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Caso Huawei vs USA: cosa è successo davvero? Ecco spiegato nel dettaglio

Da giorni ormai si parla del braccio di ferro tra Huawei e Stati Uniti, ma in realtà le cose sono molto più complesse di quel che appare. Dietro infatti alla decisione del Presidente Trump si nascondono motivi geopolitici ed economici. Cerchiamo quindi di fare un po’ di chiarezza.

Huawei vs USA: cosa è successo?

Partiamo dalla notizia bomba dello scorso weekend/lunedì: Google toglie la licenza per Android a Huawei.  La decisione di Google è stata presa a seguito dell’ordine esecutivo con cui Trump ha inserito Huawei in blacklist.

Le motivazioni principali – quelle pubbliche – sono due. La prima, come hanno riportato i nostri colleghi di DDay, riguarda l’arresto Meng Wanzhou, figlia del fondatore di Huawei. Meng avrebbe ingannato le banche internazionali facendo credere che due società, Skycom e Canicula, fossero del tutto indipendenti da Huawei. Le banche avrebbero così lasciato passare transazioni da centinaia di milioni di dollari in violazione alle sanzioni economiche che gli Stati Uniti avevano stabilito nei confronti dell’Iran.

Confusi Ve lo spiego subito: Huawei avrebbe rivenduto, usando le società di facciata, centinaia di computer a società di telecomunicazioni iraniane, aggirando quindi le già citate sanzioni imposte dagli USA.

La figlia del fondatore di Huawei rischia 30 anni di carcere, e secondo gli USA esistono una lunga serie di prove a suo carico. Le accuse, qui sotto uno stralcio, sono pesantissime.

Meng Wanzhou

La seconda ragione è legata alla sicurezza: Huawei infatti produce buona parte dell’infrastruttura che fornisce il 4G oggi e che fornirà il 5G domani. Questo mette la società – e la Cina in generale – in una posizione particolarmente vantaggiosa visto che, potenzialmente, potrebbero accedere ai dati di milioni di utenti

Tutto questo vi aiuta a capire una cosa importante di questa situazione. Il problema qui non è Huawei nello specifico, ma un più ampio scontro tra la Cina e gli Stati Uniti

La reale questione? Cina vs Stati Uniti

La situazione non è particolarmente nuova per un paio di motivi:

  1. storicamente la potenza emergente finisce inevitabilmente per scontrarsi con quella dominante;
  2. Huawei non è la prima azienda a subire il ban. È già capitato a ZTE, azienda cinese che però riuscì alla fine a venire a patti con l’amministrazione americana,  pagando alla fine una multa, cambiando consiglio amministrazione e subito ispezioni statunitensi. Tutto questo per arrivare ad un ban di 7 anni invece dell’esclusione permanente.

Capire a questo punto cosa sta accadendo non è troppo complesso: la Cina è in rapida ascesa in campo hi-tech mentre gli Stati Uniti cercano di mantenere il loro primato. Per ottenere il proprio obiettivo quindi i due governi fanno ciò che è in loro potere.

Trump blacklista Huawei. Huawei risponde facendo notare che gli Stati Uniti hanno bisogno di loro per creare le reti 5G perché, diciamocelo, il problema non sono gli smartphone perché negli USA già non vengono praticamente venduti. Dal canto loro le aziende americane si schierano con Trump. La Cina allora fa notare – tramite una visita ufficiale del Presidente-Imperatore alle fabbriche di terre rare – che possono sempre chiudere i rubinetti e quindi interrompere l’esportazione di questi 17 elementi chimici, elementi che servono a creare magneti, superconduttori, fibre ottiche e persino parti delle auto ibride. Il problema è che uno stop nella produzione di questi componenti coinvolgerebbe anche la Cina che, a quel punto, dovrebbe produrre tutto internamente. Una cosa possibile ma piuttosto dispendiosa e sicuramente non immediata.

Le terre rare

Insomma, siamo di fronte ad un gatto che si morde la coda, ma soprattutto ad una situazione che vede le due super-potenze strettamente interconnesse. Una soluzione drastica quindi non converrebbe a nessuno. E questo è chiaro ad entrambe le parti.

Perché allora azzuffarsi così? In realtà tutto questo, come esplicitamente dichiarato dallo stesso Trump, dovrebbe spingere le due nazioni a sedersi al tavolo per negoziare nuovi accordi economici. 

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Chi ha ragione? 

Al di là dei modi degli uni e degli altri – con il Presidente americano che ricorre alla sua innata teatralità e quello cinese che invece preferisce strategie più sottili – non c’è una parte che stia effettivamente sbagliando.

Da un lato infatti abbiamo gli Stati Uniti che hanno smosso le acque nel tentativo di raggiungere un accordo che possa in qualche modo favorire o semplificare lo sbarco delle aziende americane in Cina. Il nuovo trattato dovrebbe inoltre definire regole precise legate alla sicurezza delle telecomunicazioni. Vi ricordo che, ad oggi, non ci sono leggi in materia, quindi definire “non sicura” l’infrastruttura di Huawei non è teoricamente possibile visto che non c’è un reale metro di giudizio.

