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Un’epidemia in World of Warcraft per studiare quelle reali

Esploriamo insieme il celebre Incidente del Corrupter Blood e le lezioni che ne abbiamo potuto trarre

Non è più un particolare sforzo di immaginazione il pensare di sperimentare in prima persona una pandemia globale. Gli epidemiologi, però, anche prima della situazione attuale hanno avuto modo di studiare e immaginare gli effetti di una epidemia, grazie a casi storici, episodi meno globali e, sorprendentemente, anche un videogioco. Oggi vogliamo quindi parlarvi dell’Incidente del Corrupted Blood, responsabile di un’epidemia all’interno del mondo di World of Warcraft (WoW) e studiato dai ricercatori come modello applicabile in parte al mondo reale.

Un’epidemia dentro World of Warcraft

Tutto è cominciato il 13 settembre 2005 con l’arrivo di nuovo aggiornamento. L’update introduceva una nuova incursione, ovvero una missione affrontabile da anche decine di giocatori per esplorare un nuovo territorio e sconfiggerne i nemici. Alla fine di questa incursione, chiamata Zul’Gurub, ai giocatori non restava che affrontare il boss finale Hakkar. Ed è qui che sono cominciati i problemi.

epidemia world of warcraft corrupted blood hakkarUno degli attacchi di Hakkar era infatti Corrupted Blood (Sangue Corrotto) ed era stato pensato per comportarsi proprio come malattia. Un giocatore contagiato da questo attacco, oltre a perdere progressivamente della vita, poteva infatti passare la malattia ad altri giocatori. Un malus quindi insidioso, ma, senza ulteriori sviluppi, comunque gestibile, visto che il decorso della malattia per un singolo giocatore è relativamente breve.

A rendere questo singolo attacco una vera e propria epidemia furono però una serie di bug e sviste che permettevano anche agli animali e ai demoni di alcuni giocatori di essere contagiati. Queste creature, infatti, se congedate da infette e poi rievocate in un altro luogo permettevano di portare la malattia anche in città luoghi di incontro. Qui, oltretutto, anche i personaggi non giocabili potevano venire infettati, senza però subire danno e trasformandosi quindi in veri e propri untori.

Epidemia virtuale, dinamiche vere

La pandemia trasformo, durante il suo breve corso, il modo di giocare di molti giocatori. Essendo l’incursione Zul’Gurub di livello avanzato, anche i danni di Corrupted Blood erano stati pensati per essere subiti da giocatori esperti. In un giocatore di livello inferiore contagiato la malattia causava invece la morte quasi istantanea. E per quanto la morte non sia permanente in WoW, si tratta di un evento che comporta comunque la perdita di denaro e disagi a livello di gioco.

Molto giocatori scelsero semplicemente di smettere di giocare fino alla risoluzione del problema, o di rifugiarsi in aree remote, di fatto praticando una specie di distanziamento sociale. Questo non fu il solo comportamento spontaneo che, successivamente, portò diversi ricercatori a studiare l’incidente. Ad esempio, i giocatori capaci di curare altre persone si impegnarono per tenere in vita le persone infette fino al decorso della malattia. Chi non aveva questi poteri si impegno comunque nell’avvertire gli altri giocatori di eventuali focolai.

Ci fu anche chi, sfruttando la non consequenzialità della pandemia, si comporto da troll, spargendo volontariamente la malattia per puro piacere caotico. Costoro furono descritti come i “terroristi di Wolrd of Warcraftda Robert Lemos del sito SecurityFocus e, per fortuna, non sembrano avere una controparte (almeno volontaria) nell’attuale pandemia reale.

Fu solo con diverse patch e il riavvio dei server da parte di Blizzard che il problema si risolse definitivamente.

Un caso da studiare

L’incidente, oltre a stravolgere momentaneamente l’estesissima comunità dietro WoW, diede una sorprendente opportunità ai ricercatori di studiare il comportamento di una popolazione durante una epidemia.

Secondo un paper, ad esempio, pubblicato nel marzo 2007 dall’epidemiologa Ran Balicer, è possibile tracciare un paragone tra Corrupted Blood e le due epidemie reali di SARS e aviaria. In tutti i casi, infatti, ci troviamo di fronte ad una malattia originatasi in un luogo remoto e poi trasportata accidentalmente in un’area più popolosa attraverso umani e animali. La presenza di NPC, che potevano infettarsi e infettare ma non erano affetti dalla malattia, è inoltre analogo alla presenza di persone asintomatiche.

Ovviamente la corrispondenza non è perfetta: trattandosi di un gioco, senza quindi conseguenze effettivamente nel mondo reale, molti giocatori furono più incuranti dei rischi legai all’epidemia. Diverse persone, come abbiamo anche visto prima, la diffusero anzi volontariamente, o si avventurarono comunque nelle aree infette per curiosità.

Forse studiare il caso di WoW non sarà la soluzione definitiva alla nostra situazione attuale (anche perché, purtroppo, non abbiamo nessun server da resettare). Ma possiamo comunque apprezzare che, sia nel gioco che nella vita reale, ci sono sempre persone disposte ad aiutare gli altri anche nel mezzo di una pandemia. E non possiamo che aspirare ad essere quel tipo di persone.

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