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FIAT, le auto che hanno fatto la Storia: dagli anni ’80 ai giorni nostri

Nelll'ultimo episodio del viaggio nella Storia FIAT vediamo le tappe salienti degli ultimi 30 anni, tra grandi auto, flop e le ultime vicende

Eccoci arrivati all’ultima puntata del viaggio all’interno della Storia FIAT. Come abbiamo già potuto vedere negli altri tre episodi, la Casa automobilistica più conosciuta e diffusa del nostro Paese ne ha di storie da raccontare.
In 120 anni di storia, la Casa torinese ha affrontato diverse sfide e ha trovato moltissimi ostacoli davanti a sè.

Nei primi anni, ha lottato per la propria sopravvivenza in un mercato che del quale non si sapeva quanto sarebbe durato. Ha dato la luce alle primissime auto acquistabili dalla gente comune, dalla Balilla alla Topolino. Con il Boom Economico ha legato a doppio filo il suo nome a quello della 500, il modello più famoso, iconico e rappresentativo della sua storia. Insieme a modelli iconici come la 500, la 600 o la 127, inoltre, gli ingegneri e progettisti hanno introdotto alcuni modelli assoluto valore, e altri parecchio strani.

Nell’ultimo tratto del nostro viaggio all’interno della storia del costruttore italiano, affrontiamo l’ultima parte della Storia FIAT, dagli anni ’80 ai giorni nostri.

Le utilitarie del popolo: la Panda e la Uno

L’ultima fermata della terza parte del viaggio trattava di un’auto piuttosto speciale: la 127 Rustica, costruita negli stabilimenti Lamborghini. L’auto di base per quel progetto era la FIAT 127, l’utilitaria per eccellenza negli anni ’70. Sotto di lei, c’era la 126, erede del glorioso progetto 500, di cui riprendeva base meccanica, motore e dimensioni lillipuziane.

Alla fine degli anni ’70, però, entrambe le auto erano decisamente anziane, e soffrivano la concorrenza di auto più moderne come la Ford Fiesta, la Volkswagen Polo, la Citroèn 2CV (che continuava a riscuotere un grande successo) e le Renault 4 e 5, per citarne alcune. Così i progettisti FIAT, orfani dell’appena ritiratosi Dante Giacosa, si misero a lavoro per creare quelle che, col senno di poi, sarebbero diventate due delle auto più diffuse della Storia FIAT: la Panda e la Uno.

La Panda: se non ci fosse, bisognerebbe inventarla

Il piano della dirigenza FIAT era questo: la 126 sarebbe rimasta al suo posto alla base della gamma FIAT, con dei prezzi ancora più bassi di prima. Tra 126 e 127, invece, doveva nascere un’auto spartana, spaziosa per 4 persone, economica e praticissima.

Con questa commissione, perciò, FIAT andò da Italdesign, celebre carrozzeria di Giorgetto Giugiaro e Aldo Mantovani. Proprio Giugiaro, designer della prima Volkswagen Golf, disegnò una vettura compattissima, spartana e incredibilmente anni ’80.

Squadrata, fatta quasi con il righello piuttosto che a mano libera, è l’esempio di come la praticità possa vincere contro la bellezza fine a sè stessa.

Ogni dettaglio doveva essere prima di tutto funzionale. L’auto era circondata da uno spesso strato di plastica grezza, in modo da resistere alle botte da parcheggio. I vetri erano completamente piatti, dando all’auto un’aspetto “scatoloso” e molto simpatico, oltre che aiutare lo sfruttamento dello spazio e la visibilità in ogni direzione.

La vera rivoluzione era però all’interno. In 3,38 metri, c’era spazio per 4 persone, i relativi bagagli e un abitacolo incredibilmente minimale e funzionale.
Per cominciare, la plancia non c’era, sostituita da una tasca portatutto.
Il cruscotto si componeva di tachimetro, spie indispensabili e basta. Anche tutti i comandi necessari, come l’accensione delle luci, il riscaldamento o l’intermittenza dei tergicristalli, erano collocati su un piccolo satellite posto a fianco del cruscottino, lasciando la sola “tasca” a fare le veci della plancia.

I sedili erano semplicissimi tubi rivestiti di una spessa tela, comodi ma lavabili e super sottili.
Ogni cosa era facilmente smontabile, lavabile o riparabile: il massimo della praticità, per accompagnare gli italiani a lavoro o per la vita quotidiana.

La meccanica: rivoluzionario l’involucro, tradizionalissimo l’interno

Per quanto rivoluzionaria e diversa da tutte fuori, sulla meccanica i progettisti hanno deciso di scegliere un approccio ormai classico nella Storia FIAT: usare la collaudata meccanica delle precedenti 126 e 127.

La Progetto 141 (questo il nome “interno” della Panda) infatti ha un telaio completamente nuovo, ma i due motori proposti sono tutt’altro che inediti. La Panda 30, infatti, offre una nuova versione del bicilindrico raffreddato ad aria di derivazione 126 da 652 cm³ e 30 CV. La 45, invece, riprende il classico 903 4 cilindri di cui abbiamo parlato tante volte da 45 CV, entrambe abbinate ad un cambio manuale a 4 marce.

Dal punto di vista dell’allestimento esterno e interno, però, le due versioni erano pressochè identiche. Come distinguerle allora?
Nella prima versione, Giugiaro aveva deciso per uno stile asimmetrico della griglia anteriore, spostata da un lato. E proprio questo dettaglio distingueva le due Panda: la 30 aveva la griglia spostata lato passeggero, mentre la 45, più potente, sul lato guida.kmkmkmk mkmkmmk

E così, venne presentata all’inizio del 1980 al Presidente della Repubblica Sandro Pertini: il 5 Marzo dello stesso anno fece il suo debutto al Salone di Ginevra come Panda.

Prima auto della Storia FIAT dopo la Ritmo ad utilizzare un nome di fantasia al posto che una sigla di progetto o di cilindrata, fu subito un grandissimo successo.

Per acquistarne una, infatti, il primo anno di produzione c’era un anno intero di attesa!

La più dura di tutte: la genesi della Panda 4×4

Qui ci avviciniamo più alla leggenda che alla storia.
È corretto usare il termine “leggenda”, perchè stiamo per introdurre una delle auto più amate ancora oggi dagli italiani, e non solo, per le sue incredibili e insospettabili capacità.
Stiamo parlando, ovviamente, della Panda 4×4.

Siamo nel 1983. FIAT aveva intuito il potenziale che un’auto piccola, leggera e robusta come la Panda poteva avere in fuoristrada. Inoltre, nelle tantissime zone montane italiane, tra Alpi e Appennini, serviva proprio un’auto piccola, capace di percorrere le mulattiere alpine e di arrivare in zone molto impervie.
C’era solo un piccolo dettaglio: FIAT non aveva le conoscenze per progettare una trazione integrale. La Casa Torinese, così, decise di chiedere all’austriaca Steyr-Puch di sviluppare per loro il sistema a quattro ruote motrici per la Panda.

FIAT e Steyr-Puch avevano già lavorato insieme. La Casa austriaca, infatti, produceva su licenza le 500 e 600 per il mercato interno e per quello tedesco, proibite in Italia.
Inoltre, Steyr-Puch non era l’ultima arrivata in quanto a trazioni integrali: il Geländewagen, o Mercedes Classe G, infatti, era stato progettato in una stretta collaborazione da Mercedes e Steyr.

La Panda 4×4 definitiva: un vero fuoristrada

Il risultato del lavoro di Steyr-Puch e FIAT è incredibile.
Al posto del 903, viene montato un motore da 965 cm³ derivato da quello della Autobianchi A112, capace di 48CV.

La trazione è anteriore la maggior parte del tempo, e alla bisogna può essere attivata la trazione sulle ruote posteriori azionando una leva all’interno dell’auto.
Il cambio è a 5 marce, ed è dotata del mitico “primino”, una prima marcia cortissima che rende superflua l’installazione di marce ridotte.

Il risultato è una pressochè normale Panda su asfalto, ma un mezzo totalmente diverso appena le ruote si sporcano di fango.
Nonostante l’altezza da terra risicata (unico tallone d’Achille del Pandino 4×4), le prestazioni fuori dall’asfalto sono da lasciare a bocca aperta.

Sulla neve è imbattibile: con gomme strette, peso leggerissimo (meno di 900 kg, quasi 400 kg più leggera di un “peso piuma” come il Suzuki Jimny), quando incontra la neve diventa uno stambecco.
Ancora oggi, soprattutto in Italia, ma non solo, solo lei riesce a raggiungere i luoghi più remoti, dove un normale fuoristrada sarebbe troppo grosso e troppo poco agile.

Ci sarebbero ancora tante cose da dire sulla Panda: l’adozione del Fire, l’utilizzo nelle corse, la Panda Diesel, la Panda Elettra, la Gingo, la Panda 100 HP… Ma tranquilli, molto presto ci sarà uno speciale dedicato alla FIAT moderna più amata in occasione dei suoi 40 anni, che compierà la prossima primavera!

La Uno: la utilitaria pronta per lo spazio

Nell’opera di rinnovamento totale della gamma FIAT, anche la 127, che continuava ad essere l’auto più venduta in Italia, andava sostituita da un prodotto nuovo, moderno ed innovativo.
Così parte infatti l’idea dietro alla Uno, che però non nasce per essere una FIAT, bensì una Lancia.

La genesi: da Lancia Uno a FIAT Uno

Nel 1979, infatti, Lancia stava progettando la sostituta della Autobianchi A112 (la Casa milanese aveva uno stretto rapporto con Lancia: infatti la Y10, fuori dall’Italia, veniva venduta col marchio Lancia), sorella della 127.
Nel 1979 Gian Mario Rossignolo (personaggio salito alle cronache una decina di anni fa per l’affare De Tomaso), infatti, all’epoca a capo della direzione Lancia, commissionò a Giugiaro la progettazione di un’utilitaria moderna, giovane ed innovativa.

Giorgetto così progettò un prototipo, di cui troviamo le foto inedite pubblicate da Quattroruote qualche anno fa, che ricorda moltissimo la futura Uno.
Nei mesi successivi, però, Rossignolo, fautore di quel progetto, perse il suo posto per dei dissidi con Vittorio Ghidella, da anni presidente FIAT e uomo più influente del Gruppo.
Il suo sostituto, Umberto Agnelli, portò il progetto a Ghidella, che lo apprezzò e lo fece suo per la sostituta della 127, dando così vita alla FIAT Uno.

La Uno: rivoluzionaria nella sua semplicità

Chi di noi non ha mai visto nella propria vita una Uno? Nonostante la stretta verso le auto storiche in alcune zone d’Italia, la piccola utilitaria continua ad essere una visione comune in quasi tutte le città.
Questo non è un caso, perchè la Uno rimane ad oggi la FIAT più venduta nella storia, forte di oltre 9 milioni e mezzo di esemplari dal 1983 al 2013, numeri che la posizionano all’ottavo posto della classifica delle auto più vendute della storia.
Questa diffusione odierna non è però solo merito dei grandissimi numeri, ma anche del fatto che la Uno aveva al suo interno soluzioni davvero innovative.

Per cominciare, il telaio era completamente nuovo, il Tipo Uno, nome dal quale deriva poi il nome commerciale con cui è nota. Dal punto di vista meccanico, non ci sono grandi sorprese: lo schema sospensivo è il classico McPherson all’anteriore e ruote interconnesse al posteriore, con motore e trazione anteriori.
Le dimensioni ricalcano quelle della 127 (3,64 m di lunghezza per 1,55 m di larghezza), la la forma “a scatola” della carrozzeria, insieme all’aumento di passo, rendono la nuova Uno più spaziosa, facendo invecchiare di colpo tutte le competitor.

L’estetica, stupendamente squadrata 

Anche la linea è moderna, tipicamente anni ’80. Ogni linea è spigolosa, cubica, la coda è tronca e il frontale è occupato dal nuovo stemma FIAT a 5 barre inclinate, stilema che vedremo moltissimo su ogni FIAT degli anni ’80 e ’90. È disponibile sia a 3 che a 5 porte. La 3 porte ha una linea piuttosto dinamica, con le maniglie nascoste a filo carrozzeria, mentre la 5 porte ha un aspetto più pratico, anche se entrambe sono al top del segmento in quanto a praticità.

Anche gli interni costituivano una rivoluzione rispetto alle precedenti utilitarie FIAT e non solo.
Viene ripresa, infatti, la tasca portaoggetti della Panda, ovviamente modificata e resa più “matura”, e sono disponibili a richiesta dotazioni impensabili per le utilitarie dell’epoca, come chiusura centralizzata, vetri elettrici, radio, persino il climatizzatore.
La grande innovazione, però, era a livello di comandi.
Come possiamo vedere, infatti, l’unica levetta presente è quella delle frecce. Tutti gli altri comandi, infatti, sono stati spostati su due praticissimi satelliti attorno alla strumentazione, anch’essa molto moderna. Questo accorgimento permetteva di azionare gran parte dei comandi più importanti senza mai togliere le mani dal volante.

La costruzione e il lancio: incredibili innovazioni per la storia FIAT

Ciò che è davvero innovativo, però, è la costruzione.
Per far fronte ai 450 mila esemplari all’anno previsti, infatti, FIAT dota le fabbriche di Rivalta e Mirafiori (entrambe a Torino) di nuovissimi robot per assemblaggio e verniciatura. Anche l’auto viene parzialmente progettata con l’uso dei computer, e questo grande dispendio di tecnologia porta FIAT a scegliere una location davvero particolare per il lancio.

Il 19 gennaio del 1983, infatti, la nuova FIAT Uno fa il suo debutto ufficiale a Cape Canaveral, base della NASA, circondata da space shuttle e razzi spaziali, in uno dei primi lanci internazionali fatti fuori dall’Italia.
Fu una vera e propria rivoluzione: la Uno piaceva, tanto, a tutti.
Vinse, infatti, il titolo di Auto dell’Anno nel 1984, e raggiunse record di vendite in tutta Europa.

Ultimo ambito in cui la Uno fu rivoluzionaria fu la comunicazione.
Il reparto marketing di FIAT, infatti, chiese aiuto al celebre disegnatore Giorgio Forattini, che con i suoi (splendidi a mio parere) disegni diede vita a dei neologismi che definivano la Uno, e che oggi sono entrati nella lingua parlata, come “comodosa”, “risparmiosa” o “sciccosa”.

La Uno Turbo: la prima Hot Hatch della Storia FIAT

Le motorizzazioni, all’inizio della produzione, furono invece piuttosto classiche.
C’erano, infatti, la Uno 45 alla base della gamma, dotata del classico 903 da 45 CV montato anche sulla Panda. Un gradino più su c’era la Uno 55, dotata di un 1.1 da 56 CV derivato dalla Ritmo e la Uno 70, dotata di un 1.3 da 65CV anch’esso di derivazione Ritmo.
Era presente anche la Uno D, dotata del 1.3 diesel da 45CV, lo stesso della 127D.
Nel 1985, però, arrivò la versione più amata e desiderata della Uno: la Uno Turbo i.e, la prima Hot Hatch della Storia FIAT.

FIAT ha sempre fatto versioni sportive delle sue utilitarie, come la 127 Sport, capace di 70 CV. Qui, però, l’asticella si alza parecchio.
Le rivali, soprattutto quelle francesi, infatti, avevano alzato di molto il livello della competizione. La Peugeot 205 GTI e la Renault 5 GT Turbo lanciate poco prima stavano riscontrando un grande successo tra i giovani e gli appassionati.
FIAT non vuole farsi trovare impreparata, e adotta per la prima volta nella Storia FIAT un motore Turbo su una utilitaria.
Più precisamente, è derivato dal 1301 della Uno 70, ma, ovviamente, qui è dotato di una turbina IHI VL2, iniezione elettronica Bosch LE-Jetronic, intercooler aria-aria e modifiche a testata, cilindri e cambio.
Il risultato è un motore da 105 CV e 147 Nm di coppia, capace di sparare i 900 kg scarsi della piccola FIAT da 0 a 100 km/h in meno di 8,3 secondi e ad una velocità massima di 205 km/h.

Come guida, la Uno non era al livello delle rivali francesi. Le piccole francesine, soprattutto la 205 GTI, avevano un telaio raffinato, una precisione di guida notevole e un coinvolgimento incredibile.
La Uno, invece, era scorbutica, poco precisa in curva e con un retrotreno piuttosto disconnesso dal resto dell’auto. Il motore, però, era molto più fluido nel funzionamento, più cattivo, con un turbo lag tanto grande quanto emozionante e incredibilimente più parco nei consumi, rendendo la piccola Uno imbattibile in linea retta e una bella compagna nella vita di tutti i giorni.

L’introduzione del motore FIRE: il motore fatto dai computer

Nello stesso anno, il 1985, inoltre, c’è stato il debutto di un motore che avrebbe fatto e ancora fa la Storia FIAT: il mitico FIRE.

Non lo scrivo maiuscolo perchè voglio dargli importanza.
Il nome, infatti, non rappresenta il fatto che sia “potente come il fuoco (?)”.
FIRE è un acronimo, che sta per Fully Integrated Robotized Engine, ovvero il primo motore progettato interamente da computer.
Questo sviluppo ha portato a vari vantaggi. Per prima cosa, una precisione infinitamente superiore per quanto riguarda i calcoli per le varie dimensioni, tolleranze, giochi et similia. Inotre, il FIRE ha pochissime parti mobili, molte meno del vecchio Serie 100, rendendolo più affidabile, robusto, silenzioso e leggero.
Inoltre, a parità di cilindrata, riesce, grazie ad un disegno particolare di camera di scoppio e testata, ad avere una combustione “magra”. La benzina iniettata nella camera di scoppio, cioè, è minore rispetto ad altri motori, migliorando i consumi di carburante, senza però limitare eccessivamente la potenza.

L’ultima “genialata” di questo motore è la risoluzione ad un problema molto diffuso in Italia, ovvero la scarsa manutenzione.
Il motore FIRE, infatti, nel caso in cui si rompesse la cinghia di distribuzione durante la marcia, grazie ad un particolare posizionamento delle valvole evita la distruzione di queste all’interno della camera di combustione, permettendo di salvare il motore!

Sulla Uno ha fatto il suo debutto come un 999 cm³ da 45 CV, anche se l’auto con cui ha debuttato è la Autobianchi Y10, sorella “bene” della Panda. Tramite varie modifiche, aggiornamenti e aggiunte tecnologiche, possiamo trovare il FIRE ancora sotto il cofano delle FIAT Panda e 500 in versione 1242 cm³ e 69 CV o in versione Turbo (il T-Jet) sulla Abarth 595, e in altre versioni (1.4 aspirato, 1.4 Turbo GPL,…) su altre FIAT, Lancia e Alfa Romeo ancora oggi in listino, quasi 35 dopo il suo debutto!
Ora, da qui a pochi anni, verrà sostituito da suo “figlio”, il FireFly, che riprende la base del mitico FIRE ma lo modernizza ulteriormente. Il FIRE, però, rimane uno dei motori più amati e longevi della Storia FIAT.

Il restyling e la seconda vita italiana

Torniamo però alla nostra Uno.
Dopo averla lasciata nel 1985 la riprendiamo nel 1989.
Dopo 5 anni dalla sua uscita, continua a mietere successi.
Seconda auto più venduta in Italia, dopo la Panda, bestseller nel suo segmento in tutta Europa.

Uno dei motori più venduti, inoltre, è il Turbo D. Esteticamente riprende alcuni stilemi della Turbo a benzina come paraurti sportivi e accenno di spoiler posteriore, ma è tra le prime utilitarie turbodiesel di sempre.
Monta, infatti, il 1.3 della Uno D dotato di turbina Garrett e capace di 70 CV, uno 0-100 in poco più di 13 secondi e consumi bassissimi, nell’ordine dei 22/23 km/l.
Nell’89, però, arriva un restyling che la modernizza, rendendola però un po’ più tradizionale.
Spariscono i satelliti intorno al volante, la tasca portaoggetti e l’estetica viene uniformata a quella della Tipo, uscita un anno prima. Viene, infatti, chiamata da molti “Tipino”, per riconoscerla dalla prima serie.
Tutti i motori vengono progressivamente ammodernati, portati alle normative Euro 1 fino al 1995, anno in cui la Uno lascia il testimone alla sua sostituta, la Punto (176) uscita nel 1993, un’altro incredibile successo di vendite e di critica nella Storia FIAT.

La sua vita però non finisce qui. La Uno, infatti, continuerà ad essere venduta con il marchio Innocenti con il nome di Mille e Mille Clip fino al 1997.
La differenza nelle due stava nel sito produttivo. La Mille Clip, infatti, era prodotta in Polonia, mentre la Mille era la versione brasiliana della Uno, venduta dal 1986 in Italia come Uno CS.

La terza vita: la Uno Mille in Brasile

Come detto, la Uno ebbe una lunga vita in Brasile.
Va detto, però, che non era davvero una Uno. Infatti riprendeva quasi identico il telaio e la meccanica della FIAT 147, versione della 127 derivata a sua volta dalla 128. Un telaio completamente diverso, con una diversa sospensione posteriore, dimensioni leggermente differenti e un motore più antiquato, un 1.1 da 58 CV.
In pratica, si trattava di un’auto diversa ma “vestita” da Uno, riconoscibile per il cofano “a coperchio”, che sfocia nei paraurti laterali.

Questa versione semplificata, però, ha un buon riscontro in Italia per il prezzo davvero competitivo, mentre in Sud America è un successo stratosferico.
Dopo la dismissione della Uno dai mercati europei nel 1997, infatti, la Uno, ribattezzata Mille, viene aggiornata per i mercati sudamericani. Viene usato un 1.0 FIRE adatto anche all’etanolo E85, e viene aggiornata a livello di dotazioni e finiture, riuscendo a vendere centinaia di migliaia di unità all’anno fino al 2013.
Alla fine di quest’anno, infatti, in Brasile sarà vietato produrre auto senza airbag o ABS, rendendo antieconomico e senza senso l’ulteriore aggiornamento della Mille.

Nasce così la Grazie Mille, versione celebrativa per la fine del modello, con loghi e grafiche specifiche e prodotta in un numero limitato di esemplari.
La Uno così finisce la sua vita industriale nel 2013, dopo più di 9 milioni e mezzo di esemplari venduti.
La metà di questi furono venduti in Sud America, continente del quale diventa un simbolo motoristico.

La Uno/Mille non è stata l’unica auto “uccisa” da queste normative. Anche il celebre Volkswagen Transporter T2, prodotto fin dagli anni ’50, ha cessato la produzione nel 2013, dopo più di 60 anni di onorata carriera.

La sportività degli anni ’90: le barchetta e Coupè

Nel 1995, la FIAT rimase orfana di uno dei suoi prodotti più amati, la Uno.
Però i suoi successi, uniti a quelli della Panda e di altri modelli riusciti come Tipo, Y10 (Autobianchi) e Alfa Romeo 164, Lancia Thema e FIAT Croma resero FIAT il maggior costruttore europeo alla fine degli anni ’80, superando proprio la Volkswagen.

Sull’onda di quei successi, negli anni ’90 FIAT ritornò a produrre dei modelli puramente emozionali, in un decennio dove le emozioni contavano.
Nacquero in questo clima, infatti, la barchetta e la Coupè, l’ultima cabrio e l’ultima coupè 100% made in FIAT.

La barchetta: la spider anti-MX5

Come abbiamo visto nelle puntate precedenti, FIAT ha prodotto spider di successo, la cui maggiore esponente è stata la 124 Spider.
La celebre scoperta venne prodotta da Pininfarina fino al 1985, ma uscì dai listini FIAT molto prima, nel 1975.
Nel 1995, quindi, erano ben 20 anni che non compariva una vera spider sportiva.

Negli anni ’90, oltre ai successi di FIAT, erano da registrare i successi delle auto sportive. Coupè piccole e grandi, spider, versioni sportive, ogni Casa aveva le sue auto emozionali, e FIAT, ovviamente, non fu da meno.
Fu in questo clima di reinnamoramento per l’auto che nacque l’idea di fare una piccola spider sportiva, l’anti-Mazda MX-5 all’italiana.
FIAT, però, non aveva intenzione di creare un telaio ad hoc per la sua piccola spider, così pensò bene di dotarla del telaio accorciato, irrigidito e migliorato della Punto, uscita nel 1993.
Lo stile, invece, fu assegnato ad Andreas Zapatinas, istrionico designer greco che ha proprio nella barchetta il suo capolavoro.
Nel 1995, quindi, fu pronta la barchetta, rigorosamente da scrivere minuscolo, come recita la targhetta interna.

La meccanica: divertente nonostante la trazione “dalla parte sbagliata”

L’approccio di FIAT fu diverso da quello della rivale Mazda. La barchetta, infatti, era a trazione anteriore e motore longitudinale, uno schema meccanico non particolarmente emozionante e distante dalla trazione posteriore della MX-5.
Anche la ripartizione dei pesi era sbilanciata verso l’anteriore, 65/35, quindi riuscire a fare un’auto divertente da guidare con queste premesse non era facile.
La barchetta però, complice il passo corto e una marcata tendenza al sovrasterzo in rilascio, divertente lo era eccome, grazie anche al 1.8 Pratola Serra, un motore 4 cilindri da 130 CV con variatore di fase in aspirazione, capace di spingerla da 0 a 100 in 8,3 secondi, tirare fino a più di 7000 giri e dare un gran divertimento di guida, nonostante la trazione “sbagliata”.

L’estetica: semplicissima, ma bellissima

Uno dei motivi che, però, spingevano a comprare la barchetta era sicuramente il fattore estetico.

Nonostante il design sia un fattore soggettivo, è innegabile come le linee di Zapatinas siano davvero armoniose, semplici ed eleganti. Il muso dolce ma aggressivo, le maniglie nascoste e il posteriore discendente la rendono ancora oggi un riferimento in quanto ad estetica.

Tra l’altro, lo stile fu oggetto di una sfida tra Chris Bangle e lo stesso Zapatinas.
I due deisgner, infatti, si sfidarono a disegnare la barchetta, entrambi a modo loro, dando ai due prototipi i nomi di due famose pizze.
Zapatinas “sfornò” la Marinara, versione molto simile alla barchetta definitiva, mentre Bangle ideò la Diavola, una spider molto simile nelle forme alla sua Coupè, di cui parleremo più tardi.
Come noto, venne scelta la Marinara, con Zapatinas promosso a responsabile del progetto.

Gli interni: colorati e divertenti

Anche l’interno non scherza.

La fascia color carrozzeria interna la rende gioiosa e divertente, e la strumentazione retrò con un font che ricorda da vicino quello della 124 Spider mette al centro il contagiri, con fondoscala a 9000 giri, e linea rossa a 7000.
Era anche piuttosto spaziosa e pratica, e questo le regalò un grande successo: furono infatti 53.000 le barchetta prodotte, di cui gran parte nei primi anni di produzione.
Nel 2002 e nel 2005, infatti, FIAT introdusse due restyling che, a mio parere, appesantirono la linea, eliminando quella dolcezza dei disegni di Zapatinas.

Fun fact: uno dei mercati in cui la barchetta fu più amata fu quello inglese, da sempre amante delle spider. Il problema è che FIAT non produsse mai una versione con guida a destra della barchetta, proponendola anche in UK con guida a sinistra. Questo, però, non fermò le vendite, che nel Regno Unito raggiunsero ottime quote.

La Coupè: la FIAT che dava del filo da torcere alle Porsche

Nello stesso clima di amore per le auto sportive, FIAT pensò di creare qualcosa che dai listini mancava da più di 20 anni.
L’ultima coupè sportiva della Storia FIAT, infatti, fu la splendida FIAT Dino, di cui abbiamo parlato nello scorso episodio.
L’idea di ributtarsi in un mercato così di nicchia veniva anche dall’abbondanza di motori potenti e telai capaci di sopportare alte potenze, provenienti dalle sorelle Lancia e Alfa Romeo.

Viene usato, infatti, come base il telaio Tipo Due, uno dei telai più versatili di sempre.
Progettato alla radice con un occhio alla sportività, era infatti a suo agio sia sulle medie come la Tipo ma anche su berline sportive come la Alfa Romeo 155 e su coupè come l’Alfa Romeo GTV (916).

FIAT, allora, pensa bene di sfruttare questa ottima piattaforma (che ovviamente ha i suoi limiti, mica è perfetta!) e di riportare una coupè nel suo listino. Nasce così, nel febbraio del 1994, un’auto con un nome decisamente eloquente: la Fiat Coupè.

Il design: l’unica opera di Chris Bangle in FIAT

Le FIAT degli ultimi 20 anni avevano una cosa in comune: erano tutte carine, ma conservative e classiche.
Nel Gruppo, però, arriva un giovane designer statunitense che tutto è tranne che conservativo: Chris Bangle.
Non tutti sanno che il disegnatore, diventato famoso per lo stile di tutte le BMW degli anni ’00, ha iniziato proprio in FIAT, e la Coupè è la sua unica opera che ha raggiunto la produzione nel suo periodo italiano.

Le linee della Coupè, com’è da aspettarsi da Bangle, sono tutt’altro che conservative.
Tese, movimentate, che riprendono il passato in alcuni punti, come nei fari posteriori e nel tappo del serbatoio in metallo, ma che stupiscono e lasciano di stucco in altri.
È il caso dei “tagli” all’altezza dei passaruota, dettaglio che divide da sempre gli appassionati, e il cofano che ingloba totalmente ogni componente del frontale, fari compresi.

Anche gli interni, disegati da Pininfarina, erano di grande effetto, e vengono ricordati ancora oggi come un esempio di interni con carattere e personalità all’interno del grigiore delle auto moderne.

Piace tanto, ma divide altrettanto. C’è da dire che, per quanto strana e disturbante possa essere, la linea della Coupè è invecchiata piuttosto bene a mio parere, soprattutto nel frontale, e che uno stile così audace rimarrà nella storia di un marchio solitamente conservatore come ci insegna la storia FIAT.

La meccanica: soluzioni interessanti, piacevole e stabile

La nomea della FIAT Coupè è quella di essere una versione vitaminizzata di una Uno Turbo: veloce in rettilineo, goffa in curva.
La realtà, però, è diversa.

La Coupè, infatti, non ha un telaio rigidissimo, uno sterzo millimetrico e delle sospensioni perfette, ma è molto capace quando si arriva in un tratto misto.
Il passo mediamente corto (2500 mm) la rende molto agile e maneggevole, riuscendo a mascherare il peso dei motori usati, gravante tutto sull’asse anteriore.

Le sospensioni sono di buon livello, McPherson all’anteriore e ruote indipendenti a bracci tirati al posteriore.
Sulle versioni più potenti era presente un particolare e inusuale differenziale anteriore a giunto viscoso Ferguson. Questo non raggiunse mai le qualità di un equivalente differenziale autobloccante, ma riuscì bene a limitare il sottosterzo dovuto alla grande cavalleria.

I motori: 4 e 5 cilindri per prestazioni da urlo

I motori infatti erano davvero notevoli.
Nei primi anni di produzione, erano tutti 4 cilindri: i 2.0 aspirato da 139 CV e 2.0 Turbo da 190, entrambi provenienti dalla produzione Lancia. Venne aggiunto poco dopo il 1.8 da 130 CV della barchetta, ma nel 1996 arrivarno i pezzi grossi: i 5 cilindri Pratola Serra, parte importante della Storia FIAT.
Questi motori, entrambi 2.0, erano proposti in versione aspirata da 147 CV e in versione Turbo da 220 CV, rendendo la Coupè la più potente auto FIAT mai prodotta.

Nelle versioni Plus, dotate di pneumatici e freni maggiorati, giunto viscoso, e cambio a 6 marce riusciva ad andare da 0 a 100 km/h in 6.3 secondi e di superare di slancio i 250 km/h, rendendola l’auto di serie più veloce della storia FIAT, una delle trazioni anteriori più veloci dell’epoca, capace di rivaleggiare ad armi pari con Porsche e Ferrari. Il tutto con un sound emozionante, unico, che solo i 5 cilindri sanno dare.

La sua storia finì presto, nel 2000 dopo ben 72.000 esemplari, per impossibilità di aggiornarla alle ultime normative di sicurezza e di emissioni.
Dalla sua uscita, non ha avuto eredi, che sembrano sempre più lontane all’orizzonte.
Rimane così l’auto a marchio FIAT più veloce di sempre, l’ultima coupè della Storia FIAT.

La Multipla: sarete belli voi!

Negli stessi anni in cui barchetta e Coupè venivano apprezzate in tutta Europa, a Torino preparavano il lancio di una delle auto più controverse della storia FIAT, ma anche una delle più amate. Siamo parlando, ovviamente, della FIAT Multipla.

L’estetica, la più controversa della Storia FIAT: è davvero così brutta?

Prima di parlare delle sue indiscusse doti, scopriamo l’elefante nella stanza, l’estetica.

La Multipla è un’auto che divide tra chi la ama e chi la disprezza per un’estetica che definirei “difficile”.
Ogni elemento è funzionale, nulla è stato posto per puro design.
Il suo designer è Roberto Giolito, al suo primo lavoro in FIAT.
Giolito sarà poi tra i designer più apprezzati del panorama internazionale per il suo secondo prodotto, la 500, riconosciuta come una delle auto moderne più riuscite dal punto di vista estetico.
Al contrario della 500, però, la Multipla viene ancora criticata moltissimo.
Una delle parti meno apprezzate dell’auto è lo “scalino” anteriore, che divide fisicamente la carrozzeria dalla zona dell’abitacolo. Questa soluzione è sicuramente strana, ma regala una grandissima visibilità e spettro di visione da parte del conducente.

Anche gli specchietti di generosissime dimensioni, così come i vetri, enormi su tutti i lati, hanno un unico scopo. Rendere gli interni ariosi, luminosi e più spaziosi possibili.

Gli interni: praticità in ogni angolo

Anche dentro la Multipla è piuttosto strana: 6 sedili in due file da 3, cambio rialzato sulla plancia, portaoggetti ovunque. È un inno alla praticità, ma senza dubbio regala soluzioni decisamente inusuali, come la console centrale…

Come detto, lo stile divide ancora oggi, ma al suo lancio fu davvero controversa.
Molti la amarono: il MoMa di New York, ad esempio, la inserì tra le sue opere d’arte per l’intero 1999, vinse diversi premi e persino Top Gear la insignì del titolo di “Car Of The Year” 1998.
Altri, però, non la capirono molto: il Time infatti l’ha inserita tra le 50 auto peggiori del XX secolo…
Di certo, è un’auto interessante, diversa, originale e che non lascia interdetti, che piaccia oppure no.

Lo sfruttamento degli spazi: ancora oggi imbattibile

Ciò che però mette d’accordo tutti riguardo alla Multipla è il suo incredibile spazio interno.

Molti non se ne rendono conto, ma la Multipla è lunga meno di 4 metri, e larga ben 1,87 m, più di alcune sportive! In questo spazio è in grado di offrire 6 sedili singoli e completamente regolabili, moltissimo spazio per le gambe e per la testa e un bagagliaio di almeno 430 litri.
I montanti laterali sono perfettamente dritti, consentendo di ricavare ancora più spazio per i passeggeri più esterni, e il pavimento era completamente piatto: perfetto per spostare tutti i sedili e sfruttarla anche come un piccolo furgone.

Non era dotata di grandi optional, ma aveva tutto il necessario. Autoradio, climatizzatore, vetri elettrici, chiusura centralizzata, cerchi in lega e tetto apribile nelle versioni più ricche, per arrivare alla chicca: un frigo al posto del sedile anteriore centrale, oggi introvabile. Poco, con gli occhi di oggi, ma il giusto, per gli occhi dei primi anni 2000.

La meccanica e la guida: sorprendentemente piacevole (ma lenta)

Ovviamente, la Multipla non nasceva come auto sportiva ed emozionale, anzi, il suo scopo era tutto un altro.
Questa strana base meccanica, così larga e stretta, però, le regalava un buon comportamento stradale.
Il telaio è stato creato quasi ad hoc, è rigido a sufficienza e nonostante l’altezza della seduta da terra le sospensioni, lo sterzo e il telaio regalano un ottimo comportamento su strada.

I motori però erano tutti abbastanza fiacchi. Il migliore per versatilità era senza dubbio il 1.9 JTD turbodiesel da 105 CV (poi aggiornato a 110 e 116 CV nel corso del tempo).

C’era anche un benzina, un classico 1.6 4 cilindri da 103 CV, disponibile anche in versione bipower a benzina/metano, Gpower benzina/GPL e blupower, ad alimentazione esclusivamente a metano, depotenziato a 95 CV.

Nonostante la sua estetica difficile, la Multipla vendette tanto, e nel 2004 venne sostituita dalla seconda serie.
Questa esteticamente si uniformò alle altre FIAT, soprattutto alla Idea, perdendo quella personalità unica, ma rimanendo impareggiabile negli spazi interni.

Merito delle vendite la ebbero anche le campagne pubblicitarie geniali del reparto marketing FIAT, come “Sarete belli voi” o “Non si può piacere a tutti“, per giustificare l’estetica… difficile della Multipla.

La Stilo: contenuti d’avanguardia, nel periodo sbagliato

L’ultima auto di cui parleremo nel dettaglio oggi è un’auto poco capita, poco amata e spesso bistrattata nella Storia FIAT, ovvero la Stilo.
La Stilo arrivò nel 2001, in un periodo davvero cruciale per la Casa torinese, dove l’egemonia degli anni ’90 stava lentamente scomparendo.
L’arrivo delle Case giapponesi e coreane stava minando il duopolio VW-FIAT, ed entrambe necessitavano di alzare l’asticella per rimanere al top.

Volkswagen produsse la Golf IV, una delle Golf più apprezzate di sempre per robustezza e qualità.
La Golf Mk4 era una evoluzione delle altre Golf precedenti, e un rafforzamento delle tecnologie già esistenti, come quella del TDI.

FIAT, invece, fece qualcosa di totalmente diverso.
Con la Stilo, infatti, rischiò. Introdusse tecnologie nuove, innovative e mai viste prima nel segmento, tentando di proporsi come riferimento per la tecnologia.
Come vedremo insieme, però, non andò tutto secondo i piani.

L’estetica: troppo tedesca, troppo poco italiana

Con la Bravo, FIAT si prese i soliti complimenti per la linea, più sportiva e movimentata rispetto alle rivali, ma anche la solita etichetta “tutta estetica e niente contenuti”.

Con la Stilo, FIAT cambiò registro: scelse un approccio molto tedesco, conservativo, più serioso e rigoroso.
Il Centro Stile creò due Stilo differenti: la 3 porte, più sportiva e slanciata, e la 5 porte, più alta e spaziosa.
La differenza di altezza tra la 3 e la 5 porte era di diversi centimetri, rendendole due auto quasi diverse dal punto di vista estetico.

Gli interni seguivano lo stesso andazzo: meno estro, più rigorosità e solidità.
Le differenze estetiche all’interno tra 3 e 5 porte erano quasi inesistenti, mentre a livello di spazio la differenza a favore della 5 porte era decisamente marcata.
A livello di spazio interno, la Stilo era piuttosto corta (4,18 m), ma decisamente più spaziosa della media: 355 litri di bagagliaio, superiore a molte rivali.

La tecnologia: incredibilmente avanti, la più avanti della Storia FIAT

Dove spiccava però era nella dotazione tecnologica.
Era, infatti, una delle auto più tecnologiche della Storia FIAT, in alcuni aspetti ancora ineguagliata.
È stata, infatti, tra le prime auto medie ad avere lo sterzo ad assistenza elettrica, con la famosa modalità CITY per alleggerirlo in città.

Come dotazione di serie, la Stilo era piuttosto scarna, ma c’era tutto il necessario: radio CD, climatizzatore, vetri elettrici anteriori, chiusura centralizzata.
Negli allestimenti più ricchi, però, la Stilo dava davvero qualcosa in più.
Era disponibile infatti un modernissimo sistema di navigazione con connessione telefonica GSM, ESP, sedili in pelle, elettrici e con memorie.

Era inoltre disponibile a richiesta il tetto Sky Window, apribile con delle “persiane” molto particolari, avviamento keyless, cruise control con radar e, nelle versioni 2.4 20v e Abarth, un computer di bordo a colori con schermo ad alta risoluzione.
Quest’ultima, infine, era disponibile solo con cambio manuale robotizzato Selespeed, un cambio modernissimo all’epoca, ma che nel tempo si è rivelato meno valido e affidabile delle aspettative.

La meccanica: un po’ sottotono

La meccanica della Stilo, però, prestava il fianco ad alcune critiche.
Alla base della gamma c’era il 1.2 FIRE 16v da 80 CV, sottodimensionato per la mole della vettura.
Sopra di lui, troviamo due 1.6: il primo è lo stesso Torque della Multipla da 103 CV, sostituito poi da un motore Ecotec di origine Opel da 105 CV.
Al top della gamma troviamo il 1.8 16v della barchetta da 133 CV e, in versione Abarth, il 2.4 aspirato 5 cilindri da 170CV ripreso dalla Lancia K.

Questi motori non erano per nulla male, ma la Stilo era piuttosto pesante, e quindi tutti questi motori risultavano piuttosto fiacchi. Anche in quanto a guidabilità, sterzo e sospensioni non erano al top del segmento, dove svettavano Ford Focus e Seat Leon, e anche la Abarth non “pungeva” molto, nonostante un sound fantastico.

Per celebrare le 5 vittorie consecutive del Campionato Piloti di F1 di Michael Schumacher alla guida della Ferrari, FIAT creò la Stilo Abarth Schumacher GP, una versione pressochè standard della Stilo Abarth, sempre con 170 CV. Una era però la grande novità: era infatti proposta con un cambio manuale a 5 marce in luogo del Selespeed, modifica poi estesa a tutta la gamma Abarth.

Molto meglio la situazione sui diesel.
C’era un unico motore, il 1.9 JTD, declinato in diverse potenze e poi “aggiornato” alla tecnologia MultiJet common rail brevettata da FIAT.
Questo motore è ricordato come uno dei migliori diesel degli anni 2000, e rendeva la Stilo molto brillante, quasi più della Abarth nelle versioni da 140 e 150 CV.

 

Un’ottima auto, arrivata nel momento sbagliato

La Stilo, nei primi anni di produzione, ha peccato di alcuni difetti e problemi derivanti dalla tecnologia completamente nuova che portava avanti. Questi problemi sono poi stati risolti in fretta da FIAT, ma c’era un problema che la dirigenza non poteva risolvere.

La clientela, infatti, degli anni 2000 era molto diversa da quella odierna.
Oggi apprezziamo la sempre maggiore interazione della tecnologia in auto. In quegli anni invece gli acquirenti volevano un’auto concreta ed affidabile, con meno fronzoli possibili oltre a quelli strettamente necessari.
In un mercato del genere, la Stilo era notevolmente indebolita, poichè era un vero e proprio concentrato di nuove tecnologie.

FIAT corse ai ripari, proponendo versioni più semplici anche nelle versioni più potenti, e così riuscì a limitare i danni.
Questo, però, non risolse del tutto la situazione.

La Stilo, infatti, venne sostituita nel 2007 dalla nuova Bravo, basata sullo stesso pianale, e la Stilo venne prodotta ancora fino al 2010 in Brasile.
Le vendite sottotono (seppur non disastrose) non riuscirono a coprire gli ingenti investimenti affrontati, che finì con la perdita di più di 2000 euro per ogni Stilo venduta, una delle uniche volte nella lunga storia FIAT.

Il 2004: il rischio chiusura e l’arrivo di Sergio Marchionne

La questione Stilo, unita alla scarsità di vendite di quegli anni, portò la più grave crisi della Storia FIAT.
Nel 2003 e 2004, inoltre, morirono prima l’Avvocato Gianni Agnelli e poi Umberto Agnelli, avvenimenti che scossero ancora di più l’ambiente.
A inizio 2004, la situazione diventò molto grave, e FIAT rischiò il fallimento.

Proprio ad inizio 2004, però, arrivarono in azienda Luca Cordero di Montezemolo, dal 1993 Presidente Ferrari, e il nuovo Amministratore Delegato Sergio Marchionne. Il vice-Presidente, invece, è John Elkann, nipote dell’Avvocato Agnelli.

Fu proprio la serie di politiche di cost saving e di riorganizzazione delle risorse attuate dal manager italo-canadese riuscirono a riportare FIAT alla parità di bilancio in pochissimi mesi.

Per Marchionne e per il Gruppo FIAT fu una vera manna dal cielo il successo di modelli che oggi conosciamo benissimo, come la Grande Punto del 2005, la nuova Panda e l’auto più importante per la storia FIAT più recente, la nuova 500, presentata il 4 luglio 2007, 50 anni dopo la celebre “nonna”.

La storia FIAT recente: il successo della gamma 500 e il rilancio

Quello che viene dopo è storia recente.
L’acquisizione di Chrysler e la formazione del gruppo FIAT Chrysler Automobiles, il successo della gamma 500 e dei modelli Jeep, il tentativo di rilancio di Alfa Romeo e, per ultimo, il recente passaggio alle tecnologie ibride, pronto per avvenire il prossimo anno.

In questo viaggio che abbiamo fatto insieme, abbiamo visto le varie e diverse peripezie che compongono la Storia FIAT.
Dalle storie più gloriose e conosciute, a quelle più strane e meno note, il primo marchio nazionale è da sempre compagno delle nostre giornate, ma molti suoi lati sono stati a noi nascosti.
Spero che questo viaggio abbia insegnato qualcosa di nuovo e di inedito, e che abbia mostrato la Casa torinese in modo diverso, come una Casa che ha dato tanto al mondo dell’auto, e che sicuramente ha ancora tantissimo da dare.

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Giulio Verdiraimo

Ho 22 anni, studio Ingegneria e sono malato di auto. Di ogni tipo, forma, dimensione. Basta che abbia quattro ruote e riesce ad emozionarmi, meglio se analogiche! Al contempo, amo molto la tecnologia, la musica rock e i viaggi, soprattutto culinari!

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