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Il deserto dei Tartari di Valerio Zurlini – Il filo nascosto

Guarda più volte verso l’orizzonte il sottotenente Giovanni Drogo, il protagonista de Il deserto dei Tartari. Un gesto apparentemente analogo a quello che appena un anno più tardi darà il via all’epopea di Star Wars e di Luke Skywalker, affascinato e stimolato dal doppio tramonto più conosciuto e amato della storia del cinema. Ma dove il protagonista dell’universo creato da George Lucas cerca avventure e imprese da realizzare, il personaggio interpretato da Jacques Perrin nel film di Valerio Zurlini scruta solo il miraggio di un riscatto, il mero sogno dell’arrivo di un nemico capace di dare un senso a un’esistenza spesa nell’attesa.

Fin dal suo debutto nel 1940, il romanzo di Dino Buzzati Il deserto dei Tartari si è trasformato in oggetto del desiderio per alcuni dei più rinomati cineasti, fra cui Michelangelo Antonioni. Troppo ghiotta l’occasione di trasporre sul grande schermo un racconto capace di mescolare suggestioni kafkiane a malinconiche e metaforiche riflessioni esistenziali, ma elevate anche le difficoltà nel riversare in immagini il fiume di stimoli, parole e sensazioni partorito dallo scrittore. Dopo il successo de La prima notte di quiete, a cui abbiamo dedicato il precedente appuntamento con la nostra rubrica cinematografica Il filo nascosto, a spuntarla su tutti gli altri cineasti è proprio Valerio Zurlini, che si sposta dalla Romagna spesso al centro del suo cinema alla suggestiva location iraniana dell’Arg-e Bam, scelta come ambientazione della fortezza al centro del racconto e immortalata nella sua misteriosa bellezza prima che il terremoto del 2003 la radesse al suolo.

Il deserto dei Tartari: una struggente e amara metafora dell’insensatezza della vita

Il deserto dei Tartari

Questa mirabile costruzione è la stazione intermedia (e a sua insaputa finale) della carriera militare di Giovanni Drogo, scelto per unirsi a un gruppo di soldati nella Fortezza Bastiano. Quest’ultima è essenzialmente un avamposto da cui una nazione non meglio specificata (ma identificabile nell’Impero austro-ungarico) attende l’arrivo del popolo dei Tartari, noto per la sua pericolosità e per l’ardore in battaglia. Inizialmente, Drogo prova un sentimento di repulsione nei confronti della struttura, popolata da personaggi borderline come il Capitano Ortiz (Max von Sydow), il Maggiore medico Rovine (Jean-Louis Trintignant), il Maggiore Matis (Giuliano Gemma) e il Colonnello Conte Giovanbattista Filimore (Vittorio Gassman). Col passare dei giorni, Drogo viene però risucchiato nell’accogliente immobilismo della struttura, dove finisce per passare la maggior parte della sua vita in attesa di un’epica battaglia.

La crescente aspettativa per un grande giorno, su cui John Milius due anni più tardi baserà il suo capolavoro Un mercoledì da leoni, diventa in questo caso la leva per un racconto volutamente anticlimatico e dilatato, che affonda proprio nel concetto di attesa le sue radici. Come nelle pagine di Buzzati, la fortezza non è altro che una metafora dell’esistenza umana, che tutti noi viviamo nella speranza di un evento, di un cambiamento o di una formidabile impresa, che molto probabilmente non arriveranno mai. E nell’attraversare questo percorso privo di un vero e proprio scopo, sottostiamo a regole artefatte e a inutili rituali, stringendo relazioni dominate dal caso e dalla convenienza.

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Il disagio esistenziale secondo Valerio Zurlini

È giusto e coerente che sia Il deserto dei Tartari a seguire La prima notte di quiete e a chiudere la pregevole carriera di Valerio Zurlini, fatta di pochi ma straordinari lungometraggi. Il disagio esistenziale del Daniele Dominici di Alain Delon è in fondo lo stesso di Drogo, quello di chi nel profondo del proprio cuore sa che l’unica soluzione ai propri tormenti e alle proprie disavventure è la morte, sulla cui strada ci sono solo piccoli e sporadici scampoli di amore e bellezza.

