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12 settimane: com’è il film vincitore del Leone d’oro

“Qual è il destino di una giovane donna che si misura con un aborto clandestino?” Spesso, possiamo solo cercare di indovinare la risposta. Il senso del film vincitore del Leone d’oro alla Mostra del cinema di Venezia, 12 settimane (L’evènement), è tutto qui. Audrey Diwan adatta il libro L’evento di Annie Ernaux, dirigendo la protagonista, Anamaria Vartolomei, superba e in stato di grazia. 

Francia, 1963. Anne è una brillante studentessa con un promettente futuro davanti a sé. Tuttavia, quando resta incinta, vede svanire la possibilità di portare a termine i propri studi e sfuggire ai vincoli insiti nella sua estrazione sociale. Con l’avvicinarsi degli esami finali e la gravidanza sempre più evidente, Anne si decide ad agire, anche se deve affrontare la vergogna e il dolore, anche se deve rischiare la prigione per seguire la sua strada.

12 settimane: com’è il film vincitore del Leone d’oro

12 settimane

La scrittrice transalpina (Il posto, Gli anni, Una donna) ha descritto in maniera cruda e minuziosa la propria esperienza con l’aborto nel 1963, quando era una studentessa universitaria ventitreenne, in un’epoca in cui l’aborto era illegale in Francia. Per una donna, prima della Loi Veil, la legge del 1975 che depenalizzò l’aborto in Francia, abortire era una pratica pericolosa per molteplici fattori: chi lo praticava finiva in carcere, se avesse avuto la fortuna di sopravviverne. Chi aiutava era passibile di arresto e reclusione: ciò includeva anche i medici. 

Portare su schermo l’esperienza dell’interruzione della gravidanza, e la sua clandestinità, soprattutto in un momento in cui alcuni paesi ne compromettono la procedura e il compimento, ultimo il Texas in cui è entrata in vigore una nuova legge sull’aborto dopo sei settimane di gravidanza, non solo è importante ma diventa una scelta politica.

Audrey Diwan adatta il libro L’evento di Annie Ernaux

12 settimane

Tra medici reticenti, tabù sessuali, paura e vergogna, Audrey Diwan decide quindi di misurarsi con una storia che lascia senza fiato: “Quando ho deciso di realizzare l’adattamento di L’événement di Annie Ernaux, ho cercato di trovare il modo per catturare la natura fisica dell’esperienza, di tenere conto della dimensione corporea del percorso. La mia speranza è che l’esperienza trascenda il contesto temporale della storia e le barriere di genere. Il destino delle giovani che hanno dovuto ricorrere a questo tipo di operazioni è rischioso, insopportabile. Tutto quello che ho fatto è stato cercare la semplicità dei gesti, l’essenza che potesse veicolarlo”.

12 settimane ci traghetta nella vita di Anne, catturando l’esperienza fisica ed emotiva dell’aborto clandestino: Audrey Diwan ha avuto il coraggio di mostrarlo in tutta la sua brutale realtà, con i ferri da calza, la sonda introdotta nell’utero. Immagini così crude, inquietanti possono renderci consapevoli degli orrori perpetrati sui corpi delle donne e di cosa significa fare un passo indietro. 

Una storia che lascia senza fiato

Assieme al silenzio, alla parola aborto, mai usata nel film, al tabù, alla sua sofferenza, alla colpa, all’interruzione come sanzione, come peccato, c’è il desiderio, altro grande protagonista di 12 settimane: il desiderio ha una sua centralità all’interno della storia, il piacere carnale è qualcosa per cui Anne combatte implicitamente, qualcosa per cui viene giudicata, esclusa, stigmatizzata.

Perché l’altro grande tabù che 12 settimane tenta di spodestare sta proprio nella fisicità dei rapporti, nel piacere come atto di appagamento personale. Fare sesso liberamente per il proprio piacere è una scelta, un’azione che non si perdona a una donna, subito stigmatizzata come una puttana: lo stigma della puttana, o slut-shaming, non è altro che uno stigma di genere, e come tale vuole fungere da strumento di disciplina. 

La performance di Vartolomei è tanto determinata dagli occhi e dai movimenti di Anne quanto dalla sua rabbia per la sua mancanza di scelte. Concentrandosi tanto sul febbrile stato emotivo di Anne quanto sui drastici passi che compie, la regista trasforma 12 settimane in un thriller, in cui la protagonista è impegnata in una lotta contro la società e contro il proprio corpo. L’elemento che conferma l’ottima riuscita del lavoro di Audrey Diwan è che non sensazionalizza mai l’odissea di Anne per l’effetto drammatico, esercitando il proprio sguardo a servizio di un dramma travolgente, che diventa un urgente promemoria sui diritti delle donne.

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