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Da Zerocalcare a thasup: com’è il lavoro dell’art director. Ce lo racconta Erika De Nicola di Movimenti Production

Una delle art director più interessanti del panorama italiano è Erika De Nicola di Movimenti Production. Erika De Nicola ha curato la direzione artistica di Strappare lungo i bordi e Questo mondo non mi renderà cattivo, serie Netflix di Zerocalcare, e ha curato la regia di diversi videoclip per artisti come thasup e Mika.

L’art director è una figura chiave nel processo di produzione audiovisiva. Si occupa di definire l’identità visiva di un progetto, coordinare il lavoro di grafici, illustratori, animatori e deve assicurare la coerenza stilistica e la qualità del prodotto finale. È una figura che crea personaggi e storie usando oggetti, ambientazioni, colori e piccoli dettagli, mette tutto insieme come una sinfonia affinché il pubblico possa comprendere tutto, visivamente, come un linguaggio universale.

In questa intervista Erika De Nicola ci ha raccontato il suo lavoro, le sfide che ha incontrato dovendosi misurare con progetti importanti e unici nel suo genere. 

Quali sono le attività che caratterizzano il tuo lavoro? Il lavoro in team cosa riesce a innescare?

Il team è veramente fondamentale in questo lavoro e credo che comunque l’ambiente in cui una persona lavora, in qualsiasi ambito, è quello che ti aiuta e in qualche modo ti spinge. Se sei in un ambiente positivo, con delle persone che ti caricano positivamente, se crei veramente un rapporto di sinergia con queste persone, qualsiasi lavoro tu faccia comunque te lo agevola; se sei in un ambiente con delle persone che ti risucchiano energia hai un altro approccio al lavoro. 

Fortunatamente io mi ritrovo nel primo esempio; in questi anni Movimenti Production è cresciuta, c’è stata una crescita esponenziale di cui mi sento parte, ci sono stata dall’inizio ed è una realtà che continua a evolversi; più che crescita mi piace parlare di evoluzione perché si va avanti, si cambia insieme, si lavora con team sempre più grandi.

Zerocalcare Erika De Nicola
Erika De Nicola

Come ti definisci come regista? 

Una regista ancora in divenire. La regia è qualcosa a cui voglio arrivare, voglio lavorarci sempre di più. È qualcosa che sto toccando ancora poco, mi sto calibrando con i videoclip. I videoclip mi danno tantissima libertà, nel senso che lasciano grande spazio per poterti esprimere: hai una traccia musicale e vai avanti di emozioni, questa cosa è super creativa. Io poi sono un amante della musica, non vivrei senza. 

Quello che subito ti dà una canzone lo puoi affrontare con l’animazione, che poi è un mezzo che può dare tutto. Puoi veramente fare qualsiasi cosa, a partire da qualcosa di più realistico a un qualcosa di più astratto, usando mille stili diversi: quindi è veramente un campo interessantissimo. D’altra parte però devi capire che non è il tuo cortometraggio, hai un artista con cui ti confronti, che ha già delle idee e quindi devi trovare il giusto compromesso e inserire il tuo ma soprattutto il suo. Ho tantissimi progetti miei che spero un giorno vedranno la luce.

L’animazione: qual è la tua impressione? Qual è il tuo punto di vista su come viene percepita in Italia? 

Penso che in Italia ci sia stato sicuramente un blocco culturale che ci ha chiuso un po’ la mente soprattutto in questi ambiti. Siamo indietro rispetto a paesi vicini come la Francia, che ha un bagaglio culturale legato al fumetto vastissimo. Tantissime persone che conosco lavorano in Francia. Ovviamente il fumetto è legato all’animazione, a una scuola di animazione fortissima. Sono molto avanti da questo punto di vista.

La Francia, come l’Irlanda ma anche la Spagna stessa e tanti Paesi, si stanno aprendo anche a livello universitario, hanno dei corsi che riguardano l’audiovisivo e l’animazione: comunque viene presa in considerazione come una forma d’arte. Questo in Italia manca in tanti campi, sicuramente a livello artistico ci siamo un po’ fermati. Io ho studiato a Firenze, venivo da un paesino in Puglia, della provincia, e volendo fare un lavoro creativo e artistico ho pensato “Ok, Firenze, è una perfetta città d’arte”. In realtà da questo punto di vista sono rimasta molto delusa perché era una città d’arte ferma al Rinascimento. 

Ed è un peccato perché in realtà l’Italia ha un potenziale gigante: abbiamo una storia fortissima, cosa che gli Stati Uniti non hanno eppure sono riusciti a trovare lo sbocco. In Italia non ci sono stati mai realmente dei passi avanti, per cui si è rimasti un po’ con la percezione che il fumetto è fare disegnini e l’animazione sia per bambini. 

zerocalcare erika de nicola

Da Zerocalcare a thasup: l’intervista a Erika De Nicola

Nonostante negli anni ’90 ci sia stato un boom dell’animazione in Italia, comunque era tutto molto legato alle cose per bambini. Dopo questo boom poi è finita la magia: i pochi prodotti che resistevano comunque erano i prodotti per bambini, questa cosa ha chiuso tanto le menti. Quello che mi ha stupito veramente di queste due serie di Zerocalcare è il fatto che tantissime persone non soltanto hanno apprezzato il prodotto, ma l’hanno capito proprio a livello tecnico.

