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Usare Tinder: i consigli di una Princess

Dopo 6 mesi di Tinder, ecco qualche suggerimento per approcciare l'app di dating più famosa del mondo

Ebbene sì, anche le Princess usano Tinder. O perlomeno una Princess: io.
E non mi sono iscritta perché volevo fare un qualche esperimento sociale da raccontare su queste pagine. Cosa che qualcuno di voi ha pensato perché, subito dopo aver creato l’account, ho ricevuto una serie di messaggi su Instagram tipo “Ma sei tu? Farai un video? Scriverai un articolo?” insieme a “Oddio, ti hanno rubato le foto e creato un account su Tinder!”.
Invece no, nessuna Princess è stata maltrattata o obbligata ad iscriversi alla piattaforma di dating più famosa al mondo. Nell’agosto del 2021 mi sono semplicemente detta: “Ok, ho bisogno di conoscere ed interagire con persone nuove”.
Tinder mi è sembrata la soluzione più pratica.

Da quel momento sono passati 6 mesi. Di chat (tante), incontri (pochi), like elargiti con cura (sotto la media) e quiz strani che dovrebbero aiutarvi a trovare più facilmente persone che hanno i vostri stessi interessi, gusti e obiettivi. Tutto questo in due Stati perché, durante la nostra breve permanenza negli Stati Uniti per il CES, ho ben pensato di tradurre la mia biografia in inglese e provare ad usarlo.
È così che ho accumulato un po’ di esperienza e ho deciso di condividere quello con ho imparato in questi 6 mesi, dando magari spunti e suggerimenti utili a voi, che volete iscrivervi o che già usate la piattaforma.

6 mesi su Tinder: cosa ho imparato?

Quando confessate a qualcuno di esservi iscritti a Tinder la reazione tipica prevede degli ammiccamenti, delle allusioni, delle frecciatine perché nell’immaginario comune “Tinder = sesso“.
Non vi mentirò: c’è anche quello. Se l’app è associata alla classica “botta e via” un fondo di verità doveva pur esserci.
Ciao mamma!
La realtà però è un po’ più complessa di così. A dire il vero su Tinder cerchiamo un po’ di tutto: amore, sesso, amicizia, terzi incomodi, psicologi che ascoltino i nostri sfoghi gratis, dottori e avvocati “perchè non si sa mai” (e sì, questa è presa da una “bio” vera).

Tutto questo però lo notate e capite dopo, quando ormai avete iniziato ad usare l’app e a comprenderne i meccanismi. Prima di giungere a questo punto dovrete affrontare ansie, ripensamenti e mini drammi, a partire dal primo in assoluto: la fase di iscrizione.

Iniziare è facile

Oddio, forse non proprio facile. Prima è necessario autoconvincersi che sia la scelta giusta. Che è solo un’app come tante. Che è normale conoscere persone online.
In fondo, mi sono detta, ho iniziato a conoscere persone in rete quando era da sfigati. Quando eravamo le solite 30 persone in un chat di cui non ricordo nemmeno il nome. Né della chat, né delle persone.
Adesso Tinder è di moda.
Ed è seguendo questo flusso di pensiero che mi sono ritrovata, a fine agosto, con lo smartphone in mano ad attendere che l’app finisse l’installazione.

Ormai il passo più difficile l’avevo fatto. A quel punto dovevo solo iscrivermi.
“Solo”.
Non avevo considerato che c’erano delle scelte da fare. Ci sono delle foto da selezionare, 5 interessi da indicare e un’intera biografia da scrivere. Praticamente il lavoro di un pomeriggio. D’altronde non puoi selezionare immagini a caso, dovrebbero dire qualcosa di te. Non puoi nemmeno sottovalutare la biografia perché devi aiutare gli altri utenti a capire chi sei, cosa fai, magari anche cosa stai cercando perché nessuno vuole perdere tempo. E già qui avevo un grosso problema perché “conoscere persone nuove” vuol dire tutto e niente. Alla fine ho violato quella che ritenevo una regola fondamentale: dichiarare i propri intenti. Ho fatto finta di niente e sono andata oltre, ai 5 interessi che mi hanno causato un discreto mal di pancia. Cinque interessi sono pochissimi! A me piace la scienza, lo spazio, le serie tv, il cinema, i musei, i viaggi, la tecnologia, i videogiochi… L’elenco è lunghissimo. Alla fine ho scelto cose che, nella mia testa, potevano portare ad incontri interessanti e ho salvato il profilo.

