Bentornati nel nostro viaggio all’ombra della Mole attraverso la Storia FIAT, una Casa che fa parte della storia dell’auto e del nostro Paese.
Dopo la prima parte del nostro viaggio, partito nel 1899 con la fondazione della Fabbrica Italiana Automobili Torino e i primi passi, e la panoramica sui modelli più iconici del Boom Economico, oggi ci concentriamo su quella che personalmente è la parte che più mi appassiona.
Oggi infatti, vedremo insieme auto importanti per la Storia FIAT, come ogni viaggio, ma anche dei modelli curiosi e delle storie industriali poco note, con cui spero di sorprendervi!
Senza aspettare oltre, andiamo!
STORIA FIAT: ecco il nostro speciale
1 -FIAT, le auto che hanno fatto la Storia: gli inizi
2 – FIAT, le auto che hanno fatto la Storia: il boom economico
3 – FIAT, le auto che hanno fatto la Storia: le “torinesi” meno conosciute
4 – FIAT, le auto che hanno fatto la Storia: dagli anni ’80 ai giorni nostri
1 -FIAT, le auto che hanno fatto la Storia: gli inizi
2 – FIAT, le auto che hanno fatto la Storia: il boom economico
3 – FIAT, le auto che hanno fatto la Storia: le “torinesi” meno conosciute
4 – FIAT, le auto che hanno fatto la Storia: dagli anni ’80 ai giorni nostri
La 8V, il primo e unico V8 della Storia FIAT
Se si pensa ad una Casa che produca ottime utilitarie, la prima che vi verrà in mente probabilmente sarà FIAT.
Il marchio torinese è famosa per le sue auto utilitarie, tutte economia e praticità, con le quali si è costruita una solida reputazione.
Se però si pensa ad una Casa di alto livello, con tecnologie all’avanguardia e grandi prestazioni, il marchio FIAT non è tra i primi che vi vengono in mente.
E non lo era neanche negli anni ’50, specialmente dopo la Guerra.
Questo i dirigenti FIAT, Valletta in primis, lo sapevano bene.
Questi, dal canto loro, spingevano per produrre auto di alto lignaggio per innalzare la reputazione e percezione del marchio.
Inoltre, c’era un motivo pratico dietro a questo desiderio. Produrre auto “importanti” è più redditizio che produrre quelle economiche, perchè con un maggiore prezzo di listino si coprono, e superano, i costi di produzione molto meglio. Anche con numeri di vendita decisamente minori.
FIAT inoltre aveva una tradizione sportiva, diciamo, “limitata”.
Per tutti questi motivi, il presidente Valletta desiderava produrre un’auto che creasse una nuova percezione del marchio torinese.
Così, nel 1947, Valletta convocò Dante Giacosa e lo incaricò di creare un’auto sportiva per rilanciare l’immagine del marchio.
La nuova auto, inoltre, doveva essere adatta anche al mercato statunitense.
Questo aspetto era particolarmente a cuore a Valletta.
Infatti quest’auto doveva far parte di una iniziativa commerciale-politica concordata con il Presidente del Consiglio De Gasperi, come un simbolico ringraziamento per gli aiuti del “Piano Marshall”.
Alla domanda quindi di creare un’auto sportiva a misura di America, Giacosa rispose laconicamente “Forse dovremmo costruirla in America”.
L’ingegnere sapeva bene che le risorse torinesi, già funestate dalla guerra, erano a malapena sufficienti per produrre auto di 20 anni prima.
Figurarsi per progettare un’auto sportiva per un mercato completamente differente da quello europeo.
La nascita della 8V: perchè si chiama così?
Al rifiuto di Giacosa di progettare in toto la vettura, e dopo lo scemare della necessità “politica” del progetto, questo venne temporaneamente accantonato, per concentrarsi sui progetti “600” e “1400”.
Solo nel 1950 venne affidata la realizzazione del prototipo alla SIATA, piccola casa di auto sportive di Torino, per esaudire il desiderio mai sopito di Valletta di avere una sportiva nella sua gamma.
L’auto venne presentata al Salone dell’Auto di Parigi del 1952, con il nome di FIAT 8V.
Perchè venne scelto questo nome, quando tutte le FIAT dopo gli anni ’50 avevano come nome la loro cilindrata?
Semplice: 8V sta a significare “8 cilindri a V”, infatti questa è la prima e unica FIAT ad aver montato un motore V8 nella storia del marchio. Questo non fu la prima scelta: infatti, ancora con Giacosa al comando del progetto, era stato pensato un V6, che però richiedeva uno studio molto importante per limitare le vibrazioni.
Allora l’ingegnere piemontese progettò un motore 8 cilndri a V di 70° (angolo davvero particolare) da 1996 cm³, 105 CV e 146 Nm, potenze di tutto rispetto per l’epoca.
