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C’eravamo tanto amati di Ettore Scola – Il filo nascosto

Per il nuovo appuntamento con Il filo nascosto, parliamo di uno dei capolavori di Ettore Scola.

«Il futuro è passato, e non ce ne siamo nemmeno accorti», dice il Gianni Perego di Vittorio Gassman in uno dei momenti più malinconici ed emozionanti di C’eravamo tanto amati. Una frase capace di racchiudere il cuore di questa pietra miliare del cinema italiano firmata da Ettore Scola, che nello spazio di appena 120 minuti racconta 30 anni di amicizia e di storia del nostro Paese, realizzando al tempo stesso un appassionato e sincero omaggio alla settima arte e un lucido ritratto di un’intera nazione, ancora oggi attuale. Il tutto con lo sfondo di una Roma magica e silenziosa, fedele amica e solida spalla dei personaggi di Nino Manfredi, Vittorio Gassman, Stefania Sandrelli e Stefano Satta Flores.

Dopo Mamma Roma, a cui abbiamo dedicato il precedente appuntamento con la nostra rubrica cinematografica Il filo nascosto, ci concentriamo dunque su un altro film in cui la Capitale è fondamentale per le dinamiche narrative. Lo stesso Ettore Scola sottolinea l’indissolubile legame fra il cinema e Roma, tributando un omaggio a La dolce vita e alla celeberrima scena della Fontana di Trevi, riproposta all’interno del racconto ed esaltata dagli autoironici camei di Federico Fellini e Marcello Mastroianni. Una divertita parentesi all’interno di un’opera struggente e amara, che tira idealmente le somme del florido filone della commedia all’italiana e di una lunga pagina di storia del nostro Paese.

C’eravamo tanto amati: amicizia, amore e rimpianto in un amaro ritratto dell’Italia

C'eravamo tanto amati

C’eravamo tanto amati si concentra sull’amicizia di Gianni (Vittorio Gassman), Antonio (Nino Manfredi) e Nicola (Stefano Satta Flores) e sul loro mutevole legame con Luciana (Stefania Sandrelli). I tre si conoscono sul finire della Seconda guerra mondiale, che li vede prima uniti come partigiani e poi separati dalla vita. Gianni va a Pavia per terminare i suoi studi in giurisprudenza, Nicola trova lavoro come insegnante nella sua Nocera Inferiore e Antonio si ferma a Roma, dove lavora in ospedale e conosce Luciana, con la quale intraprende una relazione. Le loro strade finiscono però per incrociarsi nuovamente più volte nel corso di 30 anni, segnando le loro vite e la loro amicizia, fino a un mesto e toccante epilogo. Sullo sfondo, un’Italia apparentemente protesa verso il cambiamento, ma in realtà sempre uguale a se stessa e caratterizzata dai medesimi vizi e dalle stesse contraddizioni.

Nonostante il fondamentale contributo dei co-sceneggiatori Age & Scarpelli, è evidente che i quattro personaggi principali di C’eravamo tanto amati rappresentano altrettanti aspetti della storia e della personalità di Ettore Scola. Nicola (che nei progetti iniziali avrebbe dovuto essere l’unico protagonista) è l’anima più cinefila e intellettuale del regista, devota al neorealismo e alimentata da una passione scevra da compromessi; Antonio è invece il personaggio più politicamente impegnato e coerente, disposto a tutto pur di non andare contro ai suoi ideali; al contrario, Gianni è l’uomo che ce l’ha fatta, e che ha accettato anche qualche patto col Diavolo (rappresentato dal nostalgico del fascismo Romolo Catenacci di Aldo Fabrizi) per compiere la propria scalata sociale; Luciana infine è la personalità più ingenua e apparentemente passiva del gruppo, che proprio grazie alla sua purezza riesce invece a raggiungere l’agognata felicità.

Un’Italia incapace di cambiare

C'eravamo tanto amati

Su questi solidi e stratificati caratteri Ettore Scola imbastisce un disilluso viaggio in un’Italia incapace di cambiare, che ingloba e mortifica personalità diverse sotto una coltre di immobilismo e rassegnazione. «Vincerà l’amicizia o l’amore? Sceglieremo di essere onesti o felici?», si chiede ancora una volta Gianni, mettendo la sua vita e quella di noi spettatori davanti a bivi che non dovrebbero esistere e decretando implicitamente il fallimento di un’intera società. Una società in cui gli spunti più alti (come il neorealismo tanto caro a Nicola o l’incomunicabilità di Michelangelo Antonioni esplorata goffamente dal tragico personaggio di Giovanna Ralli) si scontrano con l’anima conservatrice e democristiana che osteggia la rappresentazione della miseria alla base di Ladri di biciclette, per poi ripararsi sotto la stessa ala protettiva del quiz di Mike Bongiorno Lascia o raddoppia? e del suo effimero nozionismo.

