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Oggi è l’8 Marzo, la Giornata Internazionale dei diritti delle donne. E questa è una storia che merita di essere letta

Nel 2017 una ragazza di poco più di vent’anni ha cominciato a subire stalking da un conoscente. Lo stalking si configurava e veniva attuato in una misura e un metodo particolarmente feroce: chiamate a ogni ora – che spesso si ripetevano in un vortice continuo. Erano talmente pressanti e senza tregua che lo smartphone era inutilizzabile e inservibile. Fino a 300 messaggi ostinati al giorno, anche SMS, attraverso le piattaforme più o meno celebri e a ritmo continuo.

E questo solo per quanto riguarda lo stalking telefonico. Poi, ciò che questa ragazza ha subito era anche e soprattutto uno stalking fisico, verbale e psicologico, che è durato nel tempo.

Quel che ha vissuto non è qualcosa che si può spiegare in poche e rapide parole o che si può ridurre a un dato statistico. Perché dietro un numero ci sono persone, traumi e incroci di vite a cui va dato spazio, va conferita giustizia, almeno narrativa. Il risultato di un lungo periodo di persecuzione da parte di quest’uomo ha portato questa ragazza ventenne a cancellarsi da tutti i social, a non uscire di casa, se non quando era strettamente necessario, a temere in continuazione per la sua vita e anche per quelle della sua famiglia, ad avere paura della sua stessa ombra, a dubitare dei suoi amici, perché chiunque avrebbe potuto in qualsiasi momento informare il persecutore della sua posizione e rimettere in moto una macchina infernale, fatta di sfiducia, colpa, vergogna, cuore in gola e fiato corto. 

Lo stalking è un abuso, ma chi lo subisce spesso non lo sa. Perché quando si vive in una spirale tossica, la cosa peggiore non sono gli atteggiamenti sessisti, meschini e machisti di un uomo, che mirano alla rieducazione e al riposizionamento sociale di una donna. La cosa peggiore è che nessuno sa cosa rappresentano quei gesti, nessuno chiama le cose con il proprio nome. Lo stalking è un fenomeno a cui si assiste inermi, perché siamo abituati a chiamarla adulazione sfrenata, desiderio incessante, amore a dismisura.

Se un uomo ti copre di attenzioni è parte del corteggiamento, non è un abuso. Quindi, se una donna subisce stalking non c’è nessuno attorno a lei che la aiuti a decostruire cosa le sta accadendo. È da sola con il suo abuser, solo che per il resto del mondo è solamente un uomo innamorato.  

Vivere un abuso quando è solo lei a vederlo è la risposta abusante di una società che educa le persone a non credere alle donne. 

Per una donna che subisce stalking nessun luogo è sicuro. La casa è uno spazio asfittico, è come abitare al centro del bersaglio, nel cerchio più scuro, quello in cui la freccia spera di scoccare al primo colpo. La strada è fatta di passi veloci, sguardi impauriti, preghiere continue di non incontrare nessuno che ti blocchi, ti rallenti, o peggio che riferisca a qualcuno di averti incrociato proprio in quel punto del mondo, a quell’ora precisa. Sì, perché lo stalking ti porta alla paranoia, all’ossessione, ti convince che il tuo abuser sa dove ti trovi, sa dove stai andando e tu sai che non c’è luogo abbastanza vicino o lontano che ti tenga al sicuro. Non esiste al mondo un luogo abbastanza oscuro in cui rintanarti.

La strada è inevitabile, la casa è inesorabile, i mezzi pubblici sono parentesi temporanee in cui riprendere il fiato perso, in cui il cuore rallenta, per poco, il suo martellamento rapido, doloroso, quel suo deflagrare vorticoso. Ma sono gli sguardi a far riemergere la frenesia della fuga. Ogni sguardo più ostinato, più lungo, che indugia sul volto anche pochi secondi fa scattare la paura che quella persona sia un suo conoscente, un suo amico, un sicario di attenzioni, indesiderate. Anche i luoghi pubblici somigliano alla casa: sei sempre il centro del bersaglio, esibito sotto gli occhi di tutti, perché nello stalking dentro e fuori sono concetti che si confondono, non c’è un limite, una traccia che li divida, non c’è libertà che possa essere esercitata. 

Convivere con lo stalking non somiglia a niente che faccia rima con vita. È un’esperienza di morte, di vita sottratta, di voce inascoltata, di riduzione, di bruciature. É come assistere a una pagina che si piega sotto una lingua di fuoco, fino a sparire nella cenere. Chi crede alla cenere? Chi posa lo sguardo su un mucchio informe di vite ridotte, consumate, demolite che nessuno racconta?

Nessuno insegna alle donne a riconoscere le molestie, gli abusi. Saper decodificare il processo che porta allo stalking in un mondo che difende la virilità dell’uomo, l’uomo che non deve chiedere mai, che sa quello che vuole e se lo va a prendere, è complesso. É un processo che spesso lascia le donne sole con i propri dubbi: il dubbio di essere al centro di una storia violenta e nessuno a cui saperlo raccontare. Perché a mancare sono le parole, che non ci vengono fornite, a mancare è l’ascolto, che non ci viene assicurato, a mancare è la fiducia, che non ci viene conferita, questa mai. 

A chi posso dirlo, se nessuno mi crede? A chi lo denuncio, se la legge non mi sosterrà come dovrebbe? A cosa serve raccontarlo, se poi chi legge penserà che sono le parole tumescenti di una persona che esagera con la semantica? 

Quel che manca, volutamente, è il racconto e i dettagli morbosi che hanno portato questa ragazza a doversi scontrare contro gli abusi di un uomo violento. Le domande che ci si pone in questi momenti sono: ma cosa l’avrà mai scatenato? Perché ha cominciato a seguirla? A scriverle in continuazione? Ma poi cosa le scriveva? Perché lei non ha trovato un modo per placarlo? Cosa avrà mai di speciale questa ragazza da meritare tante attenzioni da parte di un uomo? Ma soprattutto, la considerazione migliore: in fin dei conti, le attenzioni non dispiacciono a nessuno, quindi perché si lamenta tanto? 

Se manca un racconto sulla storia precedente al momento dello stalking, questo è assolutamente voluto. Perché questa è una storia che va raccontata con una direzione precisa, e la direzione si può decidere. Perché una cosa che ti impedisce di fare stalking è di scegliere in che direzione andare. Quindi questa storia va in questa direzione, per scelta, perché adesso si può fare, finalmente. 

Un abuso è un livido permanente, e il suo segno è il marchio espressivo di una società che vuole le donne in riga, in posizione di subalternità, sottomesse, in silenzio, mansuete, deboli, divise.

Oggi è l’8 Marzo, è la Giornata Internazionale dei diritti delle donne. 

Chi crede che sia una giornata come un’altra non ha capito il senso più profondo di una giornata come questa. Che non è neppure quello storico, ma quello simbolico. Perché noi abbiamo una giornata, una sola, per ricordarci di essere. Gli uomini, o meglio, la giornata internazionale dell’uomo, purtroppo non ha una data precisa perché si celebra ogni giorno. 

P.S. Oggi questa ragazza sta bene, ha ritrovato fiducia nei proprio spazi, abita i luoghi pubblici con serenità. Non teme la sua ombra e ha smesso di vivere nella paura. E ha capito che le strade libere e sicure, come diceva qualcuna, le fanno le donne che le attraversano. 

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Lucia Tedesco

Giornalista, femminista, critica cinematografica e soprattutto direttrice di TechPrincess, con passione ed entusiasmo. È la storia, non chi la racconta.

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