Molto compatto e stretto, montato in posizione longitudinale con trazione posteriore, la 8V era capace di raggiungere i 180km/h.
La linea era opera di Luigi Fabio Rapi, ispirata alle auto americane ( personalmente ci vedo anche un po’ di Cisitalia 202, la celebre unica auto esposta al MOMA), che ancora adesso colpisce e sorprende per il mix di eleganza e sportività che riesce ad avere.
Inoltre, è stata la prima FIAT con sospensioni a ruote indipendenti, per una stabilità che la poneva ai vertici con le migliori sportive dell’epoca.
Tutte queste caratteristiche la ponevano tra le migliori sportive degli anni ’50, ma c’erano due dettagli che frenavano le vendite.
Il prezzo era stellare rispetto alle competitor più blasonate, quindi figurarsi rispetto alle altre FIAT, creando una discrepanza troppo grande.
Inoltre, gli acquirenti non erano disposti a spendere tali cifre per avere un’auto valida, ma con il marchio della Topolino sul cofano.
Il flop della 8V, e l’abbandono del mercato delle supersportive di FIAT
Giacosa, quando gli proposero la realizzazione di questo modello, disse che avrebbe avuto poco successo. Ed ebbe tristemente ragione.
In due anni di produzione, FIAT produsse solo 114 8V, numero nel quale sono contate anche i numerosi telai con motore 8V che furono date ai carrozzieri per creare dei modelli speciali.
FIAT, prima di arrivare a questo numero, provò anche a migliorare il modello per incrementare le vendite, e ci riuscirono alla grande.
Infatti nel 1954 FIAT e SIATA prepararono la seconda serie della 8V chiamata “Vetroresina”, che, per la prima volta in una vettura di grande serie (o presunta tale, visti i numeri), faceva uso di una carrozzeria fatta interamente di fibra di vetro, pesante solamente 54 kg.
Il motore venne anche migliorato portato a 127CV, con la velocità massima che lambiva i 200 km/h e una guidabilità senza eguali.
Nonostante queste premesse, però, la 8V Vetroresina vendette ancora meno della precedente con carrozzeria in acciaio. Questo perchè, all’epoca, gli acquirenti guardavano alla vetroresina come ad un materiale pericoloso e delicato, mentre in realtà era molto più resistente e solido dell’acciaio dolce delle carrozzerie classiche.
FIAT, tristemente, staccò la spina alla fine del 1954, liquidando le 25 8V Vetroresina invendute ai carrozzieri Zagato, Vignale, Ghia e alla stessa SIATA a prezzo di saldo.
Per questo motivo, se meccanicamente le 8V sono tutte uguali, esteticamente sono così diverse.
Ogni carrozziere la interpretava in maniera personale, creando tantissime varianti di 8V uniche, diverse l’una dall’altra.
Da flop commerciale, la 8V si rivelò una incredibile auto da corsa.
Infatti, una 8V Zagato vinse il Gran Premio di Berlino del 1955, battendo in casa le più accreditate Porsche sul temutissimo circuito dell’AVUS.
Una vera e propria occasione persa da parte di FIAT, e un rarissimo esempio di auto che diventa vincente una volta uscita di produzione.
Le FIAT “da ricchi”: La 2300 S Coupè
Dopo la dipartita della 8V, come detto FIAT ha abbandonato per anni il mercato delle Supercar, e anche quello delle vetture Gran Turismo.
Queste sono auto che abbinano motori decisamente potenti e prestazioni di alto livello a un confort e una raffinatezza superiore alle sportive classiche. Auto con cui fare centinaia di chilometri ad alte velocità senza che l’auto o il pilota sentissero la fatica.
FIAT non voleva abbandonare, per le motivazioni dette precedentemente, il mercato delle auto “di alta gamma“.
Così, nel 1960, FIAT lanciò la splendida 2300 Coupè.
Questa era basata sul telaio della grande berlina FIAT di quegli anni, la 1800, disponibile anche con motori 2100 e 2300 di cilindrata.
Inoltre FIAT, per non “sprecare” eccessive risorse su un modello così di nicchia, affidò il disegno e la costruzione ad un carrozziere torinese, Ghia.
Ghia (oggi di proprietà di Ford) disegnò una coupè con una linea senza tempo, sportiva ed elegantissima allo stesso tempo.
Questa linea così speciale, unita ad un motore validissimo, riuscirono a far superare agli acquirenti lo “scoglio” del marchio sul cofano.
Nonostante un costo di acquisto e gestione molto esoso, infatti, molti la sceglievano come “auto di rappresentanza“, preferendola ai modelli Lancia, Alfa Romeo e persino Maserati.
Il motore era un altro pezzo forte della 2300. È un 6 cilindri in linea da 2279 cm³, l’ultimo 6 in linea della Storia FIAT, forte di 105 CV nella versione “base” e di 136 CV nella variante “S”, la più venduta.
