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Il rapporto tra Facebook e no vax in uno studio della George Washington University

Una nuova ricerca sulla controversa questione

Se ci venisse chiesto di riassumere in due parole come è stato il 2021 per il social di punta (o ex tale) di quello che da qualche tempo è il gruppo Meta, probabilmente risponderemmo: “Povero Facebook”.

Vi abbiamo raccontato in un buon numero di articoli la complessa e destabilizzante questione dei Facebook Papers. Ossia le 10.000 pagine di dossier interni che, tramite l’ex dipendente Frances Haugen, sono apparsi prima sul Wall Street Journal e poi sulle pagine dei 17 principali giornali americani.

Ma un’altra questione controversa è stata quella del rapporto tra la piattaforma social di casa Zuckerberg e le fake news. E più nel dettaglio, tra i gruppi no vax e Facebook.

Se ci permettete la civetteria di citarci, già in un articolo di agosto avevamo ripercorso in una rapida carrellata i comportamenti del social del gruppo Meta negli ultimi mesi. E avevamo riscontrato una certa ambiguità di fondo. Come se Facebook badasse da una parte a garantire una certa qualità delle informazioni, e dall’altra a non censurare eccessivamente. Per garantire, questa la risposta ufficiale, la libertà di espressione. Anche se ai più maliziosi verrà facile insinuare che un certo tipo di disinformazione attecchisce con estrema facilità e porta grandi numeri ai social.

Facebook e i gruppi no vax

Un cospicuo sottoinsieme di bufale, negli ultimi mesi, riguarda la pandemia e la campagna vaccinale.

In questo senso, già nel luglio del 2021 il procuratore distrettuale di Washington DC ha messo sotto inchiesta Facebook. L’accusa è stata di non aver fatto il possibile per bloccare la disinformazione sulla campagna di vaccinazione anti Covid.

Negli ultimi mesi va però dato atto al social di avere rimosso in più occasioni account di persone o gruppi vicini al pensiero no vax.

Quindi qual è il rapporto tra Facebook e i no vax? Da che parte sta la piattaforma?

no vax facebook

Gruppi no vax e Facebook: lo studio della George Washington University

Prova a rispondere a queste domande un recente studio della George Washington University.

E il risultato della ricerca, va detto, è piuttosto impietoso. Secondo l’ateneo, Facebook favorirebbe la creazione di gruppi vicini al pensiero no vax. Ma come ha funzionato, e a che esiti ha portato, lo studio?

Come ha funzionato lo studio

La ricerca che ha analizzato il rapporto tra i gruppi no vax e Facebook è stata condotta da Neil Johnson, professore di fisica della George Washington University, e dal suo team di ricercatori.

Il campo d’indagine è stato ponderoso. Infatti il team ha esaminato, per tutto il 2020, la bellezza di quasi 100 milioni di utenti (su un totale mondiale di 3 miliardi), scelti tra chi ha partecipato a dibattiti sulla salute pubblica.

I ricercatori hanno agito partendo dalle comunità genitoriali tradizionali, cercando poi quelle per così dire confinanti con esse. Quelle, cioè, con cui le comunità dei genitori interagivano maggiormente. Sono quindi state studiate le modalità di interazione, e il modo in cui queste comunità sono state sottoposte a informazioni (e disinformazioni).

L’esito dello studio

La ricerca della George Washington University ha mostrato come le comunità genitoriali tradizionali sono state esposte alla disinformazione. Che proveniva essenzialmente da due canali. Quali?

Intanto, le comunità sanitarie alternative hanno avuto la funzione di raccordo tra le comunità genitoriali tradizionali e quelle che diffondono teorie della cospirazione. E quindi scie chimiche, nocività del 5G eccetera. Questo primo passo ha creato un canale, che ha permesso alla disinformazione di fluire liberamente.

Il secondo veicolo di disinformazione è quello più specifico proveniente dai gruppi no vax. Che su Facebook hanno fornito alle comunità genitoriali tradizionali una serie continua di false informazioni sulla pandemia da Covid-19 e sulla campagna vaccinale.

Tra l’altro, sia le comunità sanitarie alternative che quelle no vax non avevano numeri così grandi da poter essere intercettate dagli strumenti di moderazione del social. Ecco l’importante novità emersa dallo studio.

Facebook: l'inchiesta finale
  • Frenkel, Sheera (Autore)

Le dichiarazioni

A commentare gli esiti dello studio della George Washington University è stato Neil Johnson, a capo della ricerca.

Johnson ha detto: “Studiando i social media su una scala senza precedenti, abbiamo scoperto perché le comunità tradizionali come quelle dei genitori sono state inondate di disinformazione durante la pandemia, e da dove proviene questa disinformazione.

Il nostro studio rivela il meccanismo del tic della disinformazione online e suggerisce una strategia completamente nuova per fermarla, che potrebbe in definitiva aiutare gli sforzi della salute pubblica per controllare la diffusione di Covid-19.

I nostri risultati mettono in discussione qualsiasi approccio di moderazione che si concentri sulle comunità più grandi e quindi apparentemente più visibili, rispetto a quelle più piccole che sono meglio integrate”.

E che, come abbiamo visto, sfuggono ai controlli.

“Evidentemente”, continua Johnson, “non è possibile combattere le teorie della cospirazione online e la disinformazione senza considerare queste fonti e questi canali multicomunitari”.

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Claudio Bagnasco

Claudio Bagnasco è nato a Genova nel 1975 e dal 2013 vive a Tortolì. Ha scritto e pubblicato diversi libri, è co-fondatore e co-curatore del blog letterario Squadernauti. Prepara e corre maratone con grande passione e incrollabile lentezza. Ha raccolto parte delle sue scritture nel sito personale claudiobagnasco.com

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