Con il prezioso sostegno della fotografia di Luciano Tovoli e delle musiche di Ennio Morricone, il regista riesce nella non facile impresa di trasformare in immagini questo sentimento, rendendo la fortezza e il deserto che la circonda luoghi della mente, fuori dal tempo e dallo spazio. Il contrasto fra la luce che domina la Fortezza Bastiano e il grigiore dei suoi interni e delle divise dei suoi abitanti è straniante, come le note che accompagnano i freddi e pomposi dialoghi. Come nell’Overlook Hotel di Stephen King e Stanley Kubrick, fra queste mura non c’è speranza, ma solo la certezza di una lenta e inevitabile disgregazione fisica e mentale.

Il cast de Il deserto dei Tartari

Il sontuoso cast riunito da Zurlini (in piccoli ruoli troviamo anche Philippe Noiret, Fernando Rey e Francisco Rabal) sostiene un racconto che fa della staticità e dell’aderenza alle parole di Buzzati la propria cifra stilistica e narrativa. La rigidità dello stile di vita militaresco si scontra però con la ribollente umanità degli abitanti della fortezza e con un susseguirsi di eventi che ne minano costantemente la stabilità, come morti, trasferimenti, tensioni e rivalità. A non cambiare è invece quell’abbagliante orizzonte, che attrae Drogo negandogli al tempo stesso quella battaglia liberatoria in grado di trasformare un’esistenza all’insegna della mediocrità e dell’insensatezza in una vita degna di essere vissuta.

Nell’epoca delle Grandi Dimissioni e della continua ricerca di un accettabile equilibrio fra il lavoro e la vita privata, la parabola di Drogo è quantomai attuale e degna di nota. Quante volte ci siamo ritrovati imprigionati in demenziali burocrazie, smanie di controllo mascherate da precise organizzazioni, attività ripetitive e prive di un reale scopo e liti e tensioni basate sul nulla, fantasticando su un giorno futuro capace di dare un senso ad anni di frustrazione e sopportazione? Come il sottotenente, anche noi ci troviamo spesso in un avamposto morto che si affaccia sul nulla, a invecchiare mentre aspettiamo che il vuoto intorno a noi riempia il nostro fragile animo.

Il finale de Il deserto dei Tartari

Il deserto dei Tartari

Giungiamo così all’epilogo, più sfumato rispetto alle pagine del libro ma ugualmente umiliante e doloroso per Drogo. Ormai invecchiato, stanco e malato, l’uomo è costretto ad allontanarsi dalla fortezza, proprio nel momento in cui l’agognata avanzata dei Tartari si materializza. Un finale amaro, che nel più straziante dei modi ci ricorda che nel bene e nel male ogni evento è meno importante della sua attesa e di come scegliamo di impiegare il tempo che ci separa da esso. Ad attendere Drogo c’è la prima notte di quiete, in cui come dice Daniele Dominici finalmente si dorme senza sogni, ma c’è anche la consapevolezza di aver abbandonato per sempre quella fortezza, prigione dell’anima e della vitalità.

Il deserto dei Tartari

«La Fortezza Bastiano è un avamposto morto, una frontiera che si affaccia sul niente. Al di la della fortezza c’è un deserto, e dopo il nulla, il deserto dei Tartari. L’hanno certamente attraversato, secoli fa, e poi sono scomparsi».

Il filo nascosto nasce con l’intento di ripercorrere la storia del cinema nel modo più libero e semplice possibile. Ogni settimana un film diverso di qualsiasi genere, epoca e nazionalità, collegato al precedente da un dettaglio. Tematiche, anno di distribuzione, regista, protagonista, ambientazione: l’unico limite è la fantasia, il faro che ci guida è l’amore per il cinema. I film si parlano, noi ascoltiamo i loro dialoghi.

Deserto dei Tartari (Il)
  • Blu-ray standard
  • Booklet 4 pagine
  • Vittorio Gassman, Giuliano Gemma, Max von Sydow (Attori)

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Marco Paiano

Tutto quello che ho imparato nella vita l'ho imparato da Star Wars, Monkey Island e Il grande Lebowski. Lo metto in pratica su Tech Princess.

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