Grazie alla trazione posteriore e al cambio a 5 marce (con una leva dalla forma assurda), la 2300S Coupè poteva raggiungere i 190 km/h.
I 100 km/h si raggiungono in meno di 9 secondi, numeri che per una FIAT erano inimmaginabili!
Ancora oggi sono di buonissimo livello, considerano le gomme della fine degli anni ’50!
Grazie Lle sue linee spettacolari e il motore ottimo (e con un sound da brividi) era la preferita dei dirigenti di azienda, personaggi famosi e attori.
Proprio sul versante cinematografico, la FIAT 2300S Coupè è stata la co-protagonista di uno dei film più celebri della storia italiana: Il Sorpasso di Dino Risi (1962).
Nel film, infatti, Vittorio Gassman e Jean-Louis Trintignant, alla guida di una splendida Lancia Aurelia B24, sono impegnati in una folle corsa sulla Via Aurelia.. La Spider Lancia era una sportiva apprezzatissima all’epoca (e ancora oggi, come dimostrano le quotazioni), e superò con facilità tutte le avversarie.
Nell’ultima parte della loro corsa, però, affrontano una FIAT 2300 S Coupè.
La sei cilindri FIAT, di qualche anno più giovane, era un avversario ostico da superare.
Tanto che i due protagonisti finiscono per scontrarsi contro un camion nell’altra corsia, nel loro ultimo tentativo di sorpasso.
La produzione della 2300S Coupè terminò nel 1968, e fu sostituita da un modello molto speciale, di cui parlermo tra poco.
FIAT 124 e Lada: una storia d’amore lunga quasi mezzo secolo
Negli stessi anni, più precisamente nel 1966, FIAT aveva a listino la 1100/103, una berlina che personalmente trovo tra le più belle mai prodotte.
La Millecento però, nonostante fosse stata ristilizzata (senza migliorare l’estetica, anzi) già più volte, cominciava ad accusare il peso degli anni.
FIAT allora decise di cominciare lo sviluppo della nuova berlina media della casa torinese.
Lo sviluppo del progetto venne affidato nientemeno che a Dante Giacosa, papà di quasi tutte le FIAT degli ultimi 40 anni, dalla Topolino alla 126, passando anche per le Autobianchi A111 e A112.
La A111 è particolarmente importante in questo discorso.
Giacosa infatti, come molte volte vi ho raccontato in questo nostro viaggio, ha proposto alla dirigenza più prototipi.
Uno aveva motore e trazione posteriore, cassato subito, il secondo motore e trazione anteriore (Progetto 123), e l’ultimo motore anteriore e trazione posteriore (Progetto 124).
Il Progetto 123 venne conservato e utilizzato sul marchio satellite Autobianchi, per sperimentare la famigerata in casa FIAT trazione anteriore.
Autobianchi aveva infatti già prodotto la prima trazione anteriore del Gruppo, la Primula.
La A111 (questo il nome del Progetto 123) andava a sostituire la Primula, e mise le basi per la prima trazione anteriore della Storia FIAT, la 128.
La dirigenza quindi scelse il Progetto 124 il cui nome, per la prima volta nella Storia FIAT, non venne sostituito dalla cilindrata del modello, ma ne divenne il nome commerciale.
La 124: semplice, ma ottima
La 124 così nacque nel 1966, e, come detto, manteneva un’impostazione meccanica classicissima: motore anteriore, trazione posteriore, carrozzeria a tre volumi, molto squadrata e regolare.
L’auto piacque subito: era spaziosa, affidabile e anche bella da guidare. Lo sterzo era preciso e le sospensioni comode ma non cedevoli.
Il motore di lancio era un 1221 cm³ progettato dall’ingegnere ex Ferrari Aurelio Lampredi, capace di 60CV.
Era economico da mantenere, ma dava un bel brio alla 124: 145 km/h, un gran bell’andare!
Queste ottime doti stradali fecero nascere delle versioni sportive della 124 berlina, come la Special, dotata di un 1.4 da 70 CV, la Special T (la cui T sta per “twincam“, bialbero in italiano) da 80 CV e successivamente anche la Special T 1600 da 95CV e più di 170 km/h.
La 124 Special T e T 1600 hanno avuto il merito di aver lanciato uno dei migliori motori della Storia FIAT: il mitico 4 cilindri Bialbero “Lampredi”.
Dal nome del suo progettista, per oltre 30 anni sarà la base su cui si formeranno tutti i motori più sportivi della Casa Torinese.
Insieme a lei, nacquero la Familiare, spaziosissima versione station wagon a 5 porte, e due versioni sportive.
Queste erano la Sport Coupè e la Sport Spider, ques’ultima disegnata da Pininfarina, mosse dai motori delle Special T.