Il panorama culturale nostrano, che dal 1974 di C’eravamo tanto amati è ulteriormente peggiorato, è ben rappresentato dalla traiettoria esistenziale di Nicola, che lascia la sua retrograda e rozza città di provincia e un comodo lavoro da insegnante attratto dalla fama televisiva e dall’ambiente romano, per poi trasformarsi lentamente in una sorta di parodia dell’intellettuale, completamente scollegato dal dibattito sociale e costretto a tirare a campare scrivendo recensioni sotto pseudonimo. Per lui tutto comincia, prosegue e finisce nella sua passione per Vittorio De Sica (alla cui memoria è dedicato C’eravamo tanto amati): i vani tentativi di cineforum su di lui nella sua Nocera Inferiore, un quiz perso per eccesso di zelo in una risposta su Ladri di biciclette e infine l’incontro con il maestro, quando è ormai troppo tardi per salvarsi o per cambiare.

Opportunismo contro idealismo

Dopo una breve relazione con Luciana, Nicola finisce ben presto ai margini di un triangolo amoroso che per certi versi riprende quello alla base di Dramma della gelosia (tutti i particolari in cronaca) (firmato dallo stesso Scola quattro anni prima di C’eravamo tanto amati), distaccandosene però per toni e contenuti. È l’amore per il personaggio di Stefania Sandrelli a rompere l’amicizia fra Antonio e Gianni, e a segnare una netta separazione fra le loro vite. Il primo rimane vittima del suo stesso idealismo e della propria incapacità di chinare la testa di fronte alle ingiustizie, conducendo una vita alla fine dei conti felice ma lontana dalle sue aspettative economiche, per poi lasciarsi andare a un eloquente «Se semo stufati di essere buoni e generosi».

Gianni finisce invece per allinearsi involontariamente al pensiero del suo ricco e spietato suocero, che in un impeto di cinismo lo ammonisce affermando «Secondo te chi è la persona più sola al mondo? Il povero? E invece no! È il ricco! Capisci? Il ricco é più solo perché é più raro. I poveri son tanti, tutti amici, sempre assieme, ‘sti lazzaroni che non ti fanno più campà».

Fra l’amore e l’amicizia Gianni sceglie prima l’amore, infilandosi senza scrupoli nel rapporto fra Antonio e Luciana; abbandona poi la donna per la sprovveduta figlia di Catenacci, abbiente e spregiudicato palazzinaro capace di lanciare Gianni nella sua carriera di avvocato; successivamente vive un matrimonio infelice con una donna che non ama e che fa di tutto per compiacerlo; con la prematura morte di quest’ultima si ritrova infine ricco ma solo, a tuffarsi in una piscina vuota come la sua vita, vergognandosi della sua posizione economica e restando aggrappato solo al ricordo dell’amore per Luciana, devota invece ad Antonio.

C’eravamo tanto amati e la cinefilia

C'eravamo tanto amati

A fare da cornice a questo lento ballo fra opportunismo e idealismo, fra individualismo e lotta di classe, c’è il cinema, che è allo stesso tempo filtro con cui osservare la realtà, deus ex machina che indirizza i protagonisti e terreno fertile per i virtuosismi registici di Ettore Scola. Detto dell’indissolubile legame fra Nicola e Vittorio De Sica, spicca soprattutto la suggestiva parentesi alla Fontana di Trevi, che permette a Luciana e Antonio di incontrarsi ancora ma è soprattutto l’occasione per l’ossequio del regista al suo amico e collega Fellini, a cui non a caso ha dedicato la sua ultima opera Che strano chiamarsi Federico.

Con oltre 40 anni di anticipo sull’inchino a Shining messo in scena da Steven Spielberg in Ready Player One, Ettore Scola porta la storia del cinema dentro il suo cinema, restituendoci un ideale controcampo dell’iconico “Marcello, come here” e sbertucciando bonariamente per l’occasione Mastroianni (inquadrato sempre con gli occhiali da sole) e lo stesso Fellini, indugiando sulla spelacchiata nuca del collega contro la sua volontà. Il momento più abbagliante all’interno di un film sfacciatamente cinefilo, in cui i personaggi rompono continuamente la quarta parete (come già visto nella nouvelle vague e nel già citato Dramma della gelosia) e sono protagonisti di una narrazione non lineare, di visioni e di momenti di vera e propria sospensione dalla realtà.

