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Micromobilità: dai monopattini elettrici agli hoverboard

Spostarsi in città senza usare l'auto? È possibile. Scopriamo che cos'è la micromobilità e come sfruttarla

Il mio regno per un motore elettrico, diceva Shakespeare.

O pressappoco*.
Motore elettrico, micromobilità, monopattini elettrici, segway, pedalata assistita.
Un numero sempre più elevato di parole sono entrate nella nostra quotidianità, sostituendo in parte termini che ci erano più comuni fino a qualche anno fa.

(*La vera citazione di Shakespeare era “Un cavallo, un cavallo, il mio regno per un cavallo” – Vita e morte di Re Riccardo III)

Micromobilità: partiamo dalle basi

micromobilità che cos'è
Credits: vectorpouch / freepik

“Micromobilità” definisce un insieme di veicoli e di modalità di spostamento utilizzati per brevi tragitti e per il trasporto di una o due persone al massimo.

Il termine quindi include monopattini elettrici, segway, monowheel, bici elettriche e hoverboard, ma anche servizi come il bike sharing e il car sharing, ossia il noleggio a brevissimo termine di biciclette e automobili. 

Il fenomeno della micromobilità ha avuto una diffusione esponenziale negli ultimi anni. Un successo che possiamo attribuire a diversi fattori, a partire dal basso impatto ambientale.
Non possiamo però fermarci a questo, ossia alla necessità di salvaguardare il nostro pianeta.
Un ruolo vitale, ad esempio, lo stanno svolgendo i millennial, quella generazione nata tra l’inizio degli anni ’80 e la metà degli anni ’90.  I giovani adulti infatti hanno ormai acquisito potere di spesa ma si trovano a dividere le sue risorse per riuscire a permettersi tutti quegli aggeggi tecnologici che ormai hanno invaso le nostre vite e le nostre case. Sto parlando di smartphone, tablet, computer, console, abbonamenti online e molto altro ancora. Tutto questo a discapito delle automobili. I millennial infatti hanno meno soldi da investire in questo mercato e soprattutto non sentono la necessità di farlo perché ormai le alternative a disposizione sono tantissime.  Tra queste troviamo chiaramente i prodotti e i servizi tipici della micromobilità.

Non è una vera novità

Non pensatela però come una novità assoluta. La micromobilità è roba vecchia, solo condita con nuove tecnologie.

Prendete la definizione iniziale, ad esempio. Non è perfetta per la classica bicicletta? Certo, oggi ci sono quelle elettriche, ma una tradizionale bici svolge le stesse funzioni. 

La storia poi è piena di tentativi, più o meno famosi, di dare vita a mezzi alternativi. 

Charles Mochet
Charles Mochet

All’inizio del ‘900 Charles Mochet costruì per diletto del suo pargolo una piccola auto a pedali a quattro ruote. La cosa si evolvette diventando il tentativo di realizzare una piccola auto a pedali, o dotata di motore molto sottodimensionato rispetto alle auto normali. Nasceva il concetto di velocar.

Questo mezzo fu poi ripreso negli anni ’70 quando nacquero i veicoli PPV  (People Powered Vehicle, Veicoli a propulsione di persone). Questo significa che a muoverle – in questo caso pedalando – era le persone presenti al loro interno. 

Si arriva così alle velomobili, definite HPV (Human Powered Vehicle, veicolo a propulsione umana, cioè una sola persona che fa propulsione). Inizialmente si trattata di mezzi rudimentali, oggi però le velomobili sono più performanti, sfruttano il telaio di una recumbent trike (una bicicletta sdraiata a tre ruote), sono circondate da una scocca aerodinamica e supportate da una pedalata assistita.

Se invece ci spostiamo sul bike sharing e sui primi tentativi di diffondere questa attività dobbiamo tornare agli anni 60′ e 70′ in Olanda. Il “White Bicycle Plan” in Amsterdam fu un’iniziativa volta a chiudere il centro di Amsterdam al traffico, inclusi i ciclomotori,con l’intenzione di aumentare la frequenza del trasporto pubblico del 40%. I taxi erano consentiti come semi trasporto pubblico ma alla condizione che avessero una propulsione elettrica ed una velocità massima di 40 km/h.