Soprattutto la Spider ebbe un grandissimo successo, anche oltreoceano, e fu la vera antagonista della Alfa Romeo Spider “Duetto”.
La 124 ebbe però vita “breve” con il marchio FIAT: nel 1974, infatti, venne sostituita dalla più moderna FIAT 131, che ne riprendeva la base meccanica.
Solo la Spider si salvò: anzi, Pininfarina, dopo il 1975, continuò a costruirla come Pininfarina Spideramerica fino al 1985, ottenendo un successo straordinario, in Europa e in America.
La nascita dell’Avto-VAZ, della fabbrica di Togliatti e della LADA 2101
Come detto, la 124 italiana andò in pensione nel 1974, chiudendo il suo capitolo nella Storia FIAT. La sua storia industrale, però, non si è fermata lì. Proprio no…
Infatti, nel 1964 il governo dell’Unione Sovietica aveva in mente di costruire una fabbrica di auto popolari in Russia, nella città di Togliatti (chiamata così in onore del Presidente del Partito Comunista Italiano mancato due anni prima).
La fama della fabbrica del Lingotto era tale che i sovietici non vollero fare trattative con nessun altro che non fosse FIAT.
L’Unione Sovietica chiedeva a Valletta prima e a Gianni Agnelli, l’Avvocato, poi, succeduto a Valletta nel 1966, di costruire a Togliatti una fabbrica esattamente uguale alla fabbrica del Lingotto.
L’accordo prevedeva inoltre la concessione della licenza per costruire la 124 in Russia con marchio АВТОВАЗ (AvtoVAZ, acronimo di Fabbrica di Automobili del Volga).
L’accordo prevedeva anche che FIAT redigesse uno speciale dizionario, il Dizionario italiano-russo dell’industria automobilistica.
Questo era necessario per tradurre le parole del gergo automobilistico, non presenti nella lingua russa, e permettere a dirigenti, supervisori e operai di svolgere al meglio il loro lavoro.
In totale furono ben 25’000 le voci raccolte in questo dizionario, fondamentale per la sopravvivenza della fabbrica di Togliatti.
Perchè scelsero la 124?
I sovietici scelsero la 124 perchè era un’auto di una semplicità disarmante, sia da guidare che da mantenere, ed era più semplice e robusta di molte auto europee dell’epoca. Con le giuste modifiche poteva essere adatta alle strade, o meglio, agli sterrati russi.
Inoltre, in Europa riscosse un grandissimo successo: nel 1967 fu eletta Auto Dell’Anno, prima auto italiana a vincere il premio.
In cosa consistevano queste modifiche?
Esteticamente era esattamente la stessa, come anche parte della meccanica, ma il motore era un 1.2 4 cilindri derivato da quello, più vecchio e robusto, della FIAT 1300.
Le sospensioni vennero notevolmente rinforzate e la scocca era di qualche millimetro più spessa, per resistere meglio a ghiaccio, neve, e corrosione. In oltre, sempre per ovviare alle temperature rigidissime, venne montato un riscaldamento più potente e l’avviamento a manovella, per non dover dipendere dalla batteria.
Esteticamente, a parte qualche logo Lada, l’auto era praticamente identica alla 124, nei primi modelli le coppe ruota avevano il marchio FIAT.
Dal completamento dello stabilimento di Togliatti nel 1970, la Lada 2101 (questo il nome ufficiale) fu l’auto che motorizzò tutti i paesi del Blocco Sovietico, dall’Est Europa fino alla Siberia.
La Жигули́ (Žiguli), nomignolo datole in Russia e che si riferiva alle catene montuose intorno a Togliatti,era disponibile in versione berlina, station wagon, furgone e pickup.
La sua vendita andò avanti fino al 2012, anno in cui la 2107, versione moderna e “lussuosa” della 2101, diventò ormai troppo obsoleta (nonostante il prezzo di circa 3500 euro), e dopo un calo repentino di vendite, venne cancellata la sua produzione.
La 124, anzi, la Žiguli, è stata un’auto di vitale importanza per quasi un miliardo di persone, e ancora adesso è l’auto più diffusa nelle ex repubbliche sovietiche come Bulgaria, Ucraina e Serbia.
La sua eredità, però, non è ancora andata perduta. Sul telaio della 2101, infatti, viene ancora oggi costruita la Lada Niva, uno dei fuoristrada più economici ma più capaci sul mercato.
Prodotto dal 1977, la Niva è ancora oggi in vendita,e in Italia, tra la fine degli anni ’90 e l’inizio dei 2000, ebbe un discreto successo.
Se siete curiosi di vedere cosa un auto del ’77 possa ancora offrire, sul sito inglese di Lada ci sono tutte le versioni della Niva. Buona visione!
