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TikTok e la privacy: due senatori USA chiedono un’indagine

E non è l’unico problema del social cinese

Nei giorni scorsi si è (fin troppo) ironizzato ai danni di Elisa Esposito. Ma sì, la giovane “prof” che su TikTok insegna a parlare in corsivo, e che però non sa riconoscere i primi, celeberrimi versi della Divina Commedia.

Questa grossolana lacuna ha messo in luce ciò che già noi ipotizzavamo nel nostro articolo sull’argomento. Che, cioè, quella del corsivo parlato fosse una moda linguistica effimera e priva di solide basi teoriche.

Ma ultimamente TikTok ha messo in luce problemi ben più sostanziali. A partire da un atteggiamento ideologicamente ambiguo nei confronti del conflitto russo-ucraino. Per proseguire con un’indagine del Wall Street Journal, che ha evidenziato condizioni di lavoro davvero arretrate nella sede di Los Angeles dell’azienda cinese.

Ora c’è un nuovo scandalo, che riguarda TikTok e la privacy. Scopriamo di che cosa si tratta.

TikTok

Tiktok e la privacy: l’indagine dei senatori USA

Due senatori americani hanno chiesto di aprire un’indagine sul trattamento dei dati degli utenti di TikTok, la cui privacy sarebbe in pericolo.

Circostanziamo la notizia. I due senatori sono Mark Warner e Marco Rubio. Poco importa che il primo sia democratico e il secondo repubblicano. Mentre importa molto il fatto che siano, rispettivamente, presidente e vicepresidente della commissione Intelligence del Senato.

I due si sono rivolti all’Agenzia statunitense per la protezione dei consumatori (FTC) chiedendo di fare luce su un articolo pubblicato lo scorso 17 giugno da Buzzfeed. Dal quale sarebbe trapelato come, dall’audio di 80 conversazioni interne di TikTok, i dati degli utenti statunitensi del social siano alla mercé della Cina. Insomma: i dati sensibili degli utenti americani vengono serenamente consultati dai dipendenti di ByteDance, l’azienda madre di TikTok.

La richiesta dei senatori. E una curiosa guerra fredda

Nella lettera inviata all’Agenzia statunitense per la protezione dei consumatori, Warner e Rubio hanno spiegato che “i dipendenti con sede in Cina avevano pieno accesso alle informazioni degli utenti, comprese le date di nascita, i numeri di telefono e altri dati di autenticazione”.

E hanno inoltre citato la legge cinese che imporrebbe alle aziende del Paese di condividere i loro dati se richiesti.

Si apre così un nuovo capitolo della curiosa guerra fredda tra Usa e Cina che ha per protagonista TikTok. Lo scorso marzo, 8 stati americani avevano chiesto a loro volta l’apertura di un’indagine. Il motivo? Il dubbio che TikTok potesse influire negativamente sulla salute dei giovani.

Passiamo poi a maggio, con la già citata inchiesta del Wall Street Journal. E arriviamo a giugno, quando Brendan Carr, commissario della FCC (Federal Communication Commission) chiede di bandire l’app cinese dagli store di Apple e Google. E anche allora i dubbi riguardavano il trattamento della privacy degli utenti da parte di TikTok.

Il CEO di TikTok conferma

C’è poi una dichiarazione sorprendente in questo senso, che deriva niente meno che dal CEO di TikTok, Shou Zi Chew.

Come riportato da un articolo del New York Times del primo luglio, Shou Zi Chew avrebbe confermato che i dipendenti cinesi di TikTok possono accedere ai dati sensibili degli utenti americani attraverso i “protocolli di approvazione”.

Pare che il CEO dell’azienda abbia scritto una lettera a 9 senatori americani repubblicani. Nella comunicazione, Shou Zi Chew spiega che i dati degli utenti statunitensi passano attraverso “una serie di solidi controlli di sicurezza informatica e protocolli di approvazione delle autorizzazioni supervisionati dal nostro team di sicurezza con sede negli Stati Uniti.

Sappiamo di essere tra le piattaforme più esaminate dal punto di vista della sicurezza e miriamo a rimuovere ogni dubbio sulla sicurezza dei dati degli utenti statunitensi”.

TikTok e la privacy: la reazione dell’Europa

La presunta violazione della privacy da parte di TikTok ha fatto muovere anche la politica italiana ed europea. L’europarlamentare della Lega Marco Dreosto, ad esempio, ha presentato un’interrogazione alla Commissione europea per chiedere approfondimenti sulla questione.

Dreosto è componente titolare della Commissione del Parlamento Ue sulle ingerenze straniere in Europa.

Stop al Live Shopping

Al di là delle non banali questioni legate alla privacy, ultimamente TikTok è alle prese con un ulteriore problema.

Il Live Shopping non partirà, almeno per ora, né in Europa né negli Stati Uniti, dopo i test non pienamente soddisfacenti nel Regno Unito.

Così ha commentato l’azienda: “Il mercato non è ancora pronto. La consapevolezza generale e l’adozione da parte dei consumatori sono ancora basse”.

Stop dunque all’espansione del servizio, che era previsto in Germania, Francia, Italia e Spagna nella prima metà dell’anno, e poi negli Stati Uniti entro la fine del 2022.

Finora Live Shopping è attivo solo in cinque Paesi asiatici: Cina, Indonesia, Tailandia, Malesia e Vietnam.

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Claudio Bagnasco

Claudio Bagnasco è nato a Genova nel 1975 e dal 2013 vive a Tortolì. Ha scritto e pubblicato diversi libri, è co-fondatore e co-curatore del blog letterario Squadernauti. Prepara e corre maratone con grande passione e incrollabile lentezza. Ha raccolto parte delle sue scritture nel sito personale claudiobagnasco.com

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