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Il mago di Oz di Victor Fleming – Il filo nascosto

In questo nuovo appuntamento con Il filo nascosto, ci concentriamo su Il mago di Oz, capolavoro del cinema narrativo classico.

Che cosa sogniamo, quando sogniamo? A volte creature orribili e situazioni spaventose; in altri casi versioni rivedute e romanzate della nostra realtà; altre volte ancora un mondo fantastico e irreale, dove vivere una vita più felice e serena. Un mondo “da qualche parte sopra l’arcobaleno“, dove “i problemi si fondono come gocce di limone“, come recita la celeberrima Over the Rainbow, consegnata all’immortalità da Judy Garland con la sua interpretazione ne Il mago di Oz. Forse la chiave di questa pietra miliare del cinema narrativo classico, da 83 anni amata e studiata in tutto il mondo, sta proprio nella sua capacità di connettersi a vari livelli con alcuni nostri atavici desideri, che nel cammino della vita non si cancellano, ma acquisiscono invece nuove sfumature e suggestioni.

Nel precedente appuntamento con la nostra rubrica cinematografica Il filo nascosto, ci siamo concentrati su Cuore selvaggio di David Lynch, sfacciato e appassionato omaggio a Il mago di Oz realizzato dall’uomo che ha ammesso candidamente di pensare a questo film ogni giorno. Una connessione non certo casuale, dal momento che stiamo parlando di quello che secondo alcuni studi è il film più visto dell’intera storia del cinema, e che senza dubbio è una delle opere cinematografiche più citate, parodiate e copiate. Ma prima di procedere nell’analisi, è opportuno fare un passo indietro e delineare il contesto sociale e produttivo in cui nasce Il mago di Oz.

La genesi de Il mago di Oz

Il mago di Oz

Gran parte del merito del successo de Il mago di Oz va ovviamente a Il meraviglioso mago di Oz, romanzo per ragazzi di L. Frank Baum pubblicato nel 1900 capace di segnare l’immaginario culturale di intere generazioni. Ma a dare l’impulso produttivo per una trasposizione cinematografica dai costi esorbitanti (stimati in circa 2.8 milioni di dollari dell’epoca) è il successo del film d’animazione Disney del 1937 Biancaneve e i sette nani, senza il quale oggi non ci troveremmo di fronte allo stesso film che conosciamo. Il primo classico Disney ha infatti il merito di portare al cinema una ventata d’aria fresca, proponendo al pubblico un racconto dal chiaro impianto favolistico, ma in cui sono presenti spunti sinistri e inquietanti (la spaventosa regina cattiva) e diverse chiavi di lettura.

Nasce così l’idea di portare sul grande schermo un’altra celebre opera per ragazzi, scartando però lo stile animato in nome di un live action estremamente complesso dal punto di vista produttivo. Le ricadute più evidenti sono proprio sulla regia, anche a causa delle concomitanti riprese di un altro futuro classico come Via col vento, anch’esso targato MGM.

A dare il via alla lavorazione è Richard Thorpe, che il produttore Mervyn LeRoy sostituisce poi con George Cukor, incaricato di infondere un maggiore spirito infantile al film. A causa del coinvolgimento di Cukor nel già citato Via col vento, il timone passa poi a Victor Fleming, accreditato come regista de Il mago di Oz ma costretto ad abbandonare il set a poche settimane dalla fine proprio per sostituire il collega alla direzione del capolavoro con Vivien Leigh e Clark Gable. Completa quindi l’opera King Vidor, a cui si deve il fondamentale contributo per la realizzazione del prologo e dell’epilogo, caratterizzati da un suggestivo bianco e nero virato in color seppia.

Il mago di Oz: la ricerca della felicità oltre l’arcobaleno

Il mago di Oz

In un periodo storico contraddistinto dalle conseguenze della Grande Depressione e dalla tensione geo-politica che sarebbe poi deflagrata di lì a poco nella Seconda Guerra Mondiale, nasce un curioso ibrido fra musical, fantasy e fantastico, sospeso fra un Kansas rurale privo di colori e un mondo colorato e incantato, fatto di luoghi magnifici ma anche di gravi pericoli. Un’opera caratterizzata dalla speranza, ma velata anche da un alone di malinconia, che accompagna chiunque sia impegnato nella difficile ricerca di un proprio posto nel mondo.

Protagonista del racconto è Dorothy Gale, bambina orfana che vive nel Kansas insieme agli amati zii, forte della compagnia del suo amato cane Toto. A interpretarla è l’allora 16enne Judy Garland, che ha ottenuto la parte nonostante la concorrenza di Shirley Temple, gradita alla produzione ma impegnata in un contratto di esclusiva con 20th Century Fox difficile da aggirare in tempi brevi. Il cagnolino di Dorothy morde alla gamba l’odiosa signorina Gulch, che decide di sfruttare i suoi agganci politici per impadronirsi dell’animale col chiaro intento di farlo abbattere.