La mia fissa per la bio

tinder consigli biografia

Durante questi 6 mesi ho modificato la bio 3 volte. Questo perché, con il passare del tempo, ho iniziato a sviluppare una fissa per la biografia e vi spiego perché.

Mi rendo conto che la maggior parte delle persone decida di fare swipe a destra (che vuol dire “sì, mi piaci”) o a sinistra (che vuol dire che non avete l’X-Factor) in base alle foto. Anzi, alla prima foto.
Però, se c’è una biografia da compilare… perché non lo fate?
Perché la lasciate vuota?
Perché ci scrivete dentro “Non so descrivermi”?
Cioè, siamo andati tutti a scuola. Sono sicura che, con un po’ di sforzo, un paio di frasi per dire chi siete, cosa fate e cosa state cercando possiate comporle.
Ecco, per essere chiari, non vale nemmeno scrivere “parlare di me non è il mio forte“, “se vi svelo tutto di cosa parliamo?” o“perché descrivermi quando possiamo conoscerci pian piano“.
Come faccio a sapere se abbiamo qualcosa in comune? Se sei interessante? Se vale la pena investire il mio tempo?
E lo stesso discorso possiamo applicarlo a coloro che dicono “non mi piace messaggiare, meglio vedersi subito“. Siamo tutti d’accordo che un caffè, una birra o una pizza siano meglio di una chat, ma non potete pensare che la gente decida di uscire senza avere almeno una vaga idea di cosa aspettarsi.
Scrivete qualcosa che vi rappresenti.
Diremo di esserci conosciuti in biblioteca” non dice niente di voi. Non voglio infrangere i vostri sogni ma ho letto questa frase – e le altre varianti con supermercati, librerie, musei e affini – almeno 80 volte in 6 mesi. Mi ha fatto sorridere la prima volta, ve lo confesso, ma poi ho scoperto che non era sintomo di simpatia e originalità.
Se la usano tutti, non funziona.

E poi vi prego, basta mettere l’altezza come prima e magari unica informazione. Lo capisco che per qualcuno sia rilevante ma è davvero l’unica cosa che volete dire di voi?
Aggiungere poi “con me potete mettere i tacchi” non migliora la situazione, anche perché – e qui vi svelo un segreto – non abbiamo bisogno del permesso.

Lo so, probabilmente starete pensando “ma quanto la fai lunga“. Avete ragione ma ci sono due distinti motivi per cui penso sia fondamentale avere una biografia. Il primo, ve l’ho già anticipato, è che aiuta a capire se può esserci una base comune o un interesse da approfondire. Il secondo è l’aggancio.
Fare il primo passo su Tinder può essere un incubo: non sai come iniziare, non sai cosa dire e vivi nell’ansia di non essere abbastanza originale. Senza contare che “come stai?” non è un quesito che dovreste porre su un’app di dating perché nessuno risponde onestamente a questa domanda quando a farla è uno sconosciuto. Direste mai ad una persona incontrata per strada “ho avuto una giornata terribile“, “sono stat@ male tutto il giorno pensando al/alla mi@ ex” o “ultimamente sono un po’ depress@“? Certo che no.
Qui la biografia vi salva perché potete trovare un appiglio, qualcosa che vi aiuti a fare una battuta simpatica o una domanda con cui aprire un discorso.

