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Cuore selvaggio di David Lynch – Il filo nascosto

Per il nuovo appuntamento con Il filo nascosto, parliamo ancora di David Lynch.

«Non passa giorno in cui io non pensi a Il mago di Oz», ha dichiarato David Lynch nel corso del New York Film Festival 2001, durante la presentazione del suo Mulholland Drive. Il rapporto fra il maestro statunitense e una vera e propria pietra miliare del cinema narrativo classico, scandagliato nell’ottimo documentario di Alexandre O. Philippe Lynch/Oz, è evidente in tutta la sua filmografia, ma diventa quasi sfacciato in Cuore selvaggio, road movie sentimentale dal chiaro intento satirico nei confronti di Hollywood e della società americana. Un’opera divisiva e per molti addirittura respingente, presentata a poche settimane di distanza dall’inizio della programmazione de I segreti di Twin Peaks al Festival di Cannes 1990, dove ha ricevuto la prestigiosa Palma d’Oro della giuria presieduta da Bernardo Bertolucci ma anche fischi e ingiurie da parte di un’ampia fetta di critica, poco in sintonia con l’intento corrosivo e incendiario dell’operazione.

Basandosi sull’omonimo romanzo di Barry Gifford, David Lynch riversa in Cuore selvaggio la sua caratteristica poetica onirica, visionaria e allo stesso tempo ironica, dando vita a una sorta di favola ambientata in un’America marcia e sinistra, in cui la passione più pura e libera convive con i più biechi istinti dell’animo umano. Dopo aver dedicato a The Elephant Man il precedente appuntamento con la nostra rubrica cinematografica Il filo nascosto, ci concentriamo dunque ancora su David Lynch e in particolare su questo suo controverso lavoro, ritenuto da molti minore ma in realtà determinante per la successiva evoluzione della poetica del regista, nonché per l’esplosione del cinema postmoderno, favorita anche dall’approccio anarcoide di Cuore selvaggio all’immagine, ai dialoghi e alla narrazione.

Cuore selvaggio: la favola postmoderna di David Lynch

Un allucinato Nicolas Cage e una costantemente sopra le righe Laura Dern interpretano rispettivamente Sailor Ripley e Lula Pace Fortune, due amanti coinvolti in una relazione pericolosa anche e soprattutto perché osteggiata dalla madre di lei Marietta (Diane Ladd, vera madre di Laura Dern), coinvolta in loschi giri criminali. A imporre il tenore di questa storia d’amore e dell’intero Cuore selvaggio è già la scena di apertura, dove una scalinata fa da ambientazione a un omicidio commesso da Sailor per difendersi da uno scagnozzo di Marietta. Lynch non indora la pillola, e anzi indugia sui risvolti più violenti della sequenza, accompagnati da scariche di heavy metal che si inseriscono in una colonna sonora variegata e cangiante, in cui le sonorità più estreme si mescolano alle ballate anni ’50 e in particolare alla struggente Love Me Tender di Elvis Presley.

Dopo essere finito in prigione, Sailor viene scarcerato, e riprende la relazione con Lula da dove si era interrotta. I due fuggono quindi in auto verso la California, violando gli obblighi di libertà vigilata di lui e la volontà della madre di lei, che sfrutta tutte le sue conoscenze per fermarli. Nella loro folle e passionale fuga, Sailor e Lula vivono esperienze surreali e pericolose, come l’incontro con il criminale Bobby Peru (un agghiacciante Willem Dafoe), che propone all’uomo di risollevare le sempre più esigue finanze della coppia aiutandolo in una rapina. La missione non va a buon fine, ma l’amore fra Sailor e Lula ha la forza di resistere a ogni difficoltà e di trovare sempre una propria collocazione, da qualche parte sopra l’arcobaleno.

Cuore selvaggio e Il mago di Oz

Cuore selvaggio

Al Lucca Film Festival di qualche anno fa, David Lynch ha dichiarato che ciò che lo attrae di più de Il mago di Oz è la ricerca della strada per tornare verso casa. Un’affermazione tanto semplice quanto profonda, da parte di un regista che non ama sbottonarsi sul significato delle sue opere, che ci offre una chiave di lettura per i labirinti della sua mente, in cui il ritorno verso casa o verso la propria famiglia gioca sempre un ruolo fondamentale (si pensi alla parabola del protagonista di Velluto blu o a quella di Alvin Straight nel commovente Una storia vera). Una dinamica che in Cuore selvaggio vive una sorta di ribaltamento, dal momento che Sailor e Lula dalla loro casa devono invece fuggire, per cercare di costruire una vita più felice e serena da qualche altra parte.