Da non sottovalutare il lavoro sulla fotografia di Scola e del direttore Claudio Cirillo, che avvolgono il passato in un elegante bianco e nero per poi lasciare spazio a colori freddi come le esistenze dei protagonisti.

Omaggi e citazioni

Storia, racconto e cinema si fondono l’uno nell’altro, dando vita a un mix di bellezza e malinconia davanti al quale è impossibile restare indifferenti. Si ride nel vedere Fellini scambiato per Roberto Rossellini o durante la grossolana riproposizione de La corazzata Potëmkin sulla scalinata di Trinità de’ Monti (con due anni di anticipo su Il secondo tragico Fantozzi di Luciano Salce), ci si emoziona per le citazioni a L’anno scorso a Marienbad e Io la conoscevo bene (i personaggi di Stefania Sandrelli hanno molto in comune), ma nel frattempo l’Italia si muove intorno ai protagonisti, passando dalla guerra di liberazione ai referendum, attraversando il boom economico e il Sessantotto per poi precipitare negli anni di piombo.

Cambiano le stagioni e i governi, mutano gli usi e i costumi e si modificano i punti di riferimento culturali, ma nulla di tutto questo ha conseguenze sui destini dei personaggi, inesorabilmente imprigionati in una spirale di disillusione e insoddisfazione. Una dinamica esplorata successivamente anche da Gabriele Muccino nel suo notevole Gli anni più belli, dichiaratamente ispirato a C’eravamo tanto amati ma ambientato invece nell’epoca del precariato, delle famiglie allargate e del populismo. Un’ulteriore conferma della bontà del lavoro di Scola e di Age & Scarpelli, che nel 1974 hanno saputo scattare una fotografia dell’Italia talmente lucida e in anticipo sui tempi da poter essere facilmente traslata in periodi successivi.

Il finale di C’eravamo tanto amati

C'eravamo tanto amati

Le vite di Antonio, Gianni e Nicola si incrociano nuovamente per una cena pacificatrice che lascia ben presto spazio al rimpianto, al rancore e a prese di coscienza come «Meglio intellettuali fracidi, che proletari imborghesiti» e «La nostra generazione ha fatto veramente schifo». Dopo la rimpatriata e la rissa, ci sono ancora due verità da rivelare. La prima è il destino di Antonio e Luciana, che dopo essersi presi e lasciati nel corso di decenni sono finalmente riusciti a creare una famiglia, nonostante le difficoltà e le ristrettezze economiche. Ad accompagnare lo svelamento è una veglia davanti alla scuola e soprattutto il suggestivo E io ero Sandokan, brano forte di un testo dalle chiare reminiscenze di Resistenza scritto per l’occasione dalla figlia di Scola Paola, apice della splendida colonna sonora di Armando Trovajoli.

Ormai in preda alla disperazione per la triste parabola della sua vita, Gianni cerca conforto in Luciana, che spezza sul nascere il romanticismo del suo vecchio amore ammettendo candidamente di non avere mai pensato a lui negli anni precedenti, a differenza sua. All’uomo non resta che allontanarsi tristemente, celando la sua sconfinata ricchezza ai vecchi amici. A causa di un fortuito scambio di patenti, Antonio, Luciana e Nicola si recano però nella villa dell’uomo, scoprendo così la verità: nell’imprevedibile cammino della vita forse i perdenti sono loro, ma il poveraccio è sicuramente Gianni, che nel corso della sua imperterrita ricerca dell’agiatezza e del successo ha perso tutto ciò che rendeva la sua esistenza degna di essere vissuta.

Il lascito di C’eravamo tanto amati

La chiusura perfetta di un’opera maestosa, capace di fondere racconto popolare, raffinato gioco metacinematografico e aspra critica sociale. Una pietra miliare del cinema italiano, che ci ricorda chi eravamo, chi siamo e chi forse sempre saremo.

“Credevamo di cambiare il mondo, invece il mondo ha cambiato a noi”.

C'eravamo tanto amati

Il filo nascosto nasce con l’intento di ripercorrere la storia del cinema nel modo più libero e semplice possibile. Ogni settimana un film diverso di qualsiasi genere, epoca e nazionalità, collegato al precedente da un dettaglio. Tematiche, anno di distribuzione, regista, protagonista, ambientazione: l’unico limite è la fantasia, il faro che ci guida è l’amore per il cinema. I film si parlano, noi ascoltiamo i loro dialoghi.

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Marco Paiano

Tutto quello che ho imparato nella vita l'ho imparato da Star Wars, Monkey Island e Il grande Lebowski. Lo metto in pratica su Tech Princess.

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