I primi match

A settembre ho avuto il mio primo incontro. Ed è andato male.
Ma andiamo con ordine.

I primi giorni su Tinder stento a ricordarmeli, forse perché ci vuole tempo prima di un match e, di conseguenza, prima di una vera conversazione con qualcuno. Poi succede. Un giorno, come un fulmine a ciel sereno, qualcuno ti scrive.
E non è scontato. Prendere l’iniziativa è difficile e, come vi raccontavo poco sopra, è ancora più difficile scrivere qualcosa che non sia banale. Infatti la mia prima conversazione è iniziata in modo scontatissimo, con un “Ciao Erika”.
Non proprio il più brillante degli attacchi ma, fino a quel momento, non è che io avessi fatto molto meglio. Quindi ho risposto.
Ho conosciuto così C., un fotografo con cui ho chattato parlando del più o del meno per qualche giorno. Poi è arrivato il weekend, mi ha proposto di uscire e mi sono detta “Perché no?”.

È stata una delle serate più imbarazzanti e noiose della mia vita.

In comune avevamo giusto la passione per la tecnologia, e mi sono aggrappata a quella, sperando di riuscire ad arrivare alla fine della cena il prima possibile. Eppure il tempo non passava mai e, quando la conversazione si è fatta più seria, ho iniziato a percepire un po’ di maschilismo di fondo che non ha fatto altro che irritarmi.
In quel momento ho capito che non c’era alcun futuro. Ed era colpa mia. Cioè, se ero lì, seduta in quel locale, a sentirmi dire che Tinder è come Postalmarket, era perché mi ero convinta che una chat banale potesse diventare una chiacchierata interessante. Invece no.

A dire il vero non potete dare per scontato nemmeno il contrario. Cioè, non è detto che una conversazione che a voi sembra stimolante si trasformi in un incontro soddisfacente. O in un incontro in generale.
A volte dovrete fare i conti con il ghosting, dall’inglese “to ghost” (muoversi furtivamente).

Il ghosting è la pratica di interrompere tutte le comunicazioni e i contatti con un partner o qualcuno che si sta frequentando, anche senza un apparente motivo o alcun tipo di avvertimento, ignorando completamente qualunque tentativo di contatto. (Wikipedia)

Tra i tanti doni del XXI secolo infatti c’è anche questa pratica meravigliosa che, a quanto pare, abbiamo inventato noi millennials.
Io ve lo dico: gli umani del futuro ci giudicheranno e odieranno per questo.
Penso sia una delle cose più inutili e vigliacche del pianeta.
L’ho sperimentato sulla mia pelle e l’ho trovato orribile e senza senso. Perché non dovresti spiegarmi cosa non va? O anche solo dirmi che qualcosa non va? Perché non dare alle persone l’opportunità di fare un po’ di auto-analisi? Ecco perché io ho iniziato a farlo, cioè a spiegare alle persone con cui non mi stavo trovando bene il perché. Forse non sempre con le parole giuste o il modo giusto però mi è sembrato un approccio migliore rispetto alla totale sparizione.

Lasciatevi sorprendere

Dopo 2 mesi di Tinder, il bilancio era disastroso. C’erano state delle chat, degli incontri, delle sparizioni da segnalare a Chi l’ha visto? e dei trucchi di escapologia degni di David Copperfield, ma nessun rapporto che fosse degno di questo nome.