La Žiguli segreta: la 21018 con motore Wankel
La Lada 2101, essendo l’auto più comune dell’intera Unione Sovietica, non fu solo l’auto del popolo, ma fu anche un’ottima auto “civetta” per funzionari politici sovietici e per gli agenti di Polizia e KGB.
Questi, però, necessitavano di una potenza maggiore, per poter operare, in modi più o meno leciti, nel minor tempo possibile. Così Lada cominciò a lavorare ad una versione esteticamente identica alla 2101, ma più potente.
In quegli anni, in Europa occidentale, venne “scoperto” il motore rotativo Wankel.
Inventato dall’ingegnere tedesco Felix Wankel, questo motore non aveva pistoni e cilindri tradizionali. Il motore rotativo, infatti, era formato da un rotore di forma triangolare, con bordi arrotondati, che ruota eccentricamente attorno ad un asse centrale all’interno di una camera di combustione ellittica, come si vede in questo video.
Negli anni ’70 tutti in Europa provarono questo motore rotativo, che aveva grandi vantaggi, tra cui una grande compattezza, pochissime parti mobili e una potenza generosa in rapporto alle dimensioni, ma aveva un grosso difetto: la limitata affidabilità.
Anche Lada non si lasciò sfuggire l’occasione, e costruì circa 250 21018, dotate di un motore Wankel monorotore da 70 CV, seguite da altrettante 21019 nel 1983, che aveva 2 rotori e ben 120 CV.
Nel video qui sotto si può vedere una Lada Samara, berlina derivata dalla 2101, equipaggiata con lo stesso birotore della 21019.
L’auto dal punto di vista dinamico era davvero ottima, peccato che anche qui l’affidabilità era un bel problema. Dopo soli 20 mila chilometri, infatti, il motore aveva bisogno di una ricostruzione totale (40 mila sulla 21019). Il progetto venne abbandonato, e sulle auto di polizia e KGB veniva montato un motore di derivazione FIAT 1.6 da 80 CV.
La collaborazione con Ferrari: La Dino
Nello stesso anno in cui usciva la 124, in un piccolo paesino di Modena, Maranello, c’era una gran tensione.
Tre anni prima, infatti, la celebre Casa modenese Ferrari, aveva rifiutato l’offerta di acquisizione della Ford, che da quel momento cercò di distruggere la Ferrari, in pista (con la GT40) e in tribunale.
La contesa tra Enzo Ferrari e Ford (guidata dal recentemente scomparso Lee Iacocca) fu talmente aspra che minò la stessa esistenza di Ferrari.
La casa di Maranello, in quegli anni, aveva disperato bisogno di omologare un motore V6 da corsa per la Formula 2.
Questo motore doveva essere costruito in almeno 500 esemplari stradali, e Ferrari, che era abituata a numeri molto più piccoli, non poteva raggiungere l’obiettivo.
Enzo Ferrari chiese aiuto alle autorità sportive italiane, che se ne lavarono le mani, e Ferrari fu così deluso da ritirare la licenza sportiva italiana per la fine della stagione 1964. Infatti, nelle ultime gare del campionato di Formula 1 ci fu solo la Ferrari-NART, la squadra corse americana che si occupava delle corse del Cavallino oltreoceano.
Per quelle due gare, la Ferrari corse con licenza americana, e i colori bianco e blu della federazione degli States.
Dopo questa situazione così spinosa, intervenne nel 1965 FIAT. L’Avvocato Agnelli, da amministratore delegato, concluse un accordo con il Drake secondo il quale, dopo una collaborazione tecnica per la produzione dei motori Dino, ci sarebbe stata una lenta acquisizione di Ferrari da parte di FIAT.
Condicio sine qua non fu la totale autonomia decisionale della Scuderia Ferrari, condizione rifiutata da Ford e che fu alla base del mancato accordo.
L’accordo con Ferrari per la produzione del V6 Dino
Dopo questo accordo, FIAT e Ferrari si misero al lavoro per dare una forma alle auto che avrebbero dovuto accogliere il V6 “Dino”. Il nome del motore era dato dal suo progettista, il figlio di Enzo Ferrari, Alfredino, morto per una grave malattia nel 1956 a soli 24 anni.
Questo motore era un V6 di 65° da 2000 cm³, davvero compatto e leggero, e le Ferrari e FIAT “Dino” condividevano solo il motore, essendo il resto molto diverso.
Ferrari creò un marchio ad hoc per quest’auto, Dino appunto, e la splendida 206 GT, diventata poi dopo poco 246 GT in virtù dell’aumento della cilindrata a 2.4 litri.
Questa era l’auto con il motore più piccolo mai prodotto dal Cavallino, e adottava una soluzione meccanica inedita.
Aveva infatti il motore centrale, e la guidabilità era davvero stupefacente, migliore di alcune “sorelle maggiori” con motori più grandi. Ebbe grande successo per via del succitato piacere di guida e le prestazioni ottime (240 km/h), per poi uscire di produzione nel 1973.
