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ChatGPT e i lavoratori pagati meno di due dollari l’ora

Clamorosa inchiesta del Time su OpenAI

Tutto il mondo, da qualche tempo a questa parte, sembra che si sia fermato ad ammirare le mirabolanti cose che sa fare ChatGPT. Ovvero il chatbot conversazionale messo sul mercato da OpenAI. Se ne parla in tutte le salse, tra toni trionfalistici e polemici.

L’intelligenza artificiale che sta dietro il bot ha già scritto un libro (in lingua italiano, e noi lo abbiamo letto e recensito per voi). Ha messo in campo Google e Microsoft, ha destato l’attenzione degli hacker. E non è mancato un programmatore che tramite il bot si è creato una fidanzata virtuale (scatenando le ire di quella reale).

Ma non ci sono solo notizie positive. Avete sentito l’ultima? E non è una battuta: si tratta proprio di una canzone, che ChatGPT ha scritto imitando lo stile di Nick Cave. Il quale però se l’è presa, e ha sentito il dovere di spiegare che una macchina non scriverà mai come un essere umano.

Per non parlare delle scuole in cui il chatbot conversazionale è stato bandito, per paura che gli studenti possano usarlo (e abusarne) per barare.

Insomma, nel bene o nel male siamo tutti attratti dalle sorprendenti potenzialità del prodotto di OpenAI.

Dietro il quale, però, si nascondono questioni decisamente più serie e urgenti.

ChatGPT

ChatGPT: lavoratori pagati meno di due dollari l’ora

A far luce su una situazione decisamente deprecabile che vede coinvolta OpenAI è stato il Time. In un articolo pubblicato mercoledì 18 gennaio sul suo sito Internet, il periodico statunitense ha denunciato una condizione salariale inaccettabile. Per rendere meno “tossico” ChatGPT, Open AI avrebbe pagato alcuni lavoratori kenioti meno di due euro l’ora.

Scopriamo i dettagli dell’inchiesta.

L’inchiesta del Time

L’articolo pubblicato il 18 gennaio dal Time è in realtà il risultato di un’inchiesta iniziata nel 2020.

Il problema messo alla luce assomiglia a un paradosso: se c’è un controllo sempre più elevato sugli standard qualitativi del bot, lo stesso non si può dire per quanto riguarda le condizioni dei lavoratori che operano per ChatGPT.

Ricordiamo che il chatbot conversazionale viene “nutrito” con un’ingente quantità di dati di ogni tipo. Più nozioni il chatbot ha, più sarà in grado di conversare autonomamente con qualunque interlocutore umano.

Ma oltre al parametro della quantità c’è quello della qualità. E non è stato infrequente, nel passato recente, che i bot conversazionali si lasciassero andare a commenti razzisti, sessisti o comunque discriminatori.

In questo senso il più recente rilascio, ovvero ChatGPT, è più “educato” rispetto al predecessore GPT-3.

Perché? Perché è stato addestrato con un set di dati per così dire depurato. Non certo manualmente, impresa improba. Ma attraverso uno strumento di intelligenza artificiale capace di fare arrivare al bot solo materiale eticamente accettabile. E qui inizia lo scandalo.

Lavoratori sottopagati. E non solo

OpenAI decide dunque di appoggiarsi a Sama, azienda californiana con sedi in Kenya, Uganda e India.

I lavoratori del Kenya hanno avuto il compito di addestrare l’intelligenza artificiale che a sua volta avrebbe inviato i dati “puliti” a ChatGPT.

Ed ecco che il Time parla di condizioni dei lavoratori simili a quelle di moderni schiavi. Per un compenso che va dagli 1,32 ai 2 dollari all’ora, uomini e donne si sono sottoposti a ore e ore di tu per tu con i più spiacevoli contenuti della Rete.

Si trattava di un gruppo di 30 lavoratori che, ruotando su tre turni giornalieri, in otto o nove ore di turno doveva intercettare sui siti, tra i forum e nei commenti dei social centinaia di passaggi – dalle 100 alle 1.000 parole l’uno – contenenti descrizioni di abusi sessuali, incitamenti all’odio e alla violenza.

Uno dei lavoratori per conto di ChatGPT ha dichiarato al Time di aver gestito una grande quantità di testi su abusi sessuali su minorenni, bestialità, omicidio, suicidio, tortura, autolesionismo e incesto.

I lavoratori non erano dunque solo sottopagati. Ma hanno anche subito seri contraccolpi psicologici.

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La posizione di OpenAI

Sull’incresciosa condizioni dei lavoratori per ChatGPT, OpenAI sembra non avere responsabilità diretta.

L’azienda si è infatti appoggiata a Sama, corrispondendo una tariffa oraria di 12,50 dollari per ogni lavoratore.

Sama – che ha già avuto simili collaborazioni con Meta, Google e Microsoft – avrebbe inoltre fornito a OpenAI tutte le rassicurazioni del caso.

Da un lato, Sama è la stessa azienda che si vanta di “aver contribuito a far uscire dalla povertà oltre 50mila persone” in Kenya, Uganda e India.

Dall’altro la società creatrice di ChatGPT, per mezzo di un portavoce, ha fatto sapere che “prendiamo molto sul serio la salute mentale dei nostri dipendenti e quella dei nostri appaltatori. I lavoratori potevano rinunciare a qualsiasi contenuto senza penalizzazioni, l’esposizione al materiale esplicito avrebbe avuto un limite e le informazioni sensibili sarebbero state gestite da lavoratori specificamente formati”.

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Claudio Bagnasco

Claudio Bagnasco è nato a Genova nel 1975 e dal 2013 vive a Tortolì. Ha scritto e pubblicato diversi libri, è co-fondatore e co-curatore del blog letterario Squadernauti. Prepara e corre maratone con grande passione e incrollabile lentezza. Ha raccolto parte delle sue scritture nel sito personale claudiobagnasco.com

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