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La nostra intervista a Mario Gomboli, direttore editoriale di Astorina

In occasione dell’uscita di Diabolik dei Manetti Bros., secondo adattamento per il grande schermo dell’omonimo fumetto ideato dalle sorelle Angela e Luciana Giussani dopo il cult di Mario Bava del 1968, abbiamo intervistato Mario Gomboli, fumettista e direttore editoriale di Astorina, che ci ha parlato della nascita di Diabolik, del personaggio e della sua evoluzione.

La nostra intervista a Mario Gomboli, direttore editoriale di Astorina

Mario Gomboli

Come nasce il personaggio Diabolik?

Nasce sessant’anni fa dalla fantasia di Angela Giussani, ispirata al feuilleton francesce di inizio secolo scorso, Fantômas, Rocambole. L’idea era di prendere quel tipo di letteratura di genere e portarla ai tempi moderni, ai fumetti. La cosa originale era avere un cattivo vincente, che non si era mai visto nei fumetti e anche molto poco nella letteratura; l’unico che mi viene in mente dell’epoca era Parker di Richard Stark, gli altri comunque erano eroi positivi. 

All’inizio fu uno scandalo naturalmente, i benpensanti criticarono questo personaggio pensando che poteva corrompere i giovani. Ci fu anche una denuncia per incitamento a delinquere: questo perché i fumetti erano considerati un prodotto per ragazzi. Angela e Luciana hanno affrontato questi attacchi, nessun processo, però questo portava dei problemi di tempo, denaro con gli avvocati e soprattutto causarono il sequestro di un paio di numeri. Il più divertente è un numero che fu sequestrato perché c’era una donna in bikini in copertina, perché considerato osceno: quel numero finì al macero, fu un danno economico non da poco. Un’altra denuncia era data dal fatto che si vedeva Diabolik ed Eva, pur non essendo sposati, mano nella mano mentre si dirigevano verso un letto matrimoniale; da allora i due hanno dormito in letti gemelli per anni e anni. All’inizio Diabolik non produceva reddito, però le sorelle hanno tenuto duro, hanno ammorbidito un po’ di cose.

Diabolik si scontrava con una morale molto ispida. Le problematiche non erano solo ovviamente le tematiche affrontate ma anche che erano scritte da due donne.

Le Giussani hanno sempre cercato di non farlo sapere in giro che erano loro le due autrici, Infatti inizialmente firmavano A e L. Il concetto è lo stesso, soprattutto si deve mettere in risalto che è un personaggio dirompente, perché contro contro l’immagine borghese classica dell’eroe vincente. Prendiamo Eva Kant: i maschi erano sciupafemmine, a cominciare da James Bond, le donne si mettevano nei guai e arrivava lui a salvarle, mentre al numero tre, quando appare Eva Kant, è lei che salva Diabolik. C’è un capovolgimento di ruoli che soltanto due donne potevano immaginare, figure femminili equivalenti all’eroe di turno, all’antieore nel caso specifico: era deflagrante nei confronti della cultura piccolo borghese dominante.

diabolik film ladro fumetto clerville

Eva Kant si inserisce in un contesto in cui lei non era prevista.

L’unico fumetto femminile era Nonna Papera. Le donne all’epoca avevano i capelli cotonati; mi ricordo che in televisione c’era solo questa pettinatura, e questo cambiamento fa parte del buongusto delle due sorelle della buona borghesia milanese. Lo chignon di Eva Kant, la mise di Diabolik, che era caratterizzata semplicemente da una tuta nera, perché si confondesse nella notte nell’ombra. L’unica volta che ha avuto bisogno di arrampicarsi di giorno su una torre color avorio si è messo la tuta bianca; è pragmatico Diabolik.

Diabolik non è Diabolik senza i suoi gadget e la sua l’autovettura, elementi che fanno parte del personaggio, della sua iconografia.

La Jaguar la consideriamo il quinto personaggio della serie, come anche le armi bianche: il pugnale lanciato o usato direttamente è una scelta coraggiosa, il fucile, le pistole uccidono da lontano e quindi c’è un fondo di vigliaccheria, mentre l’uso delle armi bianche comporta un rapporto diretto con la persona che vuoi ammazzare.

I cattivi sono quelli che provano piacere nel fare male, Diabolik non è mai morboso, non è mai sadico. Non ha mai torturato nessuno, Diabolik ama le sfide, e quindi la sfida maggiore nel suo parametro di criminale è quella di riuscire ad appropriarsi di qualcosa che è molto protetto. Se io lasciassi una manciata di diamanti sul tavolo che ho davanti con le finestre aperte, Diabolik non lo ruberebbe perché non c’è gusto. Ginko è altrettanto intelligente e geniale, brillante e carico di inventiva; è solo vincolato dal fatto di essere un poliziotto, quindi non può barare.

Diabolik in tante occasioni avrebbe potuto uccidere Ginko, e viceversa. Ma la vita uno senza l’altro è come se perdesse di significato, è evidente il rispetto perchè poi Diabolik non è un bravo ragazzo, però ha una sua etica: quando viene rapito un bambino, Ginko esclude subito che sia stato lui, perché ha una sua etica, non è casuale il fatto che ci venga chiesto spesso come testimonial di campagne contro le droghe, il doping, piuttosto che la guida pericolosa perché percepito dai lettori come una figura eticamente valida, è possibile identificarsi con Diabolik.

Dentro Diabolik è tessuta una parte di società, c’è una corrispondenza con la società italiana?