Dopo di lei, seguì la molto meno bella Dino 208/308 GT4, dopo la quale il marchio Dino scomparì.
La sua eredità però fu grandissima.
Sdoganò infatti il motore centrale sulle Ferrari, che esordì sulla 512 BB nel 1971e ancora oggi è segno distintivo “Rosse” più estreme.
La nascita della, anzi, delle FIAT Dino, le ultime sportive di razza della Storia FIAT
FIAT invece, scelse una strada davvero inusuale.
Diede, infatti, a Pininfarina e Bertone, due tra le carrozzerie più celebri italiane, l’incarico di progettare la versione Spider (Pininfarina) e Coupè (Bertone), che condividevano la base meccanica a motore anteriore e trazione posteriore. Queste, però, erano totalmente diverse sia come stile che come impostazione generale.
La Spider aveva uno stile molto “ferrareggiante”: infatti Pininfarina prese spunto da alcuni progetti non accettati dalla casa di Maranello. L’auto aveva un passo cortissimo e due soli posti, con un’estetica che colpiva per i canoni propri della Motor Valley, non di certo della Casa più tradizionale italiana.
La Coupè, invece, aveva un passo più lungo di ben 30 cm rispetto alla Spider.
Di conseguenza, le dimensioni erano importanti (con 4,6 metri era tra le FIAT più lunghe dell’epoca), che consentivano di avere quattro posti comodi e una linea molto morbida e lineare.
Inoltre, Bertone scelse una linea cosiddetta “Fastback”, con una coda raccordata all’abitacolo ispirata alle Muscle Car americane.
Il motore era il vero gioiello delle Dino, che però ebbe un primo esordio difficoltoso.
Il V6 Dino in versione 2000 era molto potente (160CV per l’epoca erano tantissimi), ma non troppo affidabile (la testata in ghisa e il basamento in alluminio con gli sbalzi di temperature creavano danni catastrofici) ed aveva una erogazione nervosissima.
La Spider in particolare era la più infida. Il passo di soli 2,2 metri (più corto di una 500 moderna, per renderci conto) la rendeva una “bastarda”, soprannome che aveva all’epoca. Era agilissima, ma soffriva di un sovrasterzo tanto rapido quanto difficilissimo da controllare.
Ferrari allora modificò il Dino, che in versione 2.0 era un motore prettamente da corsa, addomesticandolo un po’.
La cilindrata venne aumentata a 2400 cm³, la potenza passò a 180CV e il retrotreno, prima a ruote interconnesse, diventò a ruote indipendenti.
Con questi accorgimenti la Dino diventò una vera auto sportiva, in grado di competere con le migliori.
Da un lato le prestazioni erano ottime: infatti raggiungevano i 210 km/h, con uno 0-100 coperto in meno di 9 secondi (che con le gomme dell’epoca è un risultato assurdo!). Dall’altro il piacere di guida. Le ruote indipendenti rendevano le due Dino molto più docili, e resero la Coupè, forte del passo lungo, una sportiva davvero valida, con una stabilità ancora oggi encomiabile.
La Spider non era da meno, ma visto il passo cortissimo solo i piloti esperti potevano domarla a dovere.
Il tutto, con un sound epico, di un V6 Ferrari aspirato da tirare fino alla linea rossa, a 7500 giri.
La FIAT Dino, nonostante un prezzo decisamente alto, ma molto più basso rispetto alle “sorellastre” Ferrari, ebbe un gran successo, considerando il livello di prestazioni e di qualità dell’auto.
Vennero vendute quasi 8000 Dino, il 79% delle quali Coupè, fino al 1972.
In quell’anno la piccola Ferrari uscì di produzione, senza lasciare eredi dirette, rimanendo l’ultima sportiva di razza della Storia FIAT.
Una sportiva a motore centrale? Davvero? La FIAT X1/9
In quegli anni, però, la Storia FIAT non era fatta solo di 126, 124 e 128.
Come dimostrato dalla Dino, in quegli anni FIAT amava sperimentare, ampliare i propri orizzonti di mercato. E anche prendere spunto da altri progetti.
L’auto di cui parliamo adesso, infatti, iniziò la sua vita come… Autobianchi. Infatti, Marcello Gandini (mitico designer italiano, autore, tra le altre, di Lancia Strato’s, Lamborghini Miura e Countach, e tante altre) presentò a Bertone, marchio per cui lavorava, un disegno di una piccola barchetta con meccanica Autobianchi A112, la Runabout.
Al Salone di Torino del 1969 ebbe un gran successo, così la progettazione continuò, con l’aggiunta del parabrezza, per renderla più fruibile (e sensata).
Dopo qualche mese, però, Autobianchi si disinteressò del progetto, e la Runabout sembrava destinata a diventare uno dei tanti prototipi accantonati.