Mentre Dorothy ne Il mago di Oz fugge verso un mondo magico e colorato per poi giungere alla conclusione che «Nessun posto è bello come casa mia», i protagonisti di Cuore selvaggio vivono il sogno di una favola all’interno di un vero e proprio inferno, popolato da personaggi inquietanti e minacciosi. Il capolavoro del 1939 è per loro un filtro da applicare alla realtà: le figure femminili negative e positive diventano rispettivamente la strega cattiva e la strega buona; la loro strada è idealmente fatta di mattoni gialli come quella che percorre Dorothy; al termine di un tentativo di stupro, Lula batte le sue scarpette rosse nel tentativo di abbandonare la sua paurosa realtà, proprio come la giovanissima Judy Garland nella sua imperitura fonte di ispirazione.

L’ispirazione per Quentin Tarantino

Questa contaminazione fra il cinema e la vita e fra la finzione e la realtà è l’asse portante su cui si poggia tutto il cinema postmoderno, che poco dopo Cuore selvaggio Quentin Tarantino imporrà all’attenzione generale con i suoi Le iene e Pulp Fiction. Proprio quest’ultimo non ha mancato di sottolineare l’influenza esercitata su di lui proprio da Cuore selvaggio e dal precedente Velluto blu, anch’esso portatore di una violenza stilizzata e di personaggi tossici e respingenti ma allo stesso tempo efficaci e suggestivi. Ad avvicinare Cuore selvaggio e Tarantino sono inoltre le sfumature pulp dell’opera, già evidenti nel romanzo da cui è tratta ma ulteriormente caricate da Lynch.

Non sorprende che sia stato uno straordinario uomo di cinema come Bernardo Bertolucci a cogliere ciò che stava serpeggiando nel panorama cinematografico del 1990 prima e meglio di chi il cinema dovrebbe comprenderlo, analizzarlo e divulgarlo. Appena un anno prima, era stato Steven Soderbergh con il suo Sesso, bugie e videotape (anch’esso premiato con la Palma d’Oro di Cannes) a proporre un nuovo modo di confrontarsi con le storie e in particolare con la storia delle storie, ma è David Lynch a sdoganare definitivamente un cinema classico e moderno allo stesso tempo, trovando anche una sponda televisiva con il coevo I segreti di Twin Peaks, che non a caso condivide con Cuore selvaggio molti elementi del cast e il desiderio di scardinare generi e convenzioni narrative.

Cuore selvaggio e il kitsch

Il termine che viene associato più spesso a Cuore selvaggio è kitsch, indicativo di opere pretenziose e di cattivo gusto. Un aggettivo del tutto corretto, dal momento che David Lynch infarcisce quest’opera di frasi fatte, soluzioni narrative artificiose come l’apparizione finale della strega buona (impersonata dall’indimenticabile Laura Palmer Sheryl Lee), costumi grotteschi (la giacca di pelle di serpente di Nicolas Cage) e momenti stucchevoli e melodrammatici, conditi da un overacting spinto e imposto a tutti gli interpreti. Questo termine non deve però portare all’errore di scambiare la confezione, cioè un’opera volutamente grossolana e stiracchiata dal punto di vista logico, con il contenuto, che porta invece con sé l’idea di compiere una decisa e sfacciata satira sul contemporaneo.

Fra tante sequenze eccezionali, quella più indicativa dell’intento di Lynch è una collocata poco prima della metà dei 124 minuti complessivi di durata. Mentre i protagonisti sfrecciano in auto, sulla stazione radiofonica su cui sono sintonizzati continuano a essere trasmesse notizie raggelanti di morti, omicidi e altre atrocità che non sfigurerebbero in un film horror. Irritata da ciò, dopo aver accostato Lula scende dall’auto e reclama a gran voce musica, sfogandosi poi in un ballo sfrenato e allo stesso tempo ridicolo insieme a Sailor. La rappresentazione plastica di una realtà più atroce e insensata di qualsiasi fantasia, a cui si contrappone una ribellione affascinante negli intenti ma dagli esiti tragicomici.

Mentre Twin Peaks trasforma la parodia delle soap opera in incubo surreale e visionario, Cuore selvaggio spazia con leggera consapevolezza fra i più disparati generi, giocando con il melodramma sentimentale, il noir (fra le tante dark lady in scena c’è anche Isabella Rossellini con la sua Perdita Durango), il fantasy, il road movie e addirittura il western, a cui si approda nel segmento ambientato in Texas.

