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Il doppiaggio delle serie TV traduce una cultura, non solo i dialoghi

"Localizzare" un prodotto televisivo è un'opera complessa e mai perfetta. Ma a volte geniale.

Vi siete mai chiesti perché Willie, il giardiniere dei Simpsons, parla con l’accento sardo della campagna attorno a Nuoro mentre suona la cornamusa indossando un kilt? Le serie TV sono prodotti artistici e come tali sono immerse nella cultura di origine. Quindi non basta tradurre letteralmente i dialoghi e trovare buoni attori per il doppiaggio: le serie TV bisogna “localizzarle”, adattarle per il pubblico italiano.

Il doppiaggio di una serie TV non è qualcosa di facile, quindi non ci crogioleremo negli errori dei traduttori o nelle cattive interpretazioni dei doppiatori. Invece proveremo a vedere degli esempi di localizzazioni che hanno fatto del loro meglio per rendere godibile la serie al pubblico italiano. Sapendo che la traduzione, che sia doppiata o scritta nei sottotitoli, non può essere perfetta. Umberto Eco scrisse una raccolta di saggi sulla traduzione chiamata “Dire quasi la stessa cosa”. Questo è il meglio che possiamo aspettarci, lodando chi cerca di farlo conservando lo spirito dell’originale.

Giochi di parole intraducibili

La prima difficoltà che si incontra nel tradurre una qualsiasi opera sta nei giochi di parole. Tradurre assonanze e rime è un’opera mostruosamente difficile, tanto che si continua ancora a cercare nuovi traduttori per Omero, Dante o Shakespeare. Senza speranza di trovare la perfezione. Disney non ci ha nemmeno provato con i sottotitoli nel musical hip hop “Hamilton”.

Ci sono però degli esempi di tentativi ben riusciti. Il caso più celebre viene forse dal mondo del cinema, con Mario Maldesi che traduce Gene Wilder e Mel Brooks in “Frankenstein Junior”. Mentre si avvicinano al castello di Frankenstein nasce la confusione fra werewolf, ossia lupo mannaro, e where wolf, dove lupo. Adattata magistralmente nell’indimenticabile “Lupo ululà, castello ulilì”.

Si perde la traduzione letterale mantenendo la sonorità della frase per un risultato che è riconosciuto come migliore dell’originale!

Nelle serie TV questo è più difficile che accada. Per quanto ci sia una grande e appassionata comunità di scrittori di sottotitoli, non hanno mesi per preparare una traduzione. Ed anche i direttori del doppiaggio lavorano con ritmi serrati. E poi c’è un motivo per cui diamo premi agli sceneggiatori: non è facile trovare un gioco di parole geniale in italiano che mandi anche avanti la trama. Il risultato è spesso una disparità di tono o la rimozione in toto della battuta. Il che spiega perché ogni cosa che dice Chandler in “Friends” susciti le risate registrate, anche se in italiano la battuta scompare.

Doppiaggio dei giochi di parole nelle serie TV: Bojack Horseman

Una serie davvero splendida che si è appena conclusa (quindi attenzione per gli spoiler) è “Bojack Horseman”. Che è piena di temi profondi e momenti toccanti ma anche di battute basate su giochi di parole e versi degli animali. È il bello della serie: grave e lieve al tempo stesso. Il cast delle voci originali è grandioso ma anche quello italiano è davvero ben fatto. E le traduzioni sono in generale molto accurate. Ci sono però alcune cose che sono intraducibili. O perlomeno abbastanza complicate da tradurre da essere argomento di tesi di laurea.

bojack free churro doppiaggio serie tvAd esempio, mentre (ultimo avviso: spoiler) Bojack fa il discorso funebre per sua madre, fa questa battuta in inglese: “What’s the difference between my mother and a disruptive expulsion of germs? One’s a coughin’ fit and the other fits a coffin!”

Che tradotta letteralmente significa “Qual è la differenza fra mia madre e una dirompente espulsione di germi? Una è un eccesso di tosse, l’altra sta in una bara”. La traduzione letterale perde totalmente il gioco di parole. Quindi i traduttori l’hanno resa con: “Qual è la differenza tra mia madre e un accesso di tosse pieno di germi? Che la tosse è asinina e mia madre è una cavallina”.

Che è una battuta che ha senso ed è volutamente poco divertente come l’originale. Ma perde completamente la nozione che la madre di Bojack sia appena morta e lui stia processando la cosa.

L’ultima battuta della scena però secondo noi è tradotta alla perfezione: “What’s the difference between a first-year lit major and my mother, Beatrice Horseman? One is decently read, and the other’s a huge bitch.”

Letteralmente: “qual è la differenza fra un laureando in lettere del primo anno e mia madre, Beatrice Horseman? Uno è decentemente letterato, l’altra è una grande stronza”. In questo caso c’è un anti-battuta: ci aspettiamo che la seconda frase sia “recently dead”, recentemente morta, per fare rima. Invece Bojack sovverte la battuta, come avviene nella traduzione italiana: “Qual è la differenza tra una settimana di quattro giorni e mia madre, Beatrice Horseman? Che la prima è una settimana corta e mia madre è una gran puttana!”

In questo caso la parte importante della battuta rimane (“settimana corta” che rima con “morta”). Anche se forse il fatto che il concetto non sia stato rimarcato prima rovina un po’ la battuta.

Doppiaggio dei riferimenti alla pop culture nelle serie TV

Un altro ostacolo all’apprezzamento del doppiaggio di una serie TV straniera è che non condividiamo la cultura dei protagonisti. In alcuni casi è tanto diversa da necessitare spiegazioni: in alcune versioni internazionali degli anime giapponesi ci sono scene aggiuntive in cui si spiegano festività o leggende che nella versione originale sono ovvie a tutti.

Ma anche quando condividiamo molto della cultura di un altro Paese ci sono alcuni riferimenti che rimangono oscuri. Quando ne “La Casa di Carta” cantano Bella Ciao o Ti Amo di Umberto Tozzi capiamo al volo, quando Denver canta canzoni popolari spagnole la cosa si complica. E lo stesso vale per i Paesi anglosassoni. Tanto che a volte i traduttori esagerano nel rendere “comprensibile” il contesto culturale nel doppiaggio di una serie TV.

Nelle prime puntate di “Big Bang Theory”, per esempio, avevano tradotto i “212 friends on MySpace” di Sheldon con “210 amici nel mio sito”. Il numero può cambiare per sincronizzare meglio il dialogo con i movimenti della bocca ma il cambiamento di MySpace sembra immotivato: anche all’uscita di questa seria sapevamo cos’era un social network. Anche se MySpace non era usatissimo, sarebbe stato comprensibile. E più divertente.

Una mamma per amica

Se già “Big Bang Theory” è denso di riferimenti alla cultura pop, c’è una serie che senza dubbio surclassa tutti per numero di riferimenti al minuto. “Una mamma per amica”, in originale Gilmore Girls, ha copioni lunghi il doppio del normale, grazie ai dialoghi brillanti e alla dizione articolatissima di Lorelai e Rory. Tanto che anche la traduzione di questa serie si è meritata una sua tesi di laurea.

una mamma per amica riferimenti culturali traduzioneIl doppiaggio della serie TV ha richiesto l’adattamento di migliaia di riferimenti culturali, alcuni molto oscuri. A volte il traduttore si limita a riportare il testo, scommettendo che il riferimento sia abbastanza chiaro: “Urkel joins the Wu Tang Clan” diventa “Urkel andrà nei Wu Tang Clan”. Sperando che il pubblico abbia visto Otto Sotto un Tetto e apprezzi l’hip hop.

Altre volte rimuove completamente il riferimento: “Johnny Bravo and Spongebob Squarepants” in inglese si sono trasformati in “Quei culturisti in costume”. Che è un po’ un mix di entrambi, anche se forse avremmo preferito si conservasse.

Ma molto interessanti sono i momenti in cui il doppiaggio italiano trova un modo per spiegare il riferimento della battuta in maniera indiretta. Ad esempio, quanto Lorelai elenca cosa vorrebbe che Rory le portasse a casa, dice “Um, cotton balls, world peace, Connie Chung’s original face back”. Quindi “cotone idrofilo, la pace del mondo e la faccia originale di Connie Chung”. Ma per spiegare chi è questa giornalista in italiano Lorelai dice che vorrebbe “farsi intervistare da Connie Chung”. Mantenendo il riferimento ma perdendo la battuta sul lifting.

Tradurre un’intera cultura

Se giochi di parole e riferimenti a film, programmi TV e libri sono complicati da tradurre, la vera sfida è localizzare un’intera cultura. Di recente, il regista di “Parasite” Bong Joon Ho si era detto preoccupato che il suo film non fosse esportabile all’estero per via delle dinamiche di classe tipicamente coreane. Ma anche se alcune sfumature (la “roccia dello studente” o l’apprezzamento per le università americane, ad esempio) si sono inevitabilmente perse nella traduzione, la lotta di classe e le dinamiche familiari nel suo film sono state capite ed apprezzate. Dal pubblico e dall’Academy degli Oscar.

Ma è successo più di una volta che il doppiaggio italiano di un film o una serie TV si prendesse la briga di tradurre un’intera cultura. A volte con risultati pessimi, come nella grammatica storpiata di Mami, la schiava nutrice di Rossella in “Via col Vento”. Nell’originale, le deviazioni dall’inglese standard (come you is invece che you are) sono parte della parlata “dialettale” del sud degli Stati Uniti, non errori. Tuttavia, i traduttori si sono trovati nello scomodo ruolo di dover rendere la differenza di classe e status. Finendo per risultare ancora più “insensibili” dell’originale inglese. (Le virgolette su “insensibili” significano “razzisti”).

Nel mondo delle serie TV il caso più noto è di sicuro quello dei Simpson. L’accento scozzese, molto forte nelle orecchie anglosassoni, si è trasformato nello spigoloso accento sardo per gli italiani. Quando dopo qualche stagione si sono ritrovati a Loch Ness, Willie è dovuto tornare scozzese in tutto il resto pur mantenendo l’accento. La parlata italo-americana di Fat Tony diventa accento siciliano per Tony Ciccione (stereotipando solo una regione invece che la nazione intera). Il commissario Wiggum è irlandese, mentre Winchester è napoletano: sfruttando il fatto che nell’immaginario americano tutti i poliziotti sono irlandesi ed in quello italiano sono tutti campani. Carl, l’amico afroamericano di Homer parla veneziano perché… non lo sappiamo. Forse perché era l’unico personaggio nero nelle primissime puntate e hanno deciso di citare l’Otello?

Cambio cultura in una serie TV: La Tata

Se i Simpson vincono il premio per l’immensa varietà negli adattamenti culturali, “La Tata” vince quello per la totalità della trasposizione. Se infatti come noi vi ricordate solo il doppiaggio italiano della serie TV degli anni ’90, penserete che narri la storia di una italo-americana della Ciociaria che lavora nella casa di un famoso scrittore di musical. Invece, nella versione originale Fran (per noi Francesca) era ebrea. Mai messo piede in Italia, con ogni probabilità.

la tata doppiaggio serie tvFrancesca Cacace nell’originale era Fran Fine, nata e cresciuta a New York, non Frosinone. La zia Assunta è in realtà la madre della protagonista, Sylvia. Zio Antonio è il padre Morty e la cognata di zia Assunta si chiama Yetta anche nell’originale ma è la nonna di Fran.

Il doppiaggio in italiano della serie TV ha cancellato il più possibile i riferimenti alla cultura ebraica nello show. Le parole in yiddish sono diventate in dialetto ciociaro, i bar mitzvah sono diventati generici compleanni. Questo perché i traduttori consideravano la tradizione ebraica americana troppo lontana dal nostro vissuto e volevano che il pubblico italiano potesse comunque apprezzare la serie. E almeno sotto quel punto di vista ha funzionato: la serie ha avuto successo, anche se ogni tanto i dialoghi facevano peripezie per trasformare o ignorare quello che succedeva sullo schermo.

Anche in questo caso c’è una tesi di laurea che studia l’argomento. Che arriva a concludere che anche se “probabilmente il pubblico avrebbe compreso lo stesso i rimandi originali”, la localizzazione di questa serie “ha reso ‘La Tata’ decisamente più speciale per il pubblico italiano”.

L’adattamento: dove la traduzione non basta

Negli ultimi anni il nostro Paese ha ricominciato ad esportare serie di successo. Il successo di serie come “I Medici”, “Gomorra” e “The Young Pope” hanno portato la creatività italiana in giro per il mondo. Anche se adesso molti di questi prodotti sono stati venduti a case di produzioni straniere. Ma sono più l’eccezione che la regola. Importiamo moltissimo dall’estero, con la difficoltà nella traduzione di cui abbiamo parlato. Cosa succede allora quando la traduzione è davvero impossibile? O più semplicemente quando il “format”, il concetto di base dietro un prodotto televisivo, piace molto ma si preferisce localizzarlo stabilmente in Italia?

In alcuni casi si prende un gruppo di sceneggiatori, li si lega ad un sedia per guardare ore di TV straniera per poi invitarli con cortesia a scrivere un copione per una serie basata sull’originale ma adattata per il pubblico italiano. L’adattamento è molto più comune per i format di giochi televisivi o reality show (praticamente sono “presi in prestito” dall’estero tutti i programmi senza la voce roca di Maria De Filippi). Ma avviene molto spesso anche per le serie TV.

Un medico in famiglia” ad esempio era stata tratta da una serie TV di Telecinco, riciclando la trama principale ma cucendo i dialoghi attorno a Lino Banfi. “Camera Caffè” era originariamente un prodotto francese (il titolo è in assonanza a caméra cachée, che in francese significa telecamera nascosta). La passione per i Pooh e l’amore per l’Alfa Romeo di Paolo Bitta sono un modo per italianizzare la formula. Anche i romanissimi “Cesaroni” sono venuti dalla Spagna e si chiamavano Los Serrano.

Il caso “Skam Italia”

skam italia adattamento norvegese-minSkam nasce come web-series norvegese. Racconta la vita dei giovani adolescenti del Paese nordico ed ha avuto un successo immediato. Dimenticandosi i perbenismi classici da serie tv “teen”, parla agli adolescenti con un tono diretto e sul loro stesso livello, sospendendo il giudizio e usando l’empatia. Anche perché i protagonisti non sono i classici trentenni perfetti cui ci hanno abituato le serie americane sulla High School: sono ragazzi che parlano ad altri ragazzi. 

Ma sono ragazzi norvegesi. Se le tematiche di fondo sono le stesse (accettazione, relazioni, crescita) le dinamiche sociali sono diverse. Per questo Skam Italia, l’adattamento nostrano del format, mantiene personaggi e trame con poche differenze. Adatta invece il contesto. Nel nostro Paese ad esempio è impensabile non vedere le relazioni con i genitori per dei quindicenni, che non possono vivere da soli. Allo stesso modo le dinamiche scolastiche sono modificate per essere più simili alle esperienze degli studenti della nostra scuola pubblica.

Il risultato è una serie TV che sembra nata per l’Italia, pur avendo avuto origine lontana dal Tevere, a temperature più rigide. Parliamo del Tevere perché la serie TV è ambientata a Roma: uno dei vantaggi dell’adattamento di un format in Italia è che abbiamo la più bella città al mondo come sfondo.

Serie TV: lingua originale o doppiaggio?

Questo dibattito è molto probabilmente iniziato quando Mike Bongiorno e Pippo Baudo hanno costruito la prima televisione (è andata così, giusto?). Ma è ancora più di attualità in questo momento in cui le piattaforme in streaming permettono di godersi serie TV da tutto il mondo, sottotitolate o doppiate.

L’unica vera soluzione sarebbe imparare una decina di lingue, mettersi un monocolo e leggere e guardare i classici, come moderni Tolstoj o Beckett. Non è un’operazione alla portata di tutti: se anche avete imparato l’inglese per Stranger Things e lo spagnolo per La Casa di Carta, vi mancano il tedesco per Dark e il giapponese per i film dello studio Ghibli. E come perdersi le nostre serie asiatiche preferite? Basta sapere coreano e mandarino, per iniziare.

Qualcuno può trovare più semplice ed orecchiabile sentire il doppiaggio della serie TV in italiano. Qualcun altro preferisce dei sottotitoli molto letterali, lasciando nell’orecchio le voci originali per scoprire rime ed assonanze. Ma i riferimenti culturali resteranno vaghi o addirittura privi di significato, bisogna farsene una ragione.

Le serie TV, come ogni opera artistica, sono prodotto e specchio della cultura in cui nascono. Dobbiamo accontentarci di capire “quasi la stessa cosa”.

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Stefano Regazzi

Il battere sulla tastiera è la mia musica preferita. Nel senso che adoro scrivere, non perché ho una playlist su Spotify intitolata "Rumori da laptop": amo la tecnologia, ma non fino a quel punto! Lettore accanito, nerd da prima che andasse di moda.

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