Durante una visita alla Bertone nel 1971, l’Avvocato Agnelli la vide in un angolo, e dopo averla esaminata gli piacque moltissimo, ritenendola una degna sostituta dell’ormai vetusta 850 Spider.
Il prototipo, allora, trovò uno sbocco verso la costruzione, e così divento la FIAT “Progetto X1/9”, nome che troverà anche in fase di commercializzazione.
Una 128, montata al contrario
La peculiarità del progetto Runabout, ora X1/9, era l’impostazione meccanica: infatti, anche il modello di serie aveva il motore centrale e la trazione posteriore. Questa fu la prima e, ad oggi, unica auto nella Storia FIAT ad avere uno schema meccanico così particolare.
Il resto della meccanica, però, era di stretta derivazione 128, infatti all’epoca veniva chiamata “la 128 capovolta”.
Il motore, infatti, era un 4 cilindri da 1288 cm³ e 80 CV montato sulla 128 Coupè Rally, auto da cui venivano anche freni e sospensioni, ovviamente riviste per l’utilizzo su un auto a motore centrale.
Dal punto di vista estetico e costruttivo, la piccola Targa FIAT riprendeva gli stilemi della celebre Lancia Strato’s, di cui riprende anche alcune parti della carrozzeria, e questa linea così particolare piace, sia in Europa che in America.
L’evoluzione del progetto era sempre mirato a mantenere una grande semplicità, e di conseguenza un prezzo contenuto.
Nel 1978, infatti, subì il suo unico restyling, che dal punto di vista estetico non cambiava molto, mantenendo la tipica linea “a cuneo”, molto squadrata, delle auto di Gandini.
Videro però la propria comparsa dei grossi paraurti in plastica, come richiesto dalle regolamentazioni americane, mercato “forte” per la X1/9.
Dal punto di vista meccanico, la X1/9 diventò 5-Speed, cioè ottenne un cambio manuale a 5 marce, e un nuovo 1.5 da 85 CV.
Questo motore più grande riusciva a spingere la rinnovata scoperta fino a 190 km/h, con uno 0-100 coperto in meno di 10 secondi.
La sua leggerezza (peso sotto gli 800 kg!) e la grande maneggevolezza la resero una sportiva economica da mantenere ma molto divertente.
Era la prima scelta dei giovani i che volevano qualcosa in più della semplice 128, senza però svenarsi con benzina e manutenzione.
Sorprendentemente, inoltre, raggiunse un buon successo soprattutto negli States, dove un’auto così piccola sembrava non potesse funzionare.
Nel 1982, infatti, venne dismessa la produzione da parte di FIAT, continuando ad essere prodotta e venduta con marchio Bertone fino al 1989, quando uscì di produzione dopo più di 150 mila esemplari, gran parte dei quali venduti oltreoceano.
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L’ultima storia che ho scelto di raccontarvi quest’oggi è forse la più strana e meno conosciuta del nostro viaggio nella Storia FIAT.
Siamo nel 1971. FIAT quell’anno sostituisce la vetusta (e mai troppo amata) 850 con la 127.
Questa ha avuto già da prima della sua nascita una storia travagliata. Il progetto meccanico era sempre di Dante Giacosa, l’ultimo della sua gloriosa carriera.
L’estetica invece, era del giovane Pio Manzù, che con l’aiuto di Rodolfo Bonetto disegnò una utilitaria spaziosissima, bella e moderna.
Il giovane designer bergamasco era alla sua primissima collaborazione con il Centro Stile FIAT, avvenuta per volere di Giacosa in persona.
Per FIAT, Manzù preparò uno splendido prototipo di una utilitaria moderna e giovane.
La sorte però non gli permise di vedere il prototipo da lui creato in carne e ossa.
Infatti, il 26 maggio 1969 era in programma la presentazione alla dirigenza del prototipo del Progetto 127.
Manzù, in viaggio verso Torino sulla 500 della moglie, fu vittima, a soli 30 anni, di un incidente mortale sulla A4 Torino-Milano.
Ciò che uscì dal suo splendido lavoro, però, era una utilitaria modernissima, che fece invecchiare di bestia tutte le concorrenti.
Il motore era il mitico FIAT Serie 100, di cui abbiamo parlato nell’episodio scorso, 903 cm³ e 45 CV.
Il motore e l’assetto riuscitissimo rendevano questa piccola trazione anteriore davvero piacevole e divertente da guidare come poche altre utilitarie.
L’auto divenne Auto dell’Anno nel 1972, e nel 1974, nonostante qualche mugugno dei clienti Nord-Europei per via della poca tenuta alla corrosione, raggiunse il milione di esemplari prodotti.
Il Centro Stile FIAT introdusse un restyling nel 1978, appesantendo la semplicità delle linee di Manzù aggiungendo grossi paraurti in plastica.
