioni extra a caso, in modo da rendere più difficile accumulare dati su di voi. Altre API, come Protected Audience e Attribution Reporting, limitano la quantità di dati che i siti e gli inserzionisti possono avere. Aggregando le informazioni sui vostri interessi, offuscandole con alcuni dati aggiunti a caso e operando sempre sul dispositivo, aumenta la privacy rispetto ai cookies di terze parti. Ma fornisce annunci e contenuti pertinenti, in base ai vostri interessi.

Oltre 20 API, non solo per la pubblicità

Ci sono oltre venti nuove tecnologie nel Privacy Sandbox, che non si limita solo al mondo della pubblicità. La maggior parte dei siti sfrutta dati da cookies di terze parti per alcuni elementi funzionali del sito. Quindi Chrome vuole “garantire questi casi d’uso, se legittimi, anche una volta eliminati i cookies di terze parti. Per questo abbiamo sviluppato altri API per aumentare la privacy cross-site per prevenire il tracciamento nascosto”.

L’API CHIPS, per esempio, permette ai siti di usare servizi incorporati (come i link ai social o i supporti alle chat) senza problemi. Related Website Sets permette di usare alcuni cookies di terze parti in un contesto di prima parte per ridurre al minimo alcune funzioni, come il “sign-in” su siti e servizi (per esempio, se un publisher ha diversi domini o siti diversi). In questo modo, si riducono le interruzioni nella navigazione senza rinunciare alla privacy.

Cosa succederà da qui all’eliminazione dei cookies

cookies terze parti privacy min

Tuomisto-Inch ci spiega che, ad oggi, quasi il 100% dei siti utilizza le tecnologie Sanndbox disponibili. Quindi i provider di pubblicità e gli sviluppatori possono fare test significativi nei propri prodotti e servizi. Ci sono tantissime aziende che stanno utilizzando queste tecnologie e fornendo feedback per migliorare le API. Fra queste c’è Blendee, una realtà italiana che sta collaborando con Google – ma ce ne sono molte altre.

Inoltre, Chrome sta facilitando i test per gli sviluppatori con diverse tecnologie. Nell’ultimo quadrimestre del 2023, potranno simulare il traffico senza cookies. Poi, nel primo trimestre 2024 Google eliminerà i cookies per l’1% (circa 30 milioni) di utenti globali. Questo permetterà di effettuare prove anche nel mondo reale per gli sviluppatori. “Ci aspettiamo tante metodologie di test, e incoraggiamo chi li effettua a condividere i risultati con l’industria e i regolatori. Chrome eliminerà il sostegno ai cookies di terze parti nella seconda metà del 2024: manca meno di un annodice la dirigente.

Privacy Sandbox: maggiori controlli, per aumentare la fiducia degli utenti

Per gli utenti, Google prevede di fornire a chi usa l’API Topics un momento dedicato in cui poter imparare cosa sia meglio per loro. In altre parole, dopo un accesso Chrome chiederà agli utenti il consenso prima di abilitare Topics, sia in UK, UE e Svizzera. Probabilmente, avete già visto ad agosto la possibilità di usare oppure rinunciare a queste API. Tutti gli utenti potranno scegliere poi, in qualsiasi momento, di rinunciare a utilizzare Topics.

In questo caso, la pubblicità si baserà solamente su dati di prima parte. Per esempio quelli raccolti dai siti a cui effettuate l’accesso, come i social ma non solo, in base all’informativa che avete accettato o declinato accedendo al sito (il popup che si apre con l’informativa sulla privacy). Inoltre, dati contestuali su come state accedendo al sito. Ma niente informazioni riguardo le vostre preferenze in base alla vostra navigazione.

A settembre, Google ha introdotto nuovi controlli più granulari per la privacy riguardo gli annunci pubblicitari in Chrome. Permettono agli utenti di personalizzare l’esperienza: possono decidere a quali argomenti sono interessati, quali API vogliono abilitare e altro ancora. Nell’Help Center, ci sono informazioni dettagliate su questi controlli.

Un futuro senza tracciamento cross-site sta per arrivare. Un internet che tuteli di più la privacy, senza rinunciare a pubblicità curate. Tuomisto-Inch ha spiegato che Google non vede l’ora che le aziende e i regolatori testino queste novità e capiscano nel dettaglio come funziona Privacy Sandbox, per dare feedback sull’effettiva tutela della privacy. Noi vi terremo aggiornati sull’argomento, che pur essendo a tratti molto tecnico, è di fondamentale importanza: riguarda la salvaguardia dei nostri dati e il sistema economico del web, per come lo conosciamo.

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Stefano Regazzi

Il battere sulla tastiera è la mia musica preferita. Nel senso che adoro scrivere, non perché ho una playlist su Spotify intitolata "Rumori da laptop": amo la tecnologia, ma non fino a quel punto! Lettore accanito, nerd da prima che andasse di moda.

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