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The Adam Project: com’è il film Netflix con Ryan Reynolds

The Adam Project è disponibile su Netflix dall'11 marzo.

Dopo il fortunato Free Guy – Eroe per gioco, il regista Shawn Levy si ricongiunge con Ryan Reynolds per un’altra avventura a sfondo fantascientifico impregnata di cultura geek, ovvero The Adam Project, disponibile dall’11 marzo su Netflix. Un’opera decisamente superiore alla media delle produzioni originali della piattaforma, che si inserisce nell’ormai infinito filone di revival anni ’80 senza mettere in scena una copia carbone di storie già viste, ma cogliendo invece lo spirito di quell’epoca fondamentale per il cinema. The Adam Project unisce infatti il sense of wonder del cinema di Steven Spielberg (e in particolare di E.T. l’extra-terrestre), la narrazione degli adolescenti perdenti portata al successo da I Goonies e Stand by Me – Ricordo di un’estate e il tema dei viaggi temporali (con inevitabili citazioni esplicite a Terminator e Ritorno al futuro), in una divertente avventura fantascientifica che è anche toccante riflessione sul rapporto fra genitori e figli.

Mattatore assoluto di The Adam Project è il sempre più bravo Ryan Reynolds, che interpreta il viaggiatore temporale Adam Reed, personaggio con più di un punto di contatto con il Peter Quill di Chris Pratt in Guardiani della Galassia. Adam viaggia dal 2050, epoca in cui la scoperta dei viaggi del tempo ha portato il mondo sulla soglia del collasso, al 2018, dove cerca sua moglie Laura (Zoe Saldana, non a caso oggetto delle attenzioni sentimentali di Peter Quill in Guardiani della Galassia), a sua volta viaggiatrice nel tempo. Le cose non vanno come previsto, e Adam precipita nel 2018, dove incontra la giovanissima versione di se stesso (il formidabile Walker Scobell), che sta facendo i conti con la scomparsa del padre e con la solitudine della madre (Mark Ruffalo e Jennifer Garner, di nuovo insieme in un film sul viaggio nel tempo dopo 30 anni in 1 secondo).

The Adam Project: la fantascienza rétro di Netflix, fra viaggi nel tempo e dramma familiare

The Adam Project

Il cuore di The Adam Project non sta tanto nella cospirazione alla base del viaggio indietro nel tempo di Adam (che coinvolge la cinica Maya Sorian di Catherine Keener), quanto piuttosto nella dimensione umana del racconto e nella diversità di punti di vista da cui ci si può approcciare a un preciso momento della vita. I ripetuti dialoghi fra le due versioni di Adam non mancano di umorismo sul futuro successo del personaggio con l’altro sesso e sulla sua fervente cinefilia, ma celano anche una dolorosa riflessione sulla crescita: chi oggi guarda in avanti in futuro guarderà indietro, e unirà i puntini che compongono la sua vita con una prospettiva e una consapevolezza totalmente nuove e imprevedibili.

Mentre la storia si dipana, Shawn Levy si concede il lusso di fare il verso all’immancabile Star Wars (le battaglie con le spade laser), di creare le sue regole del viaggio nel tempo (che prevedono un adattamento selettivo della memoria dopo modifiche a un evento passato capaci di influenzare il presente) e di mettere in scena della convincente azione a base di scontri a fuoco ed esplosioni, rendendo così onore allo spec script di T. S. Nowlin, già sul mercato dal 2012 e passato anche attraverso un progetto abortito che avrebbe dovuto contare su Tom Cruise nella parte del protagonista. Come sottolineato in precedenza, il punto però è sempre un altro, e lo si evince anche da come il regista sorvola su questioni potenzialmente interessanti per il racconto, come la catena di eventi che ha dato vita ai viaggi nel tempo o la situazione della Terra nel 2050.

La dimensione umana del racconto

The Adam Project

Con l’ingresso in scena di Mark Ruffalo, capace di donare profondità e spessore al racconto anche con pochi minuti a disposizione, emerge con ancora più forza il sottotesto familiare, che mette il piccolo e l’adulto Adam nelle condizioni di realizzare un desiderio impossibile per molti, cioè parlare con un genitore prematuramente scomparso, affermando e ascoltando ciò che il tempo e l’incomunicabilità non hanno dato la possibilità di dire o sentire. il contesto fantascientifico si rivela così poco più di un pretesto per mettere in scena un’idea che il genere ha più volte affrontato (cioè parlare con le versioni di se stesso nel presente o nel futuro, influenzando il corso degli eventi), con un tocco intimo e umano capace di rendere The Adam Project un prodotto fresco e addirittura originale.

Un cast in grande spolvero (fatta eccezione per una Catherine Keener davvero troppo monodimensionale e appesantita da uno scadente de-aging in CGI) completa il quadro di un’opera che riesce a fondere intrattenimento e riflessione, senza mai perdere leggerezza e coerenza. In un panorama dell’intrattenimento che purtroppo porta spesso sui nostri schermi del cinema fast food, creato esclusivamente per rimpolpare i cataloghi delle piattaforme e incapace di lasciare il segno, The Adam Project si rivela una piacevole eccezione, grazie alla quale si respira almeno l’atmosfera delle grandi storie con cui siamo cresciuti e che ci hanno insegnato a sognare.

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Marco Paiano

Tutto quello che ho imparato nella vita l'ho imparato da Star Wars, Monkey Island e Il grande Lebowski. Lo metto in pratica su Tech Princess.

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