Si susseguono anche versioni a 3, 4 e 5 porte (le due “dispari” disponevano del portellone posteriore), e venne prodotta anche in America Latina, con il nome di FIAT 147.
La 127 resistette anche dopo l’arrivo della Uno, nel 1983, nella versione Unificata, con calandra simile alla Uno e costruita in Brasile.
In queste vesti, la piccola FIAT venne venduta fino al 1987 in Europa, e fino al 1996 in Sud America, dopo ben 4,5 milioni di esemplari prodotti.
Dalla 147 alla Rustica
La 147 non era esattamente una 127 con un nome diverso.
Questa si basava sulla piattaforma della 127, ma l’estetica era leggermente diversa, più squadrata e tozza.
La scocca era rinforzata, a causa delle dissestate strade brasiliane, e il motore non era il 903 Europeo, ma un 1050 cm3 derivato da quello della 128.
Questo motore, più robusto e collaudato, è stato il primo al mondo a poter essere alimentato anche ad etanolo.
La 147 non rimase confinata al solo mercato sudamericano, dove la Storia FIAT è parecchio florida e ricca di soddisfazioni.
FIAT infatti la importava, sotto il nome di 127, con versioni particolari, che necessitavano della maggiore robustezza del modello brasiliano.
È il caso della 127 D, la prima utilitaria diesel della Storia, dove le grandi vibrazioni del 1.3 litri aspirato da 45 CV potevano creare delle crepe nella scocca della normale 127.
Così venne prodotta anche della 127 Panorama, la versione familiare della 127.
Ed eracil caso anche della 127 Rustica.
Lamborg… Scusate, FIAT 127 Rustica
La 127 Rustica non era altro che una versione “fuoristrada” della 147 brasiliana, lanciata nel 1979.
Infatti, questa aveva grandi paraurti tubolari nero opaco, griglie metalliche a preservare i fari, para coppa dell’olio, e interni spartani con sedili specifici, molto poco imbottiti.
Meccanicamente, il motore era il 1050 “brasiliano”, le sospensioni erano rinforzate e rialzate e non era dotata di trazione integrale, ma di sole gomme “winter” adatte anche al fuoristrada, terreno dove, nonostante la sola trazione anteriore, era decisamente valida.
Una vera e propria crossover ante litteram.
FIAT, però, avrebbe speso troppo a produrre in Brasile e spedire via mare le 127 Rustica, che stavano incontrando un discreto successo..
Negli stessi anni, a Sant’Agata Bolognese, una piccola azienda di auto sportive non se la stava passando troppo bene. I debiti erano parecchi, e il patron, Ferruccio, aveva abbandonato l’azienda.
Ovviamente stiamo parlando di Lamborghini, che nel 1979 era in amministrazione controllata, e si stava avvicinando pericolosamente al baratro chiamato fallimento.
Da Torino, allora, cercarono di aiutare l’azienda del Toro a rialzarsi, come già fatto con Ferrari a metà anni ’60.
Per la prima volta nella Storia FIAT, la Casa torinese commissionò ad un’altra azienda italiana la costruzione di un’utilitaria, seppure “fuoristradistica”.
Lamborghini addirittura progetta e realizza i paraurti e il portabagagli a barre tubolari sul tetto, e vernicia tutte le 127 Rustica con un solo colore: il Beige Sabbia, usato anche dall’esercito.
Grazie a questa commissione così blasfema, Lamborghini riesce a tirare il fiato e a sopravvivere, producendo fino al 1981 le 127 Rustica.
Questa “strana coppia” FIAT e Lamborghini dopo il 1981 non collaborò più per altri progetti.
La casa bolognese riuscirà a salvarsi definitivamente solo nel 1998.
Dopo essere passata anche nella galassia Chrysler tra gli anni ’80 e ’90 (e aver progettato la Viper…), l’acquisizione da parte di Audi risolse una volta per tutte la situazione.
Questa collaborazione, però, ci ha regalato fotografie memorabili come questa, con 127 Rustica e Countach parcheggiate nello stesso piazzale della stessa fabbrica.
La Storia FIAT non smette mai di sorprendere
Come avrete notato, oltre alle solite e conosciutissime FIAT amate dal popolo, ci sono molte storie che meritano di essere raccontate e conosciute.
Tra supercar avveniristiche, aiuti e di favori tra Case leggendarie e modelli semplicemente assurdi, il più grande costruttore italiano di auto ne ha di storie nascoste.
Per oggi è tutto con la Storia FIAT.
La prossima volta rivivremo gli anni ’80 e ’90 di FIAT, la formazione del Gruppo FIAT e la lotta per la supremazia del mercato europeo con Volkswagen.
Vedremo anche il successivo tentativo di diventare un costruttore globale, dall’arrivo di Sergio Marchionne alla FIAT Chrysler Automobiles.
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