Il racconto e la menzogna

Cuore selvaggio

Cuore selvaggio nasce e prospera nei contrasti fra personaggi, atmosfere e piani di realtà, ma su questi contrasti riesce a dare vita a un racconto intimo e di abbagliante umanità, in cui è dolce e perfino commovente perdersi. Un racconto in cui la menzogna occupa un ruolo fondamentale ed è costantemente enfatizzata dal regista: ne sono un fulgido esempio i flashback sul passato di Lula, in cui emergono le bugie di lei e della madre sullo stupro perpetrato ai danni della giovane da un amico di famiglia, ma anche la scena in cui un concerto heavy metal si interrompe per dare spazio all’esecuzione di Sailor di Love me (cantata realmente da Nicolas Cage, come tutti gli altri brani intonati dal suo personaggio). Momenti che anticipano di fatto le svariate digressioni (spesso totalmente inventate) dei personaggi del già citato Quentin Tarantino.

Anche se Cuore selvaggio viene spesso indicato come un elemento alieno nella filmografia del maestro, è facile riscontrare elementi tipici della poetica di Lynch, che non si esauriscono nelle musiche del fedele Angelo Badalamenti o nella presenza nel cast di volti noti del suo cinema come Harry Dean Stanton, Grace Zabriskie, Sherilyn Fenn, Jack Nance o la stessa Laura Dern. Fra le pieghe della satira favoleggiante del regista emergono infatti elementi naturali come il fuoco (fondamentale anche per Twin Peaks), in cui bruciano sigarette, personaggi e sentimenti, ma anche sequenze perturbanti come le svariate apparizioni di Diane Ladd (nominata all’Oscar come migliore attrice non protagonista), fra le quali spicca indubbiamente ormai l’iconico passaggio in cui appare in scena col volto interamente ricoperto di rossetto. Passaggi perfettamente coerenti con la visione del mondo di Lynch, secondo la quale l’orrore può annidarsi in ogni anfratto del quotidiano.

Cuore selvaggio: le interpretazioni di Nicolas Cage e Laura Dern

Cuore selvaggio

Doveroso spendere qualche parola per gli interpreti di Cuore selvaggio Nicolas Cage e Laura Dern, che regalano una performance di altissimo profilo, assecondando le direttive di Lynch e imprimendo di fatto una svolta alle rispettive carriere. Anche grazie al suo lavoro in questo film, Cage si allontanò definitivamente dal metodo Stanislavskij, in favore di uno stile recitativo più viscerale, da lui esplorato fra alti e bassi nel prosieguo della sua carriera. Laura Dern derogò invece alla sua regola che proibiva la partecipazione a scene di nudo, ma venne ripagata da un ruolo di notevole impatto ed entrato nell’immaginario collettivo, che ha influenzato direttamente e indirettamente tanti successivi personaggi di ragazze ribelli al cinema.

Una menzione infine per il lavoro in sceneggiatura di David Lynch, molto più raffinato di quanto si potrebbe pensare a un primo impatto. Nell’intento di ribadire l’artificiosità dell’intera storia e di realizzare una pungente satira del panorama cinematografico e televisivo del momento, il regista mette continuamente in bocca ai personaggi disarmanti luoghi comuni, che emergono soprattutto nello spassoso e allo stesso tempo commovente epilogo.

ll finale di Cuore selvaggio

Cuore selvaggio

Dopo aver ritrovato e poi nuovamente abbandonato Lula, Sailor vive la più improbabile e affrettata delle redenzioni attraverso l’apparizione della già citata strega buona di Sheryl Lee, che lo convince a ritrovare la retta via a suon di banalità del calibro di «Se hai davvero un cuore selvaggio, allora lotta per i tuoi sogni. Non voltare le spalle all’amore». L’ennesima incursione fantastica in un incubo a occhi aperti e apparentemente senza speranza, che apre la porta al più classico lieto fine, in cui la sospirata e appassionata esecuzione da parte del protagonista di Love Me Tender è brutalmente contaminata dall’arrivo dei titoli di coda. L’ennesima forzatura di un’opera che piega le regole della logica per trovare la sua personale verità, l’ennesimo sberleffo di un regista che attraverso racconti onirici, visionari e spaventosi non ha mai smesso di metterci in guardia da chi siamo e da cosa amiamo guardare.

Questa è la mia giacca di pelle di serpente. Rappresenta il simbolo della mia individualità e la mia fede nella libertà personale“.
Sailor Ripley

Cuore selvaggio

Il filo nascosto nasce con l’intento di ripercorrere la storia del cinema nel modo più libero e semplice possibile. Ogni settimana un film diverso di qualsiasi genere, epoca e nazionalità, collegato al precedente da un dettaglio. Tematiche, anno di distribuzione, regista, protagonista, ambientazione: l’unico limite è la fantasia, il faro che ci guida è l’amore per il cinema. I film si parlano, noi ascoltiamo i loro dialoghi.

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Marco Paiano

Tutto quello che ho imparato nella vita l'ho imparato da Star Wars, Monkey Island e Il grande Lebowski. Lo metto in pratica su Tech Princess.

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