Clerville è un posto di fantasia, ma somiglia a Milano, come a Parigi, il tipo di criminalità il tipo di problemi sono gli stessi. Perché Diabolik è un personaggio europeo, ha affrontato temi che vanno dall’aborto clandestino, le carceri, gli ha affrontati perché sono quelli che i lettori leggono sui giornali e affrontano. Ci fu uno stacco riconducibile facilmente verso la metà degli anni ’60: da essere il fumetto del brivido è diventato il giallo a fumetti, le storie sono diventate più ricche, più complicate. Quel tocco di vago erotismo è stato notevolmente ridotto e la ferocia di Diabolik è rimasta ma indirizzata soprattutto contro chi si frapponeva tra lui e il suo obiettivo, è sempre e comunque motivata.

Con i tempi cambia anche l’evoluzione del personaggio.

Tutti i riferimenti e la concorrenza di Diabolik sono i telefilm. Ora se confrontiamo quelli di oggi con quelli di cinquant’anni, i ritmi narrativi devono essere più rapidi, più precisi, e la costruzione logica e gialla se vogliamo delle storie deve essere impeccabile.

Per quanto riguarda le trasposizioni, com’è stato il confronto con il cambio di media e la traduzione visiva del film di Bava?

Ricordo quando andai alla prima a Milano con le sorelle Giussani: erano incazzatissime perchè Eva Kant non aveva lo chignon, Diabolik non usava le maschere, addirittura ha un’arma da fuoco in mano, non lancia mai il pugnale, e il suo rifugio sembra la più Spectre, più che i classici rifugi essenziali di Diabolik. Da allora in poi c’è stato un contratto che prevedesse il controllo e il diritto di veto su soggetto e sceneggiatura, che era il motivo per cui per 50 anni non si è mai fatto un film, perché tutti quelli che arrivavano volevano trasformare il personaggio di volta in volta nel giustiziere della notte, in Zorro, cose simili e regolarmente le Giussani dicevano di no.

Il film di Bava secondo me ha dei pregi come B-movie perchè Bava era un genio, genio sia del modo di raccontare e poi delle scenografie, e poi il ritmo è bello. Il fumetto ha il difetto che uno può tornare indietro e cerca le pagine prima se una cosa non gli è chiara, e becca tutti i difetti come sanno bene i nostri lettori che ci tempestano di critiche. E poi il film di Bava chiaramente risentiva molto del bondismo imperante dell’epoca.

Infatti ebbe un grande successo all’estero, un po’ meno in Italia.

Perché non conoscevano Diabolik e quindi questo personaggio. In Italia tutti lo conoscevano e non l’hanno riconosciuto nel film. E ancora oggi è un film cult.

diabolik 2 cast-min

Parlando della trasposizione dei Manetti e del loro lavoro, si può dire che è più fedele?

Con i Manetti ho lavorato molto bene perché tutti e due, in particolare Marco, sono dei lettori. E quindi il problema più grosso che mi è capitato in passato era spiegare a gente che non ha mai letto Diabolik com’è Diabolik, perché Diabolik è molto complesso, ha mille sfaccettature, a livello di personalità, a livello di comportamenti e spesso contraddittorie: da una parte è cinico freddo e dall’altra si scioglie per Eva Kant e non soltanto, è molto umano Diabolik.

Con i Manetti è stato facile perché lo conoscevano, il dubbio è stato su quale episodio su novecento esistenti ci potevamo concentrare per tirar fuori il film. Naturalmente la risposta è stata il primo incontro di Diabolik con Eva, cioè il numero tre. Però mancavano delle cose, ad esempio in quel numero Diabolik non usa la Jaguar, e non c’è mai un pugnale e anche quello era una cosa da inserire. Quindi abbiamo modificato alcune cose ma abbiamo tenuto lo spirito e soprattutto il ritmo narrativo è quello di Diabolik. Un po’ teatrale in certi momenti e l’ambientazione degli anni ’60.

Qual è un possibile futuro per il fumetto?

Come succede da sessant’anni, gradualmente ci sono degli aggiustamenti, piccole variazioni, un’evoluzione dei personaggi. Diabolik continua ad avere sempre un ottimo successo. Il problema più grosso che abbiamo invece tra i disegnatori è trovare quelli nuovi che siano rispettosi dei personaggi, soprattutto esteticamente non è semplice, perché i giovani cercano di imporre un proprio stile, mentre noi siamo vincolati a uno stile un po vecchio. Anche li l’evoluzione deve essere graduale.

Esiste o esisterà un personaggio innovativo e divisivo come Diabolik?

Credo che ci siano stati esperimenti in questo senso, ad esempio Dylan Dog, che in un certo senso è stato un personaggio di rottura da tutti i punti di vista, soprattutto quello narrativo. Oggi buttare fuori un personaggio nuovo è molto difficile; ai tempi di Diabolik si vendeva tutto e i fumetti vendevano molto. Oggi c’è un problema di tipo economico, per cui non a caso molte cose e molti successi recenti nascono prima sul web, e poi sulla carta stampata. Di idee ce ne sono molte, anche molto interessanti, ma è difficile arrivare alle edicole, è difficile riuscire ad arrivare nelle librerie, non è semplice fare un fumetto d’avventura che abbia una sua sequenza.

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Lucia Tedesco

Giornalista, femminista, critica cinematografica e soprattutto direttrice di TechPrincess, con passione ed entusiasmo. È la storia, non chi la racconta.

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