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Un giorno di ordinaria follia: la discesa nell’abisso di D-Fens compie 30 anni

Un giorno di ordinaria follia ha debuttato in sala il 26 febbraio 1993.

Si apre con un esplicito omaggio a Federico Fellini e al suo Un giorno di ordinaria follia, e nello specifico con il protagonista William Foster “D-Fens” imbrigliato nel traffico opprimente e asfissiante di Los Angeles. La reazione anche in questo caso è una fuga, non nella fantasia e nei ricordi come quella di Marcello Mastroianni nel capolavoro felliniano, ma in una Los Angeles mai così cupa e inquietante, segnata da 12 anni di era repubblicana, da crescenti diseguaglianze sociali e da rigurgiti fascisti, in cui già si intravedono della celeberrima sommossa a seguito del pestaggio di Rodney King, avvenuta proprio durante le riprese di Un giorno di ordinaria follia. È l’inizio di una vera e propria odissea urbana di un personaggio mentalmente instabile, che trova terreno fertile per la sua crescente rabbia in una società sinistra e disumana, pronta ad accompagnarlo in un vortice di violenza e distruzione.

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Un giorno di ordinaria follia, arrivato in sala il 26 febbraio 1993, è l’ideale anello di congiunzione fra la prima parte della carriera del regista Joel Schumacher, contraddistinta da film generazionali come St. Elmo’s Fire, Ragazzi perduti e Linea mortale, e una seconda più incline al genere, inaugurata dai poco apprezzati Batman Forever e Batman & Robin. Un progetto scomodo e controverso, nato dalla penna di Ebbe Roe Smith e rifiutato successivamente da molti interpreti e case di produzione, fino a trovare un ormai insperato sostegno nella Warner Bros. e in uno strepitoso Michael Douglas, alle prese con quella che ha dichiarato più volte essere la sua performance preferita. Accanto a lui un fondamentale Robert Duvall, nei panni del sergente Martin Prendergast, impegnato nel suo ultimo giorno di lavoro prima della pensione. Un duello a distanza al centro di un racconto aspro e amaro, che pone profondi interrogativi morali allo spettatore.

Un giorno di ordinaria follia: 30 anni di un cult

Un giorno di ordinaria follia 2

D-Fens non è una persona stabile, tutt’altro. Nel corso di Un giorno di ordinaria follia scopriamo infatti diversi risvolti oscuri della sua personalità, che vanno da atteggiamenti violenti nel confronto della moglie a posizioni apertamente razziste, passando per gravi turbamenti psicologici evidenti nella sua quotidiana messinscena di un lavoro perso in realtà un mese prima. Nonostante ciò, per una buona parte del racconto siamo portati a parteggiare apertamente per questo ex funzionario del Dipartimento della difesa americano, diventato improvvisamente non necessario al termine della Guerra Fredda, lasciato poi dalla moglie e infine impossibilitato a vedere la figlia nel giorno del suo compleanno.

Il suo cammino verso casa, che gli è vietato da un’ordinanza restrittiva, è una sorta di versione distorta e corrotta di quello di Dorothy ne Il mago di Oz: non c’è nessuna strega cattiva da sconfiggere, né alcun brutto sogno da svegliarsi; la sua è una corsa sempre più precipitosa e pericolosa verso l’abisso, evocata già a partire dal titolo originale Falling Down, non più calzante di quello italiano. Nel suo cammino dal centro di Los Angeles a Venice, D-Fens non mette solo a ferro e fuoco la città, ma diventa rappresentazione plastica ed estremizzata della più violenta lotta al sistema e della più pericolosa insoddisfazione sociale.

In rapida successione, lo vediamo aggredire con una mazza da baseball il gestore coreano di un minimarket, colpevole di non volergli cambiare le banconote in monete necessarie per una telefonata; difendersi con ferocia per due volte da teppisti locali; devastare un fast food in cui gli inservienti si rifiutano di servirgli la colazione fuori orario.

