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Uber Files, le pressioni sui governi e le pratiche illegali dell’app

La stessa società ammette le sue colpe, anche se ora la dirigenza è tutta cambiata

Le prove ora sono pubbliche: Uber avrebbe violato leggi, fatto pressioni a politici e media, commesso pratiche illegali nella sua espansione in tutto il mondo. Questo quanto emerge dagli “Uber Files“, migliaia di documenti pubblicati sulle principali testate giornalistiche riguardo le attività dell’app dal 2013 al 2017. Che dipingono un quadro di una società che avrebbe fatto davvero di tutto per soppiantare i taxi in tutto il mondo. E Uber ha riconosciuto la veridicità dei documenti, pur dicendo che dopo l’addio del fondatore la società è “passata da un’era di confronto a una di collaborazione”. Anche se l’ex-CEO Travis Kalanick nega il proprio coinvolgimento.

Uber Files: i documenti sulle pressioni sui governi e le pratiche illegali dell’app

Dapprima pubblicati da The Guardian e condivisi dal International Consortium of Investigative Journalists (ICIJ), gli Uber Files mostrano tantissimi dati, pubblicati da dozzine di testate in tutto il mondo. Si tratta di oltre 124 mila documenti ufficiali di Uber, datati dal 2013 al 2017. Che la società non nega sia veri, anche perché riguardano la passata stagione quando il CEO era il fondatore Travis Kalanick, sostituito proprio nel 2017 da Dara Khosrowshahi.

Secondo il Guardian, i file “mostrano come Uber abbia corteggiato il supporto di Primi Ministri, Presidenti, miliardari, oligarchi e baroni dei media“. Note durante le riunioni, presentazioni, appunti e trascrizioni che mostrano come i dirigenti della società non si siano fatti scrupoli nel cercare di espandere il servizio.

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Un report con nomi importanti

Analizzando l’enorme quantità di dati pubblicati, diverse testate hanno trovato nomi eccellenti negli appunti di Uber Files, anche se l’uso del condizionale resta d’obbligo: serviranno indagini per determinare se siano fatti realmente accaduti.

Ma la BBC ha riportato come il Presidente francese Emmanuel Macron avrebbe detto al CEO di Uber che avrebbe potuto riformare le leggi francesi in favore della società. Un altro report coinvolge l’ex commissario UE Neelie Kroes, che avrebbe contrattato l’ingresso in Uber prima di lasciare il proprio ruolo politico. Suggerendo che abbia fatto lobbying per la società. E il Guardian riporta tentativi di lobbying anche verso l’allora vice-presidente USA Joe Biden, potenzialmente fuori dai limiti regolamentati. Anche se lo ripetiamo: il fatto che i loro nomi siano nei documenti di Uber Files non basta a decretare che abbiamo davvero commesso illeciti, ma solo che Uber avrebbe tentato di ottenere dei favori.

Oltre al lobbying, anche pratiche potenzialmente illegali. Il Washington Post riporta che Uber avrebbe un ‘kill switch‘ per eliminare tutti i dati dal computer. Per “impedire alle autorità di investigare le pratiche commerciali della compagnia mentre manda all’aria l’industria globale dei taxi”. E in un altro articolo riporta che la compagnia avrebbe “sfruttato attacchi violenti” contro gli autisti per perseguire la propria agenda. Con l’ex CEO che avrebbe suggerito in un messaggio che “la violenza [delle proteste in Francia, ndr] garantisce il successo”.

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Uber Files, la compagnia sapeva di violare la legge?

Secondo quanto riporta il Guardian, non solo molte delle pratiche risulterebbero contestabili. Sembra che i dirigenti sapessero di violare le regole. Nairi Hourdajian, ex capo delle comunicazione globale di Uber, lo ammette in un messaggio a un collega del 2014. “Ogni tanto abbiamo problemi perché, beh, siamo fot**tamente illegali”.

Uno dei dirigenti ammette addirittura, scherzando, di essere diventati ‘pirati’. Un comportamento inaccettabile, che oggi la stessa Uber contesta.

Jill Hazelbaker, SVP del marketing e degli affari pubblici di Uber, ammette candidamente le colpe del passato. “Non abbiamo scusato e non abbiamo intenzione di scusare il comportamento passato che è chiaramente non in linea con i valori del presente. Invece, chiediamo al pubblico di giudicarci per quello che abbiamo fatto negli ultimi cinque anni e per quello che faremo nel prossimo futuro”.

Il vecchio CEO nega

Uber vuole distanziarsi il più possibile dal comportamento che avrebbe tenuto la passata gestione della società. Evitando il danno di immagine e soprattutto le possibili accuse a livello legale, che potrebbero forse arrivare nelle prossime settimane.

Ma Devon Spurgeon, che fa da portavoce per il fondatore ed ex-CEO Travis Kalanick, nega diverse delle notizie riportate in un post pubblicato dall’ICIJ. “Il signor Kalanick non ha mai autorizzato o diretto alcuna condotta illegale nell’espansione di Uber in Russia. E infatti ha avuto un coinvolgimento minimo in quei piani di espansione. E il signor Kalanick non ha mai suggerito che Uber approfitti della violenza a danno della sicurezza degli autisti”.

Inoltre il portavoce afferma che i documenti non sarebbero firmati dal proprio assistito, sottolineando che alcuni sono vecchi di quasi un decennio e falsi.

Insomma, il fondatore dell’app mantiene la propria innocenza. Ma con i giornalisti di tutto il mondo che scavano fra i dati per trovare pratiche illegali e deplorevoli (e le procure che inizieranno presto a fare altrettanto) potrebbero esserci nuovi scandali possibili all’orizzonte. Il condizionale resta necessario fino a quando non ci sarà una verità giuridica, ma sembra che altre notizie possano arrivare molto presto. Vi terremo aggiornati sullo sviluppo della situazione.

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Source
The Verge

Stefano Regazzi

Il battere sulla tastiera è la mia musica preferita. Nel senso che adoro scrivere, non perché ho una playlist su Spotify intitolata "Rumori da laptop": amo la tecnologia, ma non fino a quel punto! Lettore accanito, nerd da prima che andasse di moda.

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