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Qatar accusato di sportwashing: ecco di cosa si tratta

Nel corso degli ultimi anni, anche grazie ad una crescente consapevolezza e attenzione rispetto alle questioni ambientali e umane, abbiamo introdotto nel nostro vocabolario diversi neologismi. Parole come greenwashing, blackwashing, whitewashing e persino rainbow washing sono diventate di uso comune, utilizzate per indicare l’appoggio da parte di una realtà (solitamente un band) nei confronti di una causa importante e socialmente accettata, spesso con l’unica finalità di avere un ritorno d’immagine. È il caso del Qatar, che tra mille polemiche sta ora ospitando i Mondiali di Calcio 2022, e che è ora accusato di sportwashing. Ma di cosa si tratta? E perchè?

Per sportwashing si indica il processo di “ripulire” la propria immagine attraverso la promozione di eventi sportivi. Utilizzare il calcio per distogliere lo sguardo dalla situazione dei diritti umani, quindi. Non è un caso che il Qatar – paese la cui tradizione calcistica è semplicemente non pervenuta – sia diventato negli ultimi anni uno degli attori protagonisti nel mondo del calcio. Un esempio su tutti è il Paris Saint-Germain, club parigino casa delle maggiori stelle del calcio mondiale, da Leo Messi a Neymar Jr. Proprietà? Tamim bin Hamad al-Thani (attuare emiro del Qatar). Presidente della società? Nasser Al-Khelaifi. Sponsor ufficiale presente sulle maglie? Qatar Airways, ovviamente.

Una dinamica che sembra essere parecchio diffusa comunque. Sono molti i ricchi imprenditori e califfi arabi ad investire nel calcio europeo. Il più popolare è sicuramente Al Mansour, che dal 2008 ha guidato la rinascita del Manchester City. Oppure ancora, sempre in Premier League, il Newcaste United, di proprietà della Public Investment Fund dell’Arabia Saudita. Fondo, quest’ultimo, che sarebbe (secondo Amnesty International) gestito dal principe ereditario Mohammad Bin Salman, ritenuto il mandante del violento e macabro omicidio del giornalista Jamal Khashoggi, attirato con l’inganno nell’ambasciata saudita di Istanbul, assassinato e fatto letteralmente a pezzi dagli agenti di Salman.

Il Qatar e lo sportwashing: i mondiali di calcio

È solo un caso quindi che un Paese asiatico con zero storia calcistica, che negli ultimi anni ha pesantemente investito nel calcio europeo, si ritrovi ad ospitare la Coppa del Mondo? Le indagini sulla corruzione per l’assegnazione del massimo torneo calcistico sono in corso, e non sta di certo a noi trarre conclusioni. I sospetti però ci sono tutti, anche perchè le controversie non sembrano riguardare solo gli interessi economici dell’emirato.

Per ospitare i Mondiali 2022 il Qatar ha costruito 8 stadi nuovi di zecca, adoperando principalmente forza lavoro straniera. Secondo il The Guardian sarebbero oltre 6.500 i morti sul lavoro per la realizzazione delle opere necessarie ai mondiali qatarioti. Numeri che sarebbero addirittura sottostimati secondo il giornale inglese. Dati che però non hanno ottenuto riscontro dal Qatar stesso, che rigetta qualsiasi polemica. “Godiamoci la festa” ha dichiarato pochi giorni fa Gianni Infantino, presidente della FIFA. Come a voler rimarcare che lo sport vale più delle polemiche. Il problema vero è che le polemiche, in questo caso, riguardano i diritti umani calpestati. Per non farsi mancare nulla Infantino ha chiuso la conferenza stampa rigettando quanti chiedono il boicottaggio del mondiale a causa della politica qatariota: “Chi siamo noi per criticare gli altri? Io oggi mi sento qatarino, arabo, africano, gay e disabile” ha chiosato Infantino.

La comunità LGBTQ+: il Qatar pretende il rispetto per la propria cultura

Come se non bastassero le ombre della corruzione e le inspiegabili morti nei cantieri, la campagna di sportwashing del Qatar si ritrova a dover mettere a tacere altre importanti polemiche. La prima riguarda la comunità LGBTQ+. In Qatar le manifestazioni pubbliche di amore tra persone dello stesso sesso sono punite fino a 7 anni di reclusione.

Lo scorso anno Nasser Al Khater, presidente del comitato organizzatore dei Mondiali, ha rilasciato una controversa intervista alla CNN, affermando che “le manifestazioni pubbliche di affetto tra gay sono disapprovate e questo vale per tutti”. A rincarare la dose anche l’ex calciatore qatariota Khalid Salman, ora ambasciatore dei Mondiali in Qatar. “L’omosessualità è una malattia mentale – aveva dichiarato – qui bisogna accettare le nostre regole”.

Insomma il Qatar chiede rispetto per un cultura che però non ha rispetto per la cultura altrui. Un paradosso che trova la sua coerenza solo in certi paesi del mondo, solitamente caratterizzati da una totale assenza di diritti civili. Ma torniamo allo sportwashing: come può lo sport lavare via queste posizioni controverse? Una risposta quantomai eloquente ce la fornisce la stessa FIFA.

In queste ore si è infatti discusso molto della possibilità, per alcune nazionali, di indossare fasce da capitano arcobaleno. I capitani di Germania, Inghilterra e Galles avevano infatti espresso la volontà di manifestare a sostegno dei diritti LGBTQ+ in questo modo, dal campo. La risposta della FIFA è stata netta: chiunque indossi fasce non a norma verrà ammonito prima dell’inizio delle partite. È bastato lo spettro dell’ammonizione per dire addio agli ideali: niente fasce arcobaleno. E al loro posto? FIFA ha deciso di proporre una serie di fasce ufficiali politically correct: da “United against Racism” a “Save the planet”.

La barra di caricamento dello sportwashing del Qatar è così giunta al 99%. E il mondiale qatariota è appena cominciato. Save the Planet.

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Marco Brunasso

Scrivere è la mia passione, la musica è la mia vita e Liam Gallagher il mio Dio. Per il resto ho 30 anni e sono un musicista, cantante e autore. Qui scrivo principalmente di musica e videogame, ma mi affascina tutto ciò che ha a che fare con la creazione di mondi paralleli. 🌋From Pompei with love.🧡

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