White Bicycle PlanA fianco di questa iniziativa il comune avrebbe dovuto acquistare 20 mila biciclette bianche di pubblico dominio che potevano essere usate gratuitamente dai cittadini. Il piano fu puntualmente rifiutato, ma l’iniziativa prosegui ugualmente, fondando di fatto il primo servizio di bike sharing.

Nel 1995 in Portsmouth (Inghilterra) vennero introdotti lucchetti sbloccabili con smart card per l’uso di biciclette condivise.

 

 

Il principio di Harvey Dent: due facce della stessa medaglia

Torniamo però ai giorni nostri. La micromobilità infatti si è evoluta fino a comprendere diversi mezzi e servizi. Cerchiamo di capire quindi quali vantaggi ha portato:

  • permette brevi spostamenti in maniera rapida e pratica (casa-scuola, casa-lavoro, casa-supermercato);
  • vi aiuta ad evitare sia il traffico automobilistico sia i mezzi pubblici;
  • vi consente di effettuare spostamenti a basso impatto ambientale;
  • offre un’alternativa molto economica rispetto all’utilizzo di automobili o ciclomotori.

Purtroppo però non è tutto ora quel che luccica. Queste soluzioni infatti presentano alcuni svantaggi:

  • la bassa velocità e le regole sulla circolazione impongono spostamenti brevi e non troppo sbrigativi;
  • la batteria di questi mezzi ha evidenti limiti tecnici e non garantiscono un’autonomia elevata;
  • il territorio italiano è fatto di grandi città ma anche di numerose zone periferiche che necessitano di tragitti più lunghi anche solo per raggiungere il luogo di lavoro;
  • attualmente questi mezzi ci espongono al freddo e alle intemperie;
  • al massimo i veicoli possono supportare due persone e manca la socialità di una chiacchierata in auto.

Diverso è il discorso del car sharing ma ovviamente anche qui avete limiti di percorrenza, la necessità di cercare un veicolo disponibile e, ovviamente, l’onere di pagare ogni volta il servizio. 

Micromobilità: la situazione in Italia

A livello legislativo c’è ancora una gran confusione. Inizialmente l’argomento era stato sottovalutato, relegandolo ad un fenomeno di nicchia. Quando poi lo stato si è accorto di essere invaso da una serie di mezzi non regolamentati è corso ai ripari.

Da notizie dell’ultimo mese la commissione Trasporti della Camera ha approvato una risoluzione che dovrebbe impegnare il governo

“ad adottare iniziative per consentire e promuovere la diffusione della mobilità sostenibile e della micromobilità, anche attraverso campagne di sensibilizzazione volte ad un uso corretto dei dispositivi ai fini della sicurezza stradale”.

Inoltre nel testo sarebbe anche specificato un impegno da parte del governo

“ad assumere iniziative volte a dettagliare alcuni aspetti della circolazione dei mezzi [,,,], valorizzando l’attività di sperimentazione intrapresa dai comuni al fine di assicurare la tutela della sicurezza di tutti gli utenti della strada”

Per molti di questi mezzi dovremo quindi attendere ancora parecchio per avere regole chiare sul loro utilizzo. Tranquilli, non ci aspettiamo tempi biblici. Per i monopattini ad esempio ci è voluto solo qualche mese ma ora le regole sono decisamente chiare.

Micromobilità: le soluzioni

Ma bando alle ciance! Passiamo dalla teoria alla pratica. Abbiamo deciso di realizzare una serie di articoli che vi aiutano a capire come sfruttare la micromobilità, quali prodotti acquistare e cosa dovete sapere per circolare legalmente.

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Alessandro Santucci

Videogiocatore nato, perito informatico, lettore, nerd, imprenditore digitale.. Mi piace definirmi "Apprendista": un apprendista multidisciplinare, essere apprendisti è uno stile di vita, non si smette mai di imparare.

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Un commento

  1. È ormai innegabile quanto il monopattino elettrico sia diventato, specialmente nelle grandi città, una forma alternativa e molto apprezzata di spostamento. Possiamo sicuramente parlare di un nuovo trend nel mercato elettrico a cui è però necessario approcciarsi con buon senso e cautela, infatti, sebbene da un lato offra una certa versatilità e sostenibilità di spostamento, dall’altro si tratta comunque di un mezzo elettrificato in cui molti si cimentano direttamente, e per la prima volta, su strade anche molto trafficate o affollate.

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