Ad un certo punto ho pensato di gettare la spugna ma poi ho ricevuto un messaggio che, tra le altre cose, diceva: “… essendo appassionata di tecnologia devo confessare che seguo il canale YouTube da anni e ti faccio i miei complimenti”.
Non era la prima volta che qualcuno mi associava a techprincess ma questa volta l’approccio era diverso: simpatico, educato e disinteressato. Quindi ho risposto, ringraziato e avviato una conversazione che, nel giro di qualche giorno, si è spostata su Telegram.
Vedersi invece è stato più difficile. Ci abbiamo messo tre settimane a fissare un incontro. Un po’ per colpa mia e i miei piccoli problemi di ansia sociale, un po’ perché la vita si mette sempre in mezzo.  
E – questo probabilmente vi sorprenderà – non è stato meno imbarazzante di altre volte. Non importa quante ore tu abbia trascorso al telefono con qualcuno, il primo faccia a faccia è sempre strano. Si porta sempre dietro delle aspettative, delle ansie, dei dubbi più o meno giustificati.
La differenza la noti dopo, quando ti accorgi che non devi sforzarti per trovare degli argomenti di conversazione, quando ti rendi conto che c’è già della complicità di fondo, quando non passi il tempo a guardare l’orologio, quando torni a casa e pensi di volerne altri 100 di incontri così.

Quello specifico evento, che oggi è diventata un’amicizia vera, ha riequilibrato un po’ il mio rapporto con Tinder e mi ha insegnato una cosa secondo me vitale: è importante lasciarsi sorprendere. Tutti abbiamo delle speranze, una vaga idea di cosa stiamo cercando, ma è bene rimanere aperti alle possibilità.

Tinder negli Stati Uniti

Il 31 dicembre mi sono imbarcata su un volo Swiss Air.
Destinazione: CES di Las Vegas.
O meglio, atterraggio a Los Angeles per poi prendere un’auto e raggiungere la città del peccato.

Una volta fuori dall’aeroporto, mentre ero sulla navetta che mi stava portando all’autonoleggio, mi sono detta: Questa è la mia occasione per usare Tinder nel Paese in cui è nato”.
Tre ore dopo ero nella mia camera d’albergo con lo smartphone in mano, cercando di capire se ci fosse qualche differenza effettiva con l’Italia.

All’inizio ho pensato fosse tutto uguale, poi a Las Vegas ho iniziato a notare qualcosa: rispetto all’Italia il numero di madri single presenti su Tinder – alla ricerca di compagnia, amicizie incluse – è altissimo mentre sono molte meno le persone che si sono approcciate all’app perché la pandemia ha impedito loro di conoscere altra gente alla vecchia maniera. Ho avuto la sensazione che usare l’app di dating più popolare del globo fosse normale. Come scaricare Uber o ordinare su Grubhub (l’equivalente di Just Eat).

La domanda che vi starete facendo a questo punto però è un’altra: hai matchato? Moltissimo, soprattutto dopo aver tradotto la biografia in inglese. A giudicare dalle conversazioni che ho avuto, il motivo dell’interesse era un grande classico: gli stranieri – per giunta italiani – sono sempre più interessanti degli autoctoni.
Se andate all’estero, ricordatevelo.

Continuerai ad usare Tinder?

Se vi aspettate altri suggerimenti, beh… non ne ho. In realtà ci sono ancora un sacco di cose che sto cercando di imparare e comprendere. Ad esempio, perché vi iscrivete a Tinder per poi dire “Non entro molto qui, scrivetemi su Instagram?”. O ancora, perché avete account con nomi a caso e poi la bio con scritto “Mi chiamo Carlo, non Armando”? Come avete fatto a sbagliare il vostro stesso nome in fase di iscrizione?

Ed è per togliermi questi e altri dubbi che sì, continuerò ad usare Tinder.
Nonostante l’imbarazzo degli incontri, il ghosting e le conversazioni vuote, sono ancora convinta che nel 2022 sia uno strumento utile a conoscere persone nuove. E poi, se anche andasse molto male e riusciste a portarvi a casa un solo rapporto valido, non pensate che, per quella singola relazione che funziona, ne valga comunque la pena?

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Erika Gherardi

Amante del cinema, drogata di serie TV, geek fino al midollo e videogiocatrice nell'anima. Inspiegabilmente laureata in Scienze e tecniche psicologiche e studentessa alla magistrale di Psicologia Clinica, dello Sviluppo e Neuropsicologia.

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