Un giorno di ordinaria follia: l’altra faccia di Rambo

Un giorno di ordinaria follia 3

«Basta una brutta giornata per ridurre l’uomo più assennato del pianeta a un pazzo. Ecco tutto ciò che mi separa dal resto del mondo. Solo una brutta giornata!», dice Joker a Batman nella straordinaria storia a fumetti di Alan Moore Batman: The Killing Joke. La parabola autodistruttiva di D-Fens sembra ricalcare proprio questo concetto, mettendo in luce come una serie di superabili disavventure possa trasformare una persona apparentemente assennata in un cane sciolto in preda a una furia devastatrice. Il quadro cambia però radicalmente quando D-Fens entra in un negozio di abbigliamento e attrezzatura militare, gestito da un fanatico neonazista che dimostra istintivamente apprezzamento e sostegno per il suo nuovo cliente quando scopre che è ricercato dalla polizia.

Ascoltando le deliranti teorie politiche e sociali della sua nuova conoscenza, D-Fens viene brutalmente messo davanti a ciò a cui potrebbe condurlo la sua furia. Ha quindi un impeto di orgoglio e di lucidità, vanificato però immediatamente da una colluttazione fatale al neonazista e soprattuto da una dolente presa di coscienza: per D-Fens il punto di non ritorno è già stato abbondantemente superato, quindi non gli rimane che proseguire la sua folle corsa, che porta dritto a Venice e alla sua ex famiglia, l’unico flebile contatto con la realtà rimasto. Ed è qui che Un giorno di ordinaria follia muta radicalmente lo scenario e il nostro punto di vista: non siamo più di fronte a un Rambo urbano ribelle e fuori controllo, ma a una persona estremamente pericolosa per sé e per chi gli sta intorno, e da ben prima del momento della sua fuga dal traffico losangelino.

La spirale autodistruttiva di D-Fens

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L’uomo che anche per la polizia della metropoli è ormai noto come D-Fens, per via della targa personalizzata della sua auto che allude chiaramente al suo precedente lavoro, continua a seminare panico e terrore per Los Angeles, e non solo verso chi ha l’ardire di mettersi sulla sua strada. In preda alla più totale anarchia e alla pura mitomania, il protagonista confonde la sua personale esperienza con quella della fetta più disagiata della società americana, ergendosi a simbolo di un malessere strisciante. Ne sono una prova i suoi confusi accenni alla condizione di persona “non economicamente affidabile”, visto su un cartello esposto da una persona vestita non a caso in camicia e cravatta come lui, ma soprattutto i suoi successivi bersagli, ovvero degli anziani giocatori di golf e la famiglia di un chirurgo plastico, aggredita all’interno di una lussuosa villa.

Il pensiero di D-Fens è ormai evidente. L’insieme di errori, sfortuna e disperazione che contraddistingue la sua vita non è più una situazione da affrontare nello specifico, con una chiara presa di coscienza e un cammino di redenzione, ma un particolare da proiettare in un contesto sociale molto più ampio e complesso. Una distorsione che porta ad associare al nemico un insieme di persone e classi che non hanno nulla a che spartire fra loro. Ecco quindi che il male assume di volta in volta le sembianze del governo, che lo ha ritenuto obsoleto, di un immigrato scortese, di un impiegato troppo zelante o semplicemente di persone ricche e di successo, che nella distorta psiche di D-Fens si godono un benessere che in un mondo giusto dovrebbe spettare a lui.

Un giorno di ordinaria follia e il disagio della società

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Un giorno di ordinaria follia ha il merito di intercettare un disagio comune nella società americana dell’epoca, devastata a più livelli da 8 anni di edonismo reaganiano e da 4 di amministrazione Bush Senior, in netta continuità con quella precedente. Allo stesso tempo, con questo doloroso e disperato racconto Joel Schumacher anticipa il malessere che molti anni più tardi troverà un megafono sui social network, trasformati in pericolose valvole di sfogo per frustrazione e rabbia repressa, e di conseguenza facili veicoli per disinformazione e propaganda di estrema destra. Un turbamento che fortunatamente nella maggior parte dei casi resta confinato a profili e bacheche virtuali, ma in cui non è difficile intravedere le stesse dinamiche di cui è vittima D-Fens.