Dall’altra parte dobbiamo cercare di capire anche la Cina. Siamo di fronte ad un Paese in crescita, con un potenziale incredibile e un obiettivo da raggiungere chiamatoMade in China 2025“. No, non me lo sono inventata adesso, ma è il reale piano stabilito dal governo cinese per diventare la prima potenza economica mondiale nel mondo tech. Un traguardo assolutamente alla loro portata tra l’altro. Pensate per esempio al settore fintech:  con Alipay e WeChatPay la Cina potrebbe a breve diventare il primo Stato ad abbandonare il denaro cartaceo. Uno scenario molto diverso da quello americano ed europeo che testimonia l’inarrestabile avanzata tecnologica del Paese asiatico.

Tutto questo vi permette di comprendere una cosa importante: Huawei, ma anche Google, Intel, Qualcomm e tutte le altre aziende coinvolte sono in realtà al centro di una contrattazione più grande di loro.  Contrattazione che, attenzione, coinvolge anche l’Europa perché noi non siamo automaticamente esclusi. Diversi Paesi europei appartengono alla NATO e sono alleati degli Stati Uniti, ma intrattengono comunque rapporti commerciali con la Cina. Quindi scegliere una o l’altra parte può avere conseguenze disastrose per i membri dell’UE, motivo per cui l’Unione Europea al momento non si è ancora esposta e nemmeno i singoli Paesi. Si parla di una generale intenzione a lasciare più spazio ad altre aziende nella costruzione delle reti 5G ma in realtà non c’è nulla di confermato.

Ho uno smartphone Huawei/Honor. Cosa succede?

Una volta capito lo scenario, veniamo a noi. Avete uno smartphone Huawei o Honor. Cosa succederà? Per ora nulla.

Gli Stati Uniti hanno concesso una sospensione di 90 giorni quindi, al momento, è come se nulla fosse accaduto, almeno in teoria. Questo significa che i device verranno aggiornati e che gli smartphone che verranno immessi sul mercato entro il 19 agosto dovrebbero montare Android, a patto ovviamente che Google conceda la certificazione. 

Honor 20

Il perché del condizionale? Semplice: ad oggi l’unico device coinvolto nella questione è Honor 20 Pro, lanciato ufficialmente il 21 maggio ma al momento privo di una data d’uscita. I colleghi di HDblog hanno ipotizzato che il terminale non abbia ricevuto la già citata certificazione, cosa che ne impedisce la messa in vendita. Non chiara invece la posizione di Honor 20 che per ora troviamo sullo store ufficiale con la dicitura “Presto disponibile”.

Quello di Honor però è un unicum. Di fatto, se avete uno smartphone Huawei o lo comprerete in futuro siete al sicuro, almeno per i terminali fino al P30, l’ultimo ad avere la licenza Android. Questo significa che il dispositivo continuerà a funzionare, riceverà gli aggiornamento, avrà le app di Google e un Play Store pienamente funzionante. Insomma, potete dormire sonni tranquilli.

Meno certo l’upgrade ad Android Q, anche se, ad onor del vero, la maggior parte degli utenti non ritiene importante l’update alla nuova versione del sistema operativo.

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Il futuro con il ban

I presunti screenshot di Ark OS

Parliamo ora dello scenario peggiore: gli Stati Uniti confermano il ban e Huawei non può più usare Android.

Cosa succede ai nuovi smartphone Huawei? Semplice: useranno un nuovo sistema operativo. Da qualche tempo infatti l’azienda è al lavoro su quello che è stato battezzato Ark OS, un SO proprietario che dovrebbe arrivare nel 2020. 

Non mi dilungherò troppo sull’argomento. Potete infatti trovare qui l’articolo dedicato al sistema operativo di Huawei, sistema che dovrebbe funzionare su smartphone, tablet, smart TV e persino PC perché,  vi ricordo, che il colosso cinese produce anche quelli e che, se gli USA confermassero il ban, Microsoft potrebbe, anzi dovrebbe, non concedere le licenze a Huawei.

E il Play Store? Qui la questione è più spinosa. Da un lato infatti Huawei può sopperire alla mancanza con la sua AppGallery e, pare, con Aptoide, uno store non riconosciuto da Google che i veterani tra voi ricorderanno sicuramente. Dall’altro però molti utenti usano tutti i giorni app di Google come Gmail, Google Maps e persino YouTube. Quindi non è chiaro cosa accadrà a quest’ultime e se saranno in qualche modo installabili ed utilizzabili.

Huawei non si arrende

Il piano B di Huawei però non implica la sua resa. L’azienda è infatti passata al contrattacco e ha deciso di rivolgersi alla Corte Distrettuale Est del Texas. Insomma, Huawei ha fatto causa agli Stati Uniti dichiarando incostituzionale il divieto imposto da Washington alle aziende americane, aziende che non posso acquistare alcun genere di apparecchiatura dal colosso asiatico per motivi di sicurezza nazionale.

Tutto questo naturalmente nel tentativo di proteggere i 3 miliardi di consumatori che utilizzano i prodotti e i servizi offerti da Huawei.

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Erika Gherardi

Amante del cinema, drogata di serie TV, geek fino al midollo e videogiocatrice nell'anima. Inspiegabilmente laureata in Scienze e tecniche psicologiche e studentessa alla magistrale di Psicologia Clinica, dello Sviluppo e Neuropsicologia.

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