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I segreti e i piaceri dei podcast: intervista a Rossella Pivanti

La primitività della voce, ma anche un nuovo strumento per le aziende

Quando un argomento interessa e lo si vuole conoscere meglio, è bene farselo raccontare da qualcuno bravo.

Il mondo dei podcast interessa sempre più: non solo l’estensore di queste righe, ma anche i lettori di Tech Princess. E così, abbiamo fatto una chiacchierata di una quarantina di minuti di Rossella Pivanti, che potremmo definire brava per tanti motivi, ma ne scegliamo uno. Quando, nel proprio ambito, si adopera con generosità l’ironia, significa che quell’ambito lo si conosce a menadito, e ci si può permettere di scherzarci su.

Prima di addentrarci nella chiacchierata-intervista, scopriamo in poche righe chi è Rossella Pivanti.

Chi è Rossella Pivanti

Rossella Pivanti, come ci spiega lei stessa sul suo sito personale, dal 2017 produce podcast per importanti marchi italiani. È socia operativa dell’Osservatorio di storytelling e tra i fondatori di Podcast Community Italia, la più numerosa community di podcaster e creatori audio del web.

Per FrancoAngeli ha scritto un libro sul branded podcast, di cui vi abbiamo parlato in un altro articolo.

Tiene corsi e docenze su podcasting, editing e creatività audio. E ha inventato il mirabile Be my diary, un podcast in cui solo superficialmente Rossella parlava di sé. Ma col quale in realtà invitava a riflette “sulla vulnerabilità e la fragilità umana nelle piccole cose di ogni giorno.”

Rossella Pivanti
credits: Silvia Longhi

Il podcast tra finzione e verità

Il primo ragionamento fatto con Rossella Pivanti riguarda la peculiarità del podcast. Che in fondo ci riporta alla primitività della parola, a quando – ad esempio – la poesia veniva letta ad alta voce.

Uno strumento potentissimo, ma che in fondo si mostra in tutta la propria nudità. È da lì che Rossella parte, spiegando come il suo orecchio esperto riesca a cogliere la vera intenzione comunicativa di chi sta parlando attraverso un microfono.

Spesso, dice Rossella, le càpita di ascoltare qualcuno che dovrebbe ad esempio raccontare una vicenda allegra o spiritosa. Ma la cui voce esprime una malinconia, una noia o una paura tremenda.

La prima norma, quindi, è quella di trovare un allineamento tra, per così dire, il nostro dentro e il nostro fuori. Certo: i professionisti (pensiamo ai doppiatori) sanno farlo grazie alla tecnica. Ma chi fa podcast? La soluzione è una sola: dire la verità. Accendere il microfono solo per veicolare contenuti che conosciamo, in cui crediamo, e che possono essere coinvolgenti anche per gli ascoltatori.

Perché? Perché la voce non mente. E qui Rossella Pivanti ci mette a conoscenza di uno studio davvero interessante.

La voce non mente

Non importa, prosegue Rossella, impostare una vocalità alla Aroldo Tieri per fare un podcast. Anzi, sarebbe un’ingenuità narrativa: se io devo raccontare la mia storia, e la mia storia è quella – ad esempio – di un postino che abita in provincia di Ragusa, perché dovrei mortificare il mio accento e i miei vizi linguistici? Non sto lavorando per un brand che mi richiede l’assenza di inflessioni.

Piuttosto, dicevamo, con i podcast è difficile menare il can per l’aia. Uno studio ci dice che la medesima fake news veicolata attraverso stampa, video e audio ottiene reazioni diversissime. Se in molti che ricevono la bufala tramite video possono cascarci, la stessa notizia su carta stampata ottiene meno consensi. Ma, veicolata dal solo audio, inganna pochissimi utenti.

Il motivo? Chi ascolta una storia raccontata da una voce, da una parte si affida a chi la narra, ma dall’altra si dispone a percepirla con la massima attenzione. E riconosce la mancanza di autenticità.

Chi ci ascolta sceglie

Ecco dunque una grande opportunità per chi fa podcast: è l’ascoltatore che sceglie, in base all’autenticità di quello che viene detto. E, ovviamente, in base al grado di interesse che un argomento suscita. Per questo è importantissimo intercettare una nicchia, a cui rivolgersi con coerenza e continuità.

Basti pensare, mi dice Rossella Pivanti, al fatto che uno dei più potenti mezzi che permettono un aumento della base degli utenti di un podcast è… il passaparola.

L’Italia? In ritardo rispetto agli Usa. Ma…

Rossella mi sciorina un po’ di dati desunti dall’indagine Ipsos del 2021. Nel nostro Paese i numeri sono in crescita, l’ascolto medio quotidiano è di 40 minuti e i podcast ci accompagnano soprattutto nelle attività domestiche (81% dei casi).

Negli Stati Uniti il tempo medio di ascolto è di certo superiore (ma gli americani, ce lo hanno insegnato film e telefilm, sono inclini a lunghi viaggi in auto…), e soprattutto la cultura del podcast è diffusa da più tempo. Questo perché, sino a prima che i podcast fossero distribuiti anche da Spotify, l’unico accesso era tramite iTunes: ma gli utenti Apple negli Stati Uniti erano e sono, percentualmente e numericamente, imparagonabili a quelli italiani.

Rossella Pivanti
credits: Silvia Longhi

Il branded podcast

Inevitabile una domanda sul branded podcast. Cioè sul podcast utilizzato dalle aziende per fare comunicazione attorno al marchio (se proprio dobbiamo utilizzare una parola in inglese, tocca dire awareness).

Rossella Pivanti, sorridendo, mi dice che ha una missione: appuntarsi tutti i brand italiani che decidono di affidarsi al branded podcast. Nel 2019 sono stati 6, nel 2020 siamo saliti a 36, nel 2021 abbiamo superato gli 80. E nell’anno in corso? Rossella mi mostra un quaderno e si limita a dire: “Sono già alla seconda pagina”.

E aggiunge che, di anno in anno, si affidano al branded podcast aziende sempre più piccole.

La consapevolezza dell’importanza del branded podcast, spiega Rossella, sta aumentando anche nel nostro Paese. Tuttavia siamo ancora lontani dagli standard americani: lì i brand utilizzano addirittura metà del budget a disposizione nella promozione del progetto editoriale.

E nel futuro prossimo?

Per chiudere la chiacchierata ecco arrivare, inevitabile, la domanda sul futuro prossimo di Rossella Pivanti.

La quale ci dà una risposta molto interessante, che terrà desta la nostra attenzione. Rossella percepisce che in Italia c’è una certa polarizzazione: o si producono podcast altisonanti con dispendiose operazioni editoriali, o prolifera una moltitudine di podcaster indipendenti, con esiti di qualità non sempre eccelsa.

Rossella ha intenzione di creare collane di podcast indipendenti di alto livello, in cui persone che abbiano da raccontare una storia avvincente, autentica e condivisibile abbiano il giusto spazio e la giusta visibilità. Aspettiamocene delle belle.

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Claudio Bagnasco

Claudio Bagnasco è nato a Genova nel 1975 e dal 2013 vive a Tortolì. Ha scritto e pubblicato diversi libri, è co-fondatore e co-curatore del blog letterario Squadernauti. Prepara e corre maratone con grande passione e incrollabile lentezza. Ha raccolto parte delle sue scritture nel sito personale claudiobagnasco.com

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