Strappare lungo i bordi sicuramente ha fatto il botto perché era la novità, era l’animazione finalmente per adulti, ma la cosa che mi stupisce è che tantissime persone, ma anche i miei genitori, cioè persone che non hanno mai guardato un cartone animato, vedono che c’è stato un lavoro diverso tra le due. 

È una soddisfazione gigante, perché si vede il lavoro che effettivamente c’è dietro; mi stupisce quanto un progetto, un solo progetto abbia aperto le menti, quindi il potenziale c’è anche perché comunque il target, seppure ancora di nicchia, c’è. I bambini di adesso hanno molto più gusto rispetto a noi, da bambini hanno molti più input, basti pensare a quello che ti dà ogni giorno internet, per cui è un momento veramente fertile per cercare di fare quel salto. Sono contenta che abbiamo aperto questo varco. 

Stop motion, pixel art, digressioni, pensieri, storia, intimità: come si lavora con Zerocalcare e come si riesce a riprodurre con coerenza il suo stile? 

Sicuramente le sfide più grandi le abbiamo affrontate in Strappare lungo i bordi perché era un momento in cui dovevamo settarci. Con Questo mondo non mi renderà cattivo invece siamo andati lisci perché Zerocalcare aveva fiducia pienissima. C’erano delle paure iniziali: noi siamo abituati a lavorare con questi team giganti, lui è un fumettista che lavora a casa da solo, per cui sicuramente questa era la sua più grande paura, ovvero, come dice spesso, affidare quello che è suo a qualcun altro. 

Quando io parlavo con i registi tecnici, Davide Rosio e Giorgio Scorza, avevamo già tutto in mente. L’abbiamo proprio preso per mano e portato all’interno della produzione; però devo dire che da parte sua nonostante questa paura iniziale c’è sempre stata disponibilità massima e umiltà, e questa non è una cosa scontata. 

C’è sempre stato dialogo, c’è sempre stata apertura e se qualcosa magari non gli funzionava non era un “l’hai fatto male”, ma un “io di solito lo faccio così, che te ne pare?”. È strano veramente quando lavori con artisti, che ti dicono “ma secondo te?”, da questo punto di vista lui è veramente una persona super umana, quindi si lavora benissimo. Il fatto di aver risolto tutte queste dinamiche già in Strappare lungo i bordi ha fatto sì che in seguito ci si potesse concentrare molto di più sul ritmo e sulla profondità di alcuni momenti. 

Strappare lungo i bordi affrontava una tematica delicata, però era anche un altro modo di raccontare. Questo mondo non mi renderà cattivo, sia per scelta ovviamente dell’autore stesso, di Michele, affronta tematiche diverse, è sicuramente una serie diversa dalla prima, più politica, più impegnata a livello sociale, con tanti personaggi e ognuno con la sua personalità che andava caratterizzata bene. 

Devi dare il giusto spazio al personaggio, il giusto ritmo a quelle scene. La regia ha potuto lavorare, ha potuto concentrarsi di più su questi aspetti. Lato mio, lato direzione artistica, la maggior parte dei dilemmi li avevamo già risolti. Sicuramente è stato molto impegnativo anche per una questione di lunghezza degli episodi, che erano lunghi quasi il doppio. Avevamo un carico di lavoro gigante, però abbiamo lavorato sul sicuro perché grossa parte del team impegnato su “Questo mondo non mi renderà cattivo” aveva già lavorato sulla serie precedente.

zerocalcare erika de nicola

È sempre lavorare sullo stile di qualcun altro, mantenere il suo linguaggio…

E devi anche pensare come lui, io dico sempre: “Mettetevi le mani di Michele e disegnate”. È così, c’è tantissimo studio prima. La sfida più grande su questo progetto è stata proprio quella di non snaturare mai l’autore. È comunque un artista affermato, un artista super riconoscibile, che ha questo stile. Quindi era la sfida più grande a livello artistico. Tra l’altro io conoscevo già Zerocalcare, quindi c’era anche un po’ la paura di deluderlo da quel punto di vista. Ho studiato tantissimo i suoi libri, dalla fogliolina, alle mani, come piegava i gomiti, le ombre, i neri, quanti neri, quanto bianco, quanti punti, quanti tratteggi

Perché appunto, che poi era la cosa più importante, io devo vedere quella serie lì e devo dire “Ok, è come se l’avesse fatta lui”. Anche se ci hanno lavorato dietro 200 prima e 300 persone dopo, deve essere sua, quindi questa è la sfida più importante. 