Accade allora che un’opera sghemba, dalla morale incerta e dal riscontro critico e commerciale decisamente tiepido, acquisisca col tempo maggiore forza e importanza, e non solo come chiave di decodifica per la società. Un giorno di ordinaria follia è infatti anche il lascito di una Hollywood ben lontana da quella odierna, capace di incanalare star e ingenti capitali in un progetto respingente per buona parte del pubblico, totalmente privo di speranza e dominato da un protagonista negativo. Uno scenario fosco e desolante, in cui di conseguenza sono ancora più abbaglianti i pochi sprazzi di luce, come la moglie afflitta interpretata da Barbara Hershey e il Martin Prendergast di Robert Duvall, che per via della sofferenza da lui provata a seguito della prematura perdita del suo neonato figlio è forse l’unico in grado di comprendere la disperazione di D-Fens.

London Bridge Is Falling Down

Un giorno di ordinaria follia 6

Prendergast è a tutti gli effetti l’altra faccia della medaglia rappresentata da D-Fens. Anche lui ha subito una grave perdita e ha vissuto esperienze negative sul lavoro. Ciononostante, non ha ceduto alla rabbia e alla frustrazione, e ha portato a termine con professionalità e abnegazione il suo percorso lavorativo, che si conclude proprio nel giorno di ordinaria follia di D-Fens. Ad attenderlo c’è un ritiro insieme all’ansiosa moglie presso il Lake Havasu City, in Arizona, dove è stato ricostruito il vecchio iconico London Bridge. London Bridge che è anche al centro della celebre canzone London Bridge Is Falling Down, che risuona dalla palla di neve che D-Fens vuole regalare a sua figlia. Un collegamento esplicito fra due persone diverse, che hanno reagito in maniera opposta a problemi analoghi.

Su questo scontro a distanza sempre più ridotta, Un giorno di ordinaria follia costruisce un epilogo scopertamente western, in cui due personaggi ancorati al passato e figli delle loro difficili decisioni si trovano inevitabilmente a collidere. «Io cerco soltanto di arrivare a casa per la festa di mia figlia, e se nessuno si metterà sulla mia strada, nessuno si farà del male», dice con un tono inquietante D-Fens. Quando però il protagonista ritrova la sua famiglia, nello scenario delle assolate spiagge di Venice, tutti hanno la netta sensazione che questa avventura possa finire nel peggiore dei modi, compreso Martin Prendergast.

Il finale di Un giorno di ordinaria follia

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Il loro è un duello fra persone che si trovano da parti opposte della barricata, ma che avrebbero potuto facilmente trovarsi a ruoli invertiti, se solo avessero avuto un altro atteggiamento durante quella famosa giornata storta. Entrambi sanno che questa storia può finire solo in un modo, ovvero con l’eliminazione fisica di chi per sua stessa ammissione non ha più nulla da perdere, e la cui morte è solo un modo per regalare alla figlia una sostanziosa cifra garantita dall’assicurazione.

Ed è qui che da spettatori ci troviamo ancora in una situazione scomoda, portati a provare empatia e pietà per una persona che si è macchiata di comportamenti e azioni del tutto ingiustificabili. La pistola ad acqua che D-Fens mostra prima di concludere la sua dissennata corsa nelle acque dell’oceano è il beffardo epilogo di un racconto già attuale che mai. Possiamo davvero essere certi del fatto che reagiremmo in maniera diversa da D-Fens se messi in una situazione di fortissimo e inestricabile stress? O forse come succede a lui ci basta rimanere bloccati per qualche minuto di troppo nel traffico per manifestare i primi pensieri anarchici e violenti?

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Nella tragica conclusione di Un giorno di ordinaria follia si respira la stessa atmosfera del leggendario finale di Thelma & Louise. Quella di chi non ha più una via di uscita e si ritrova a spingere col piede sull’acceleratore, fino al definitivo termine di tutti i mali e di ogni insoddisfazione. Un monito che lascia ancora profondamente scossi e turbati, come solo il grande cinema sa fare.

“Ho superato il punto di non ritorno. Sai qual è? È il punto in cui, in un viaggio, è più conveniente proseguire che tornare indietro”.

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Un giorno di ordinaria follia
  • Polish Release, cover may contain Polish text/markings. The disk has Italian audio and subtitles.
  • Barbara Hershey (Attore)
  • Joel Schumacher (Direttore)

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Marco Paiano

Tutto quello che ho imparato nella vita l'ho imparato da Star Wars, Monkey Island e Il grande Lebowski. Lo metto in pratica su Tech Princess.

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