Toto riesce a sfuggire al suo destino e a tornare da Dorothy, che decide di fuggire di casa per non separarsi più dal suo amato amico a quattro zampe. Lungo il cammino incontra però il professor Meraviglia, sedicente mago che la convince a tornare dagli zii. Sulla strada di casa, Dorothy si imbatte però in un catastrofico tornado, che addirittura solleva la sua casa. Passata la tempesta, la bambina esce di casa, ma si accorge che la realtà è ben diversa da quella a cui era abituata («Toto, ho l’impressione che noi non siamo più nel Kansas»).

Fra realtà e fantasia

A questo punto, Il mago di Oz si trasforma letteralmente sotto i nostri occhi: non solo dal punto di vista della fotografia, che si caratterizza per colori accesi e forti contrasti cromatici, ma anche e soprattutto per quanto riguarda i contenuti. Quando Dorothy arriva nel regno di Oz, scopre infatti dalla cosiddetta strega buona del Nord di avere involontariamente ucciso la temibile strega dell’Est, precipitandole sopra con la sua casa. I festeggiamenti e le felicitazioni durano però poco: dal nulla sbuca infatti la strega dell’Ovest (Margaret Hamilton) sorella della defunta in cerca di vendetta sulla protagonista.

Comincia quindi il viaggio di Dorothy a Oz, che la porta a incontrare in successione uno spaventapasseri col desiderio di avere un cervello, un uomo di latta triste perché privo di un cuore e un leone, che invece prova un’inarrestabile paura nei confronti di tutto ciò che lo circonda. Queste bizzarre creature si uniscono a Dorothy nel suo viaggio, che ha un unico scopo: fare ritorno a casa, dall’affetto dei suoi cari. Per riuscirci, serve però raggiungere e convincere il misterioso mago di Oz, l’unica persona che con i suoi magici poteri può permettere a Dorothy di tornare nel Kansas.

Il mago di Oz: il viaggio dell’eroina

Il mago di Oz

«Per quasi quarant’anni questa storia ha reso un fedele servizio a tutti i Giovani di Cuore; e il Tempo non è riuscito a far sfiorire la sua garbata filosofia. A tutti coloro che continuano ad amarla, e ai Giovani di Cuore, noi dedichiamo questo film». Si apre così Il mago di Oz, esplicitando fin dal principio il suo intento di toccante favola morale. Quello di Dorothy è un tipico viaggio dell’eroe, o nello specifico dell’eroina. Ritroviamo infatti molte delle tappe proposte nell’illuminante saggio di Christopher Vogler, come la presentazione del mondo ordinario da sconvolgere, la chiamata all’avventura, l’incontro col mentore (la strega buona), con gli alleati (i suoi tre bizzarri compagni) e con il nemico (la strega cattiva). Sarebbe però riduttivo limitare a schemi e dinamiche ben rodate questa folgorante opera, che acquisisce gran parte della propria forza durante le svariate digressioni lungo il cammino.

La più nota e celebrata è sicuramente il commovente momento in cui Judy Garland esegue l’intramontabile Over the Rainbow. Una sequenza dal travolgente impatto emotivo, che interrompe di fatto l’incipit (proprio per questo motivo fu tagliata da un montaggio preliminare e poi fortunatamente reinserita) trasformandosi in un’emozionante dichiarazione di intenti. Nell’appassionato canto di Dorothy si percepisce tutta la frustrazione di chi sente di essere la persona sbagliata nel posto sbagliato, ma anche l’incrollabile speranza che un evento imprevedibile possa arrivare e sconvolgere improvvisamente la nostra vita. Non è un caso che proprio grazie a questo brano Judy Garland sia diventata un’icona della comunità LGBTQ+ e che l’arcobaleno sia stato scelto come simbolo della lotta contro qualsiasi discriminazione.

Un road movie a tinte fantasy

Il mago di Oz

Il mago di Oz non è solo un musical dall’ambientazione fantasy e dalla portata universale, ma è anche un road movie ante litteram a passo di danza, con una bizzarra strada di mattoni gialli al posto degli infiniti rettilinei a cui il cinema americano ci ha abituato. E come in ogni road movie che si rispetti, il viaggio è interiore prima ancora che fisico. Fra canti, danze, incontri con curiosi personaggi e confronti fra Dorothy e la strega cattiva, rischia di passare in secondo piano una delle dinamiche portanti del film, cioè il profondo cambiamento interiore di ogni personaggio. Pur privo di cervello, lo spaventapasseri trova più di una volta la soluzione per fare avanzare l’improvvisato gruppo; l’uomo di latta prova sentimenti sempre più intensi; il leone quasi involontariamente corre diversi pericoli, negando di fatto la sua natura pavida.

La stessa Dorothy, nell’epilogo del racconto, scopre che la soluzione per l’agognato ritorno a casa è sempre stata ai suoi piedi, sotto forma di scarpette rosse da sbattere per tre volte. Il messaggio dietro a tutto ciò è cristallino: la risposta a ogni limitazione e a ogni apparente difetto è sempre dentro di noi. Sotto quest’ottica va letta anche la constatazione finale di Dorothy, quel “There’s No Place Like Home” più volte liquidato come inno all’immobilismo, ma in realtà portatore di una verità semplice e universale: se non troviamo un equilibrio interiore, non esiste nessun luogo fisico in grado di garantirci felicità e serenità; viceversa, se acquistiamo fiducia e consapevolezza, anche il luogo più semplice e umile è sufficiente per vivere un’esistenza appagante.

Il messaggio de Il mago di Oz

Lo stesso mago di Oz, vero e proprio MacGuffin del racconto, porta con sé un forte significato metaforico. Nell’atto conclusivo, quella che tutto il regno considerava un’entità estremamente potente e quasi ultraterrena si rivela in realtà un uomo abbastanza goffo, non a caso interpretato dallo stesso Frank Morgan che dà corpo e volto al Professor Meraviglia. Un uomo comune smarrito a Oz, che con malizia, furbizia e cinismo ha saputo ritagliarsi un ruolo di potere senza reali capacità.

Non è difficile scorgere in questo personaggio una critica all’intera classe politica, a cui spesso ci affidiamo per esaudire i nostri sogni e i nostri desideri, salvo poi trovarci nella maggior parte dei casi di fronte a persone totalmente sprovvedute, prive di autorevolezza e interessate principalmente al proprio tornaconto. Ma lo svelamento della vera natura del mago di Oz è, volontariamente o meno, anche una rappresentazione plastica del potere affabulatorio del cinema. In fondo, proprio come il sedicente mago che simula la sua potenza dietro una tenda attraverso ingegnosi trucchi scenici, anche la settima arte non è altro che una magia sapientemente costruita da abili artigiani, talentuosi artisti e fantasiosi cantastorie. Un altro modo per ribadire che gran parte di quello che ci serve è già dentro di noi, e che presunte autorità esterne difficilmente ci daranno la soluzione ai nostri problemi.

Il finale de Il mago di Oz

«I limiti, come le paure, spesso sono solo un’illusione», disse una volta Michael Jordan, uno che di magie (sul campo da basket) se ne intende. E in questa frase in fondo risiede il senso più intimo e profondo de Il mago di Oz, che ci spaventa con un’iconica strega dal viso verde per poi mostrarci che per sciogliere tutta la sua malvagità basta un po’ d’acqua; ci porta a notare dei difetti in alcuni personaggi per poi annullarli con semplici oggetti che certificano le loro ritrovate qualità, ci suggerisce missioni e avventure da compiere per progredire salvo poi farci notare che la via per il ritorno è sempre stata sotto i nostri occhi, e più precisamente ai nostri piedi.

Tutto questo ricorrendo alla dimensione del sogno, in cui Dorothy non fa altro che ritrovare persone importanti per la sua vita, in un senso e nell’altro: il mago di Oz non è altro che il già citato Professor Meraviglia che suggerisce alla bambina di tornare a casa; la strega cattiva ha lo stesso volto della malefica signorina Gulch che vuole sottrargli Toto, lo spaventapasseri, l’uomo di latta e il leone non sono altro che i suoi amici contadini Hunk, Hickory e Zeke, al fianco della protagonista nel momento in cui la dimensione reale e onirica si sovrappongono, in uno dei più celebri finali lieti della storia del cinema.

Il mago di Oz e Judy Garland

Il mago di Oz

Purtroppo, la favola e la realtà non si intersecano solo in modi positivi all’interno de Il mago di Oz. Dietro le sublimi abilità canore di Judy Garland (evidenti anche in We’re off to See the Wizard e nei vari duetti) si cela una realtà fatta di severe limitazioni, di molestie da parte degli interpreti dei Mastichini e di ritmi pesantissimi di lavorazione imposti dalla produzione alla giovane attrice, che la portarono ad assumere ingenti dosi di farmaci. Farmaci che non abbandonarono mai Judy Garland, morta a soli 47 anni dopo al termine di una vita segnata dalla dipendenza e dagli eccessi. Sulla scia dello spettacolo teatrale End of the Rainbow e del film Judy su esso basato (con protagonista Renée Zellweger, premiata con l’Oscar), non possiamo che augurarci che questa splendida e tormentata anima sia finalmente riuscita a trovare pace, da qualche parte oltre l’arcobaleno.

«E ricordati, mio sentimentale amico, un cuore non si giudica solo da quanto tu ami, ma da quanto riesci a farti amare dagli altri.»

Il mago di Oz

Il filo nascosto nasce con l’intento di ripercorrere la storia del cinema nel modo più libero e semplice possibile. Ogni settimana un film diverso di qualsiasi genere, epoca e nazionalità, collegato al precedente da un dettaglio. Tematiche, anno di distribuzione, regista, protagonista, ambientazione: l’unico limite è la fantasia, il faro che ci guida è l’amore per il cinema. I film si parlano, noi ascoltiamo i loro dialoghi.

Il Mago Di Oz (1939) (Special Edition) (2 Dvd)
  • Video casalingo della Warner
  • Il Mago Di Oz (1939) (Edizione Speciale) (2 Dvd) [Italia]
  • Marca: Warner Home Video

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Marco Paiano

Tutto quello che ho imparato nella vita l'ho imparato da Star Wars, Monkey Island e Il grande Lebowski. Lo metto in pratica su Tech Princess.

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