Mi collego alla domanda di prima visto che citavi le tecniche nuove: è stata un’ulteriore sfida nel senso che la pixel art l’avevamo già utilizzata in Strappare lungo i bordi, perché c’era un momento nell’ultimo episodio in cui ritornava l’idea del videogioco. In “Questo mondo non mi renderà cattivo” avevamo dei veri e propri cabinati, dove abbiamo scelto di avere una grafica che è anche più bella rispetto ai videogiochi dell’epoca, potendo avvalerci oggi di risoluzioni altissime: tutta quella sequenza all’interno nella sala giochi doveva essere veramente iconica.  

Per quanto riguarda la stop motion è stato un lampo di genio durante un briefing: quando vengono fuori queste idee meravigliose il mio compito di solito è trovare il modo di metterle in pratica e farle venire fuori in modo coerente con la serie, e quindi le domande sorgono, ad esempio: “Come fa un personaggio di carta ad essere coerente con Zerocalcare?”, “Cosa succede se a Michele arriva un pacco di Amazon a casa e da lì decide di crearsi un personaggio?”. Per cui abbiamo fatto disegnare le espressioni, le facce, i volti, a penna come se fossero disegnati da lui e li abbiamo fatti con degli elementi che rimandavano al mondo della corrispondenza, della carta, del cartone quindi come se li avesse fatti Michele a casa sua. 

thasup: com’è stato lavorare con lui e curare il progetto grafico di c@ra++ere s?ec!@le? 

Allora thasup, anche lui è un artista gigante e una persona veramente umilissima. Più lo conosco più vedo del genio. È veramente incredibile, ha una mente pazzesca e quello che fa è veramente assurdo nonostante sia giovanissimo. Quanto lavoro c’è dietro, ed è bello quanto di lui ci sia nelle sue canzoni che sono veramente super personali. Lavorare con lui ti fa crescere tanto, ti fa aprire. Sul vecchio album, aveva già delle idee precise, quindi arrivava quasi con uno script, con la sua idea su quello che voleva vedere, su quello che voleva dire. Da lì in poi facevamo un lavoro insieme per capire a cosa dare più peso, cosa far vedere meglio, il ritmo. 

Avevo già uno script su cui lavorare, c’era comunque un soggetto ben sviluppato. Su quest’ultimo album devo dire che il lavoro è stato diverso, sono felicissima perché ha voluto esplorare tantissimo, abbiamo abbandonato il vecchio stile perché, partendo proprio dal lavoro fatto proprio sul cartaceo, sull’album, lui voleva toccare stili diversi, palette diverse, tutto diverso, voleva sperimentare tanto perché è il lavoro che poi ha fatto musicalmente, quindi per me è stata gioia pura. Anche sui videoclip che abbiamo fatto come “s!r!”, che è uno stile anime, “r()t()nda”, ho avuto tantissimo spazio, mi ha lasciato veramente tantissimo spazio anche a livello di concept. C’è sempre questo confronto con lui per cui mi racconta che cos’è per lui quella canzone, cosa intende dire in quella canzone, quali sono i suoi sentimenti. Questo è il mondo thasup

Prossimi progetti?

La prospettiva è quella di allargare sempre di più il target generale dell’animazione. Un’altra cosa bellissima che ci piace fare è sempre sperimentare, anche con tecniche nuove.

In una recente intervista hai dichiarato: “Ho capito chi sono, chi voglio essere e con voglio arrivarci”. Un’affermazione potente. A questo punto dicci di più: chi sei, chi vuoi essere e con chi vuoi arrivarci? 

È da un po’ di tempo che sto facendo questo percorso professionale veramente molto intenso, per cui sono stati anni importanti e pieni di soddisfazioni. Tante soddisfazioni grandi e tanto duro lavoro dietro. Sono proprio in questo momento della mia vita in cui ho capito in che punto sono e questa sì, è una cosa importante secondo me, arrivare a una tua consapevolezza professionale.

Voglio arrivare sempre più in alto. C’è questa consapevolezza che secondo me ti porta anche a capire quanto ogni volta puoi alzare l’asticella, quanto grandi puoi fare i prossimi salti e quindi calibrati. Sono di carattere una persona testarda che comunque non si ferma. 

Sapere dove sono non vuol dire “Ah ok sono arrivata”, questo secondo me non c’entra molto, sapere dove sei e chi sei vuol dire capire cosa altro puoi fare, quanto ancora puoi andare avanti e questo sicuramente è quello che voglio fare in futuro. 

Con Movimenti Production stiamo facendo un ottimo lavoro, sotto tanti punti di vista. L’azienda cresce, i progetti sono sempre più belli, quindi sicuramente c’è una collaborazione attiva forte. C’è un legame forte anche a livello umano, quindi non solo professionale. Ci siamo conosciuti tanti anni fa partendo proprio da un’amicizia, per cui è sicuramente un buon posto per continuare a fare sempre di più. Se il panorama italiano si aprisse ancora di più, a quello su cui lavoriamo in primis, se si aprisse sempre di più sicuramente darebbe spazio non solo a me ma a tutte le figure che abitano questo mondo.

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Lucia Tedesco

Giornalista, femminista, critica cinematografica e soprattutto direttrice di TechPrincess, con passione ed entusiasmo. È